Un decesso su cinque legato a malattie cardiovascolari, cancro e diabete, su cui gioca una parte cruciale una dieta povera e squilibrata
Se, come diceva Ludwig Feuerbach, siamo quello che mangiamo, abbiamo di che preoccuparci. Facciamo il pieno di alimenti ricchi di grassi e di bevande zuccherate, mentre teniamo troppo spesso lontano dalla tavola i cereali, la frutta e la verdura. Il risultato, come documentato in uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, è devastante.
Nel 2017 quasi 11 milioni di persone - più della metà delle quali con più di 70 anni - hanno perso la vita per colpa di una dieta «povera»: intendendo come tale non soltanto la penuria di cibo, ma anche di qualità. Le scelte alimentari, secondo i ricercatori, hanno rappresentato il punto di partenza per l'insorgere di malattie o complicanze poi rivelatesi fatali.
Nella quasi totalità dei casi - 9.5 milioni - i decessi sono avvenuti per cause cardiovascolari. La restante parte è stata determinata dallo sviluppo di tumori (913mila), del diabete di tipo 2 (339mila) e delle malattie renali (137mila).
COME QUELLO CHE MANGIAMO
PUO' RENDERCI MALATI?
UN DECESSO SU 5 COLPA DELLA CATTIVA ALIMENTAZIONE
Un decesso su 5 di quelli che si registrano ogni anno in tutto il Pianeta è dunque da ricondurre a scelte alimentari poco equilibrate. C'è chi ha accesso a meno cibo di quello di cui avrebbe bisogno. E chi, invece, ogni giorno ha a disposizione quantità sufficienti o anche superiori a quelle necessarie, ma di scarsa qualità. Il risultato, in entrambi i casi, può essere il medesimo: la compromissione della qualità della vita, che nelle situazioni più gravi può concludersi anche con qualche anno di anticipo rispetto al previsto.
Lo studio - firmato da 130 ricercatori e condotto in 195 Paesi: analizzando i consumi alimentari dal 1990 al 2017 - ha evidenziato che l'impatto dei singoli fattori dietetici varia da una nazione all'altra. Ma un filo conduttore esiste: un basso apporto di cereali integrali, di frutta e di verdura e un elevato consumo di sale rappresentano il punto di partenza a cui possono essere ricondotti un decesso su due e due casi su tre di disabilità «legati» all'alimentazione.
La restante quota affonda le radici nell'eccessivo consumo di carni rosse e lavorate, di bevande zuccherate e di alimenti ricchi di acidi grassi trans. Ai poli opposti della classifica si sono piazzati l'Egitto e il Giappone: rispettivamente il primo (552 ogni centomila) e l'ultimo (97 su centomila) Paese nella graduatoria dei decessi registrati nel 2017 determinati da una dieta poco equilibrata.
L'IMPATTO DELLA DIETA
I ricercatori, non potendo contare su dati omogenei relativi ai singoli Paesi, hanno preso in esame i consumi di 15 categorie alimentari: quelle che possono proteggere o mettere a repentaglio la nostra salute. Complessivamente, il consumo dei nutrienti necessari e dei cibi «sani», nel 2017, è stato inferiore rispetto ai valori considerati ottimali.
I divari più ampi - tra i valori reali e quelli auspicabili - sono stati registrati negli apporti di semi, frutta secca, latte e cereali integrali. Quasi ovunque superiori ai valori indicati nelle linee guida delle principali società scientifiche invece i consumi di carni rosse, bevande zuccherate e altri alimenti ricchi di grassi: considerati «nemici» della salute, se consumati in quantità eccessive (come accade). «Il nostro lavoro evidenzia come si continui a consumare una maggiore quantità di alimenti malsani rispetto a quelli che invece dovremmo prediligere per difendere la nostra salute - afferma Ashkan Afshin, epidemiologo dell'Università di Washington e coordinatore della ricerca -. Occorre un intervento a più livelli sul sistema alimentare per promuovere la produzione, la distribuzione e il consumo di cibi sani».
Il benessere passa dall'attività fisica, ma ci muoviamo ancora troppo poco
CAMBIO DI VISIONE
La dieta, nel complesso, è dunque in grado di incidere sulla nostra salute più dell'ipertensione e del fumo di sigaretta, che nello stesso anno hanno provocato rispettivamente 10.4 e 8 milioni di decessi. Le conseguenze più rilevanti, come detto, si sono manifestate a livello cardiovascolare.
Secondo Nita Forouhi, a capo del gruppo di ricerca di epuidemiologia nutrizionale dell'Università di Cambridge e autrice di un commento pubblicato a supporto della ricerca, «questi dati dovrebbero portarci a porre meno restrizioni, quando parliamo di alimentazione, per focalizzarci soprattutto sulla promozione di una dieta complessivamente salutare».
Serve, secondo l'esperta, «un cambio di approccio che porti a promuovere linee guida per una corretta alimentazione, piuttosto che indicazioni basate sui principi nutritivi». A detta degli esperti, gli interventi per promuovere la salute a partire dalla tavola devono concretizzarsi a più livelli: dalla comunicazione attraverso i mass media all'etichettatura dei menù e degli alimenti, dalla tassazione dei cibi meno salutari alla promozione della salute nelle scuole e nei luoghi di lavoro.
Il messaggio da dare a tutte le latitudini, in sintesi, è chiaro: occorre prediligere diete prevalentemente vegetariane, ma con un adeguato consumo di pesce. E ritrovare il tempo per svolgere regolarmente attività fisica.
LE DIFFERENZE TRA STATI RICCHI E POVERI
La forza di questa ricerca (finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation) è quella di racchiudere le medesime evidenze emerse da singoli studi che avevano indagato singolarmente l'impatto di una dieta di scarsa qualità sulla salute cardiovascolare, rispetto al rischio di insorgenza del diabete e di diverse malattie oncologiche. I Paesi più colpiti, sia in termini di decessi sia di tassi di disabilità, sono risultati quelli meno sviluppati. Il riscontro non stupisce.
La povertà è ormai riconosciuta come un fattore di rischio a sé stante, poiché chi vi è colpito ha meno strumenti per informarsi (e dunque per fare prevenzione) e per accedere alle cure più avanzate (terapia). Non a caso, negli Stati meno abbienti, le scelte alimentari che più spesso mettono a rischio la salute derivano dal ridotto consumo di cereali integrali, frutta e verdura. Mentre nei Paesi più ricchi è l'elevato consumo di alimenti abbondanti in sale - spesso di origine industriale: motivo per cui la tendenza può essere ricondotta a un discreto benessere - a rappresentare la principale minaccia per la salute del cuore e delle arterie.
L'Italia (107.7 decessi su centomila determinati da una dieta di scarsa qualità), nonostante in classifica sia preceduta da altri Paesi europei quali la Francia (89.1) e la Spagna (89.5), può essere ancora considerato un Paese virtuoso. Il nostro segreto è racchiuso nella dieta mediterranea, ma anche noi spesso iniziamo a dimenticarcene.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).