Combinare farmaci già utilizzati con agenti chemioterapici al platino per rendere più efficaci e selettivi i trattamenti per la leucemia promielocitica acuta. La ricerca di Francesca Binacchi

Affrontare la forma più aggressiva di leucemia, ovvero quella promielocitica acuta, con nuove strategie terapeutiche: è questa la sfida di Francesca Binacchi, ricercatrice presso l'Università di Pisa e vincitrice di un finanziamento di ricerca di Fondazione Veronesi. Il suo lavoro si concentra sulla combinazione di farmaci già in uso con chemioterapici al platino, con l'obiettivo di migliorare e ridurre gli effetti collaterali dell’attuale terapia di questo tumore del sangue, caratterizzato dall’accumulo di cellule immunitarie immature dette promielociti. I risultati preliminari sono promettenti: ma quali sono le sfide, le prospettive e la passione che muovono questa scienziata?
Francesca, ci spieghi quali sono le problematiche nell’attuale trattamento di questa leucemia?
Attualmente, i farmaci per trattare diversi tumori si basano quasi esclusivamente su composti chimici contenenti platino, come cisplatino, carboplatino e oxaliplatino. Nel caso della leucemia promielocitica acuta, esistono alternative come il Trisenox (a base di arsenico) e l'acido all-trans retinoico (un derivato della vitamina A) ma questi possono causare gravi effetti collaterali. Questi effetti avversi sono provocati sia dall’alto dosaggio del chemioterapico, sia dal fatto che una volta somministrato solo una piccolissima parte riesce ad arrivare alla cellula tumorale, colpendo quindi anche le cellule sane. Inoltre, spesso il tumore sviluppa resistenza ai farmaci, rendendo più difficile la guarigione.
Perché studiare ancora questi farmaci se hanno effetti collaterali?
È vero che questi chemioterapici hanno enormi effetti collaterali e fenomeni di resistenza, ma ancora oggi sono ampiamente utilizzati perché sono molto efficaci. È per questo che il nostro obiettivo è continuare ad utilizzare questi potenti agenti terapeutici ma migliorandone le proprietà e il modo in cui vengo somministrati.
Come potete migliorare questi farmaci?
Esiste una forma particolare del platino che può trasportare ulteriori farmaci e restare inattiva fino all’ingresso nelle cellule tumorali. Una volta entrato, il platino si modica in modo da tornare farmacologicamente attivo, liberando, quindi, i farmaci che trasporta. Questo permette di avere una terapia più mirata con un dosaggio inferiore in modo da ridurre gli effetti collaterali. Inoltre, questi farmaci con differenti proprietà, somministrati sotto forma di singola molecola, possono agire in combinazione tra di loro, migliorandone l’efficacia terapeutica.
Come è nata l’idea e quali sono le vostre prospettive?
I dati preliminari, ottenuti grazie al primo finanziamento che ho ricevuto nell’anno passato da Fondazione Veronesi, mostravano che l’unione di un composto a base di platino e Trisenox migliora il potere antitumorale verso le cellule di leucemia acuta. Questo ci ha spinto a voler approfondire l’attività costruendo una raccolta di molecole che coinvolgano i tre farmaci a base di platino attualmente utilizzati in chemioterapia e i due antileucemici (Trisenox e l’acido all-trans retinoico). Vogliamo, quindi, testare questa raccolta di composti su differenti linee cellulari, cancerogene e sane.
Quali sono le domande che vi guidano?
La grande incognita è: questa combinazione di farmaci renderà davvero la terapia più selettiva ed efficace? Riusciremo a ridurre significativamente gli effetti collaterali? Il platino sarà un trasportatore preciso come speriamo? Trovare le risposte a queste domande è fondamentale per proseguire.
Francesca, hai mai fatto ricerca all'estero?
Sono stata quattro mesi a Burgos, in Spagna, durante il mio dottorato. Volevo sia provare l’esperienza di vivere da sola e conoscere nuove persone, sia l’opportunità di vedere tecniche strumentali e di lavoro differenti da quelle del mio laboratorio.
Com'è stata quell'esperienza? Ti è mancata l'Italia?
Ho conosciuto la famiglia e i figli piccoli della tutor che mi ha seguito in laboratorio. Non avendo studiato lo spagnolo, spesso facevo fatica a capire cosa dicessero i bambini ma è stato divertente lo stesso provare a comunicare con loro.
All’inizio non ho sentito subito la mancanza dell’Italia perché il nuovo ambiente è stato molto suggestivo, ma con il tempo il sentimento è cambiato. Cercare continuamente di farti capire in una lingua che non hai studiato alla lunga è stancante. Inoltre, come spesso sento dire da chi vive all’estero, anche a me mancava la pizza italiana.
Quando hai capito che la ricerca era la tua strada?
Fin da bambina ho amato le materie scientifiche. L’università è stata una scelta naturale, ma la vera svolta è arrivata durante i tirocini di tesi. Fin dal primo anno di università ho provato ammirazione per la professoressa che poi è diventata mia relatrice per la tesi di laurea triennale, magistrale e co-supervisore per il dottorato. È diventata per me come un mentore e punto di riferimento per la carriera professionale e mi ha insegnato che con la buona volontà e il duro lavoro, prima o poi i meriti verranno riconosciuti.
Cosa ti piace di più della ricerca?
Lo scambio di opinioni. Mi piace che non sia un lavoro individuale, anzi, è molto importante avere continui scambi di opinioni all’interno del proprio gruppo che possono aprire significativi spunti di riflessione. Questo ancora meglio quando avviene anche tra gruppi di ricerca diversi con differenti esperienze lavorative. Il fascino di lavorare a un progetto in continua evoluzione mi ha conquistata. L’idea di far parte di un progetto di ricerca che di volta in volta può cambiare e che tu stesso puoi gestire l’ho sempre trovato molto suggestivo. In questo modo non ci si annoia mai.
C’è un momento della tua carriera che porterai sempre con te? E uno che vorresti dimenticare?
Il prima congresso a cui ho partecipato, quando ho presentato il mio lavoro davanti a tanti esperti: un'emozione incredibile! Il periodo più duro, invece, è stato all’inizio del dottorato, in piena pandemia: laboratori chiusi, ricerca bloccata e non vedere i colleghi.
Un ricordo del passato e un desiderio per il futuro?
Ricordo con tenerezza la tombola della Befana con mio nonno. Un anno abbiamo vinto assieme una bicicletta da montare. Invece quello che desidererei molto vedere è la meravigliosa fioritura dei ciliegi in Giappone.
Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?
Donare è fondamentale per portare avanti i progetti di ricerca scientifica. Spesso le risorse materiali e strumentali necessarie sono molto costose e per progredire c’è bisogno di continui aggiornamenti. Inoltre, grazie alle donazioni, noi giovani ricercatori abbiamo la possibilità di continuare la nostra carriera lavorativa.
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
Ringrazio fortemente tutti coloro che hanno donato e doneranno in futuro a sostegno della ricerca. È grazie a questo sostegno economico che molte persone, compresa me, hanno potuto continuare la loro carriera. Inoltre, ogni progetto di ricerca è importante e può portare a un contributo aggiuntivo alla comunità scientifica e a una importante scoperta che cambierà in meglio la vita di tutti.