Con il regime di condizionamento (chemioterapia e radioterapia) sopravvivenza post-trapianto superiore a quella garantita dalla chemioterapia
Le leucemie - in particolare la leucemia linfoblastica acuta - sono i tumori più frequenti in età pediatrica. La risposta a queste malattie prevede innanzitutto il ricorso alla chemioterapia, che non sempre però si rivela sufficiente. Per determinare un tasso di risposta positivo nell’85 per cento dei casi - vuol dire che oltre 8 pazienti su 10 sono vivi a cinque anni dalla diagnosi - nei casi più complessi è necessario ricorrere (in seguito) al trapianto di cellule staminali emopoietiche. Tra le due fasi, in attesa di individuare il donatore compatibile, occorre però «preparare» i pazienti a ricevere le cellule di un altro individuo: familiare o no. Come? Di norma, con la chemioterapia abbinata alla radioterapia. Una strategia che oggi possiamo considerare più efficace e come tale in grado di garantire una sopravvivenza più alta (rispetto alla sola chemioterapia) ai bambini che si ammalano di leucemia.
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QUANDO OCCORRE IL TRAPIANTO DI MIDOLLO?
Quando la sola chemioterapia non basta o se l’aggressività della malattia lascia presagire una recidiva, ai pazienti con una leucemia può essere prospettata l’ipotesi di sottoporsi a un trapianto di cellule staminali emopoietiche (contenute nel midollo osseo). La «sostituzione» di un organo ammalato con uno proveniente da una persona sana permette - attraverso una trasfusione - di garantire la guarigione definitiva in quasi l’80 per cento dei casi. Nei restanti, da pochi anni, è a disposizione la terapia genica CAR-T, un’evoluzione dell’immunoterapia che ha già dato risultati incoraggianti a lungo termine. Ma non è su questo aspetto che vogliamo puntare l’attenzione, in questo caso. Bensì sull’approccio da seguire nel periodo che intercorre tra la fine della chemioterapia e il trapianto di midollo. Un arco di tempo variabile, nell’attesa di individuare il donatore compatibile, durante il quale i pazienti vengono «addestrati» con un ulteriore ciclo di chemioterapia ad alte dosi (2-9 giorni) abbinata alla radioterapia. Questo intermezzo viene definito regime di condizionamento e - provocando uno stato di immunosoppressione - serve a creare le condizioni ideali affinché le «nuove» staminali attecchiscano al meglio.
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REGIME DI CONDIZIONAMENTO: LA RADIOTERAPIA FA LA DIFFERENZA
Il regime di condizionamento adottato nel trapianto di leucemia linfoblastica acuta include sempre la radioterapia corporea totale. In considerazione delle complicanze (acute e tardive) a essa associate, però, da tempo la comunità scientifica ragiona sulla possibilità di ricorrere soltanto alla chemioterapia, in attesa del trapianto. Ma prima di modificare un protocollo, occorre valutare se l’opzione al vaglio (in questo caso la rinuncia alla radioterapia) possa avere un impatto sulla sopravvivenza dei pazienti. Risposta affermativa, a leggere le conclusioni di uno studio condotto in 17 diversi Paesi e presentato nel corso del congresso dell’European Hematology Association. Il trial randomizzato, condotto coinvolgendo 413 pazienti (4-21 anni) trattati con una (solo chemioterapia) o con l’altra opzione (chemioterapia e radioterapia) e poi sottoposti al trapianto, ha confermato la validità dello schema attualmente in uso. Un regime di condizionamento che prevede la chemioterapia ad alte dosi abbinata all’irradiamento corporeo totale garantisce maggiori probabilità di successo. La sopravvivenza è risultata infatti variare dal 75 (con la sola chemioterapia) al 91 per cento. «Ma non solo: anche le ridotte probabilità di osservare una recidiva della malattia dopo il trapianto hanno premiato lo schema con la radioterapia», afferma Adriana Balduzzi, ematologa pediatra dell’ospedale San Gerardo di Monza e tra gli autori dello studio (non ancora pubblicato). La malattia si è ripresentata nel 12 per cento dei pazienti «preparati» con la chemio e la radioterapia: rispetto al 30 per cento registrato tra coloro che avevano ricevuto la sola chemioterapia ad alte dosi.
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VALUTARE GLI EFFETTI COLLATERALI A LUNGO TERMINE
La radioterapia si conferma dunque necessaria per i bambini affetti da una leucemia e candidati a sottoporsi al trapianto di staminali emopoietiche. Ciò non toglie, però, che il follow-up delle condizioni dei pazienti arruolati nello studio debba proseguire. «Vogliamo verificare l’incidenza di eventuali effetti collaterali delle terapie a lungo termine - aggiunge Marco Zecca, direttore dell’unità operativa complessa di oncoematologia pediatrica del policlinico San Matteo di Pavia e presidente dell’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica (Aieop) -. Alcuni di questi, infatti, possono avere un impatto sulla qualità della vita anche a distanza di anni dal trapianto». In altre parole, la maggiore efficacia della radioterapia dovrà essere valutata su un tempo più lungo anche alla luce delle (possibili) complicanze a distanza.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).