Il sucralosio altera l'attività cerebrale legata alla fame e aumenta l’appetito, specialmente nelle persone con obesità

Un comune sostituto dello zucchero, il sucralosio, modifica l'attività cerebrale legata alla fame e aumenta l’appetito, specialmente nelle persone con obesità. A suggerirlo uno studio della Keck School of Medicine della University of Southern California, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Metabolism.
Rispetto allo zucchero, infatti, il consumo di sucralosio aumenta l’attività dell’ipotalamo, una regione del cervello che regola l’appetito e il peso corporeo. Il sucralosio modifica anche il modo in cui l’ipotalamo comunica con altre aree cerebrali, comprese quelle coinvolte nella motivazione.
I DOLCIFICANTI SONO UTILI?
Circa il 40% degli americani consuma regolarmente dolcificanti artificiali, di solito per ridurre l’assunzione di calorie o zuccheri, e anche in Italia è un’abitudine sempre più diffusa. Per questo motivo, nell’ultimo periodo è nata l’esigenza di capire se queste sostanze siano davvero utili per regolare il peso corporeo. Cosa accade nel corpo e nel cervello quando le consumiamo? Gli effetti variano da persona a persona?
Per cercare di rispondere a queste domande, i ricercatori hanno progettato un esperimento randomizzato per testare come il sucralosio influenzi l'attività cerebrale, i livelli ormonali e la fame. Studi precedenti – basati principalmente su modelli animali e su ampie analisi della popolazione – avevano suggerito un legame tra i dolcificanti senza calorie e l’obesità, ma non avevano mostrato direttamente come queste sostanze influenzino la fame negli esseri umani.
LO STUDIO
Lo studio ha coinvolto 75 partecipanti, giovani adulti, divisi equamente tra uomini e donne, con peso corporeo variabile tra normopeso, sovrappeso e obesità. In tre visite separate, ogni partecipante è stato testato prima e dopo il consumo di bevande a base di sucralosio, zucchero o semplice acqua.
Durante ogni visita, i ricercatori hanno raccolto scansioni cerebrali con risonanza magnetica funzionale (fMRI), campioni di sangue e valutazioni della fame prima e dopo il consumo delle bevande.
UNA RISPOSTA CEREBRALE ALTERATA
Rispetto al consumo di zucchero, bere sucralosio ha aumentato l’attività cerebrale nell’ipotalamo e intensificato la sensazione di fame. Rispetto al consumo di acqua, invece, il sucralosio ha aumentato l’attività ipotalamica, ma senza modificare la percezione della fame. Questi effetti sono risultati più marcati nelle persone con obesità.
I ricercatori hanno inoltre utilizzato le scansioni cerebrali per studiare la connettività funzionale, ovvero il modo in cui le diverse aree del cervello comunicano tra loro. Il consumo di sucralosio ha aumentato la connessione tra l’ipotalamo e diverse aree cerebrali coinvolte nella motivazione, nell’elaborazione sensoriale e nei processi decisionali. Questi risultati suggeriscono che il sucralosio potrebbe influenzare le voglie alimentari o il comportamento legato al cibo.
«I risultati mostrano come il sucralosio confonda il cervello, fornendo un gusto dolce senza l’energia calorica attesa», ha spiegato la professoressa Kathleen Alanna Page, direttrice dell’USC Diabetes and Obesity Research Institute e co-responsabile della Divisione di Endocrinologia e Diabete presso la Keck School of Medicine della USC. «Questa discrepanza potrebbe persino scatenare cambiamenti nel desiderio di cibo e nel comportamento alimentare nel tempo».
IL SENSO DI FAME NON È RAGGIUNTO
Come previsto, il consumo di zucchero ha portato a un aumento della glicemia e degli ormoni regolatori, tra cui insulina e GLP-1 (glucagon-like peptide 1). Il sucralosio, invece, non ha avuto alcun effetto su questi ormoni che generano la sensazione di sazietà.
«L’organismo utilizza questi ormoni per segnalare al cervello che sono state assunte calorie, riducendo così la fame», ha spiegato Page. «Il sucralosio non ha avuto questo effetto – e le differenze nella risposta ormonale tra sucralosio e zucchero sono risultate ancora più pronunciate nei partecipanti con obesità».
«La disfunzione dell’ipotalamo nel regolare il senso di fame sembra derivare dall’incongruenza tra la percezione del dolce e l’assenza di calorie. Il bisogno di mangiare, pertanto, potrebbe diventare sempre più dissociato dal reale fabbisogno calorico e dipendere invece dalle sole sensazioni edoniche», riflette il dottor Francantonio Devoto, ricercatore presso il dipartimento di psicologia dell’Università Milano Bicocca. «Questo è l’effetto dei dolcificanti senza calorie: il cervello percepisce la dolcezza come una gratificazione, ma senza un reale beneficio energetico per l’organismo. In questo studio è stato analizzato nello specifico l’effetto del sucralosio, ma è possibile che effetti simili si verifichino anche con altre sostanze. Servono però studi più approfonditi che tengano conto delle differenze specifiche tra le varie molecole».
C’È IL RISCHIO DIPENDENZA?
Si può temere una dipendenza da alimenti dolci a seguito di una regolare assunzione di dolcificanti?
«Dallo studio, non sono emerse interazioni tra l'ipotalamo e specifici centri della ricompensa – spiega Devoto – che invece risultano alterati nei soggetti con disturbi da uso di sostanze e nei pazienti con obesità. Sebbene esista un parallelismo tra l'uso compulsivo di alimenti ipercalorici e i circuiti neurali legati alla dipendenza, non è certo che questo si applichi ai dolcificanti. Sarebbe necessario confrontare il cervello di chi utilizza regolarmente dolcificanti con quello di chi usa zucchero. Inizialmente scelti per limitare l'assunzione di calorie, questi dolcificanti potrebbero, paradossalmente, aumentare l'appetito, portando a un maggior consumo di cibo nel lungo periodo o in caso di un basso controllo inibitorio. Nei soggetti di controllo, infatti, si osserva una maggiore connettività tra l'ipotalamo e le regioni prefrontali del cervello, implicate nel controllo inibitorio e nei processi cognitivi superiori. Al contrario, nelle persone obese e sovrappeso questa connettività risulta ridotta, pertanto questi soggetti potrebbero non avere le risorse necessarie per controbilanciare l'effetto stimolante del dolcificante non calorico. Questo potrebbe suggerire che in futuro le raccomandazioni sull'assunzione di dolcificanti debbano essere differenziate in base al peso corporeo».
DIFFERENZE DI GENERE
I ricercatori hanno anche osservato differenze di genere: le partecipanti femminili hanno mostrato cambiamenti più marcati nell’attività cerebrale rispetto ai partecipanti maschili, suggerendo che il sucralosio potrebbe avere effetti differenti tra i due sessi.
«Dalla letteratura precedente risulta che il sesso femminile risponde in modo diverso all’esposizione al cibo – riflette il dottor Devoto –, mostrando una maggiore attivazione dei centri di ricompensa in risposta alle immagini di cibo rispetto agli uomini. Tuttavia, è importante considerare anche le differenze individuali, non solo di genere. Sarà necessario approfondire se fattori contestuali, come i tratti di personalità, oltre al peso corporeo, possano modulare ulteriormente l’aumento dell’appetito. Inoltre, la variabilità nell’effetto del sucralosio tra le persone potrebbe essere influenzata da fattori genetici, come la diversa presenza di recettori specifici che si legano a questa molecola o il ruolo della dopamina nel sistema di ricompensa».
DUBBI E STUDI FUTURI
Sebbene lo studio risponda a domande chiave su come il cervello e il corpo reagiscono al sucralosio, ne solleva altrettante. Gli effetti osservati sull’attività cerebrale e ormonale hanno conseguenze a lungo termine? Per chiarire il legame, sono necessari studi longitudinali che misurino peso corporeo e comportamento alimentare nel tempo. I ricercatori hanno ora avviato uno studio di follow-up per esplorare gli effetti dei dolcificanti senza calorie sul cervello di bambini e adolescenti, la fascia d’età che consuma più zucchero e dolcificanti rispetto a qualsiasi altro gruppo.
«Queste sostanze stanno causando cambiamenti nei cervelli in via di sviluppo dei bambini a rischio di obesità? Il cervello è particolarmente vulnerabile in questa fase, quindi potrebbe essere un momento cruciale per intervenire», ha affermato Page.

Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile