Uno studio inglese riapre il dibattito. Dopo tre anni senza recidive, controlli meno frequenti potrebbero bastare. Ma non vale per tutti i tumori

Ha senso sottoporsi a mammografia annuale per intercettare un'eventuale recidiva di tumore al seno? E' davvero così necessario o è possibile diradare i controlli? Uno studio da poco pubblicato su Lancet potrebbe presto riscrivere le linee guida: secondo il trial Mammo-50, condotto in Inghilterra su oltre 5 mila donne operate per tumore al seno, una mammografia ogni due o tre anni, invece che ogni anno, potrebbe essere sufficiente senza compromettere la sopravvivenza e la capacità di intercettare una recidiva.
INTERCETTARE LE RECIDIVE
Ogni anno in Italia si verificano oltre 53 mila nuove diagnosi di tumore al seno. Fortunatamente una buona quota viene individuato in fase precoce. Dopo la rimozione chirurgica ed una eventuale terapia adiuvante per ridurre al minimo il rischio di recidiva, le donne che hanno superato la malattia vengono sottoposte ad un controllo annuale mediante mammografia per almeno 5 anni dopo la diagnosi.
CONTROLLI MENO FREQUENTI?
Ma la frequenza con cui ci si sottopone ai controlli è da tempo oggetto di dibattito. Secondo lo studio da poco pubblicato, ridurre la frequenza è possibile. Più di 5.200 donne, tutte con più di 50 anni e libere da malattia a tre anni dall’intervento per tumore al seno, sono state seguite per verificare se fosse possibile diradare i controlli senza mettere a rischio la loro salute. Le partecipanti sono state suddivise in due gruppi: uno ha proseguito con la sorveglianza annuale, l’altro ha ricevuto controlli più distanziati -ogni due anni per chi aveva avuto un intervento conservativo, ogni tre per chi era stata sottoposta a mastectomia-. Dopo un follow-up mediano di quasi sei anni, i risultati hanno mostrato che non ci sono differenze sostanziali tra le due strategie. La sopravvivenza specifica per tumore al seno è risultata simile nei due gruppi, così come l’intervallo libero da recidiva e la sopravvivenza globale.
In sostanza, ridurre la frequenza delle mammografie dopo il terzo anno dalla diagnosi non ha compromesso la capacità di rilevare le recidive né ha influenzato gli esiti clinici. Un altro aspetto emerso riguarda la modalità di diagnosi delle ricadute: in molti casi non sono state le mammografie di routine a segnalare il ritorno della malattia, ma i sintomi riportati direttamente dalle pazienti. Un elemento che rafforza l’ipotesi di un monitoraggio meno rigido, almeno nei casi meno complessi.
INTERPRETARE I RISULTATI: NON TUTTI I TUMORI SONO UGUALI
I dati appena pubblicati aprono dunque alla possibilità di rivedere l’attuale modello di follow-up, rendendolo più sostenibile e meno stressante per le pazienti, senza rinunciare alla sicurezza. Una strategia di sorveglianza più distanziata potrebbe alleggerire la pressione sugli ambulatori, ridurre i costi e limitare il ricorso a esami potenzialmente inutili. Attenzione però a "voler fare di tutte le erbe un fascio": le pazienti coinvolte nello studio avevano per la maggior parte tumori ormono-sensibili, trattati con chirurgia conservativa e a basso rischio biologico. Applicare questi risultati a donne con tumori più aggressivi, come i triplo negativi o gli HER2-positivi potrebbe dunque essere prematuro.

Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.