Anna, 15 anni, ha scoperto di avere un glioblastoma durante il primo lockdown. Il papà: «Vediamo una luce in fondo al tunnel». Grazie anche alla ricerca
Fino all’inizio di aprile, Anna era un’adolescente in linea con il suo percorso di crescita. Aveva (e ha ancora) molti amici, oltre a un fidanzato. Seguiva le lezioni a distanza - del primo anno di liceo artistico, al «Luigi Russo» di Monopoli - e studiava mantenendosi sempre in contatto con i suoi compagni di classe. Aveva (e ha) un rapporto autentico con i genitori. «Conflittuale, ma nella norma», precisa Carlo (nella foto), il papà di questa ragazza di 15 anni che nel giorno di Pasqua si è ritrovata in un abisso più profondo del Covid-19. Senza aver avuto troppe avvisaglie, in un paio di giorni Anna ha scoperto che la sua adolescenza, simile a quella della maggior parte dei coetanei, aveva imboccato un’altra strada. C’era - e c’è ancora - un glioblastoma multiforme da affrontare. Un «ospite» indesiderato e imprevisto, che questa ragazza dai capelli biondo cenere ha però affrontato da subito con una lucidità quasi sorprendente, vista l’età. Lì dove un adulto è più portato al cedimento, un adolescente trova la forza per ridisegnare il proprio percorso di vita. Immaginandolo - con più facilità - anche al di là del cancro.
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L’«INCIDENTE» IL GIORNO DI PASQUA
Il weekend in cui cambia la vita di Anna e della sua famiglia è quello di Pasqua, che giunge in coda a una Settimana Santa atipica. A causa del Covid-19, i riti tipici di questo periodo sono sospesi: in tutta Italia. Il Paese è fermo, per via di un lockdown che dura da oltre un mese. Le giornate dei ragazzi scorrono lentamente: due chiacchiere con i genitori, molto più tempo trascorso a contatto con i coetanei sui social network. Anna, in quei giorni, fa le stesse cose di tutti gli adolescenti. Guarda film, naviga in rete, chatta. Ha gli occhi sempre puntati su uno schermo, anche nel giorno della più importante festa cristiana. Così fino alla sera, quando si lascia andare con i genitori: «Ho un fastidio all’occhio sinistro, come se avessi la vista sdoppiata». Ai genitori viene subito da pensare allo sforzo compiuto per «reggere» tante ore di fronte a un display. Così la invitano a mettere da parte smartphone e tablet e a spegnere la tv. Passano un paio d’ore, ma il fastidio non passa. A Carlo, 55 anni, papà, oltre che di Anna, di altri due ragazzi (17 e 12 anni), viene allora in mente di rintracciare il medico di famiglia. Non vuole trascurare la richiesta di sua figlia, ma non immagina il quadro che si sarebbe rivelato da lì a poche ore. All'altro capo del telefono, c'è un camice bianco schiacciato dalle telefonate dei pazienti preoccupati dal possibile contagio da coronavirus. Ma che - di fronte alla spiegazione di quest’uomo - non perde la lucidità. E, senza giri di parole, va dritto al punto. «Il sintomo non è rassicurante: Anna deve fare quanto prima una Tac cerebrale».
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LA MALATTIA DI ANNA: UN GLIOBLASTOMA
In altri tempi, recandosi in pronto soccorso, Anna sarebbe stata affidata alle cure degli specialisti in pochi minuti. Non, però, al tempo del Covid-19. La sera di Pasqua si rivela come un lungo pellegrinaggio, per Carlo e sua figlia. Prima tappa: l’ospedale di Monopoli. «Ci spiace, in questo momento non è possibile effettuare esami non urgenti». Poi il viaggio verso Bari. L’approdo è il pronto soccorso del policlinico. «Vi consigliamo di andare via, il rischio infettivo è piuttosto alto», si sente rispondere Carlo. Il Covid-19 è un avversario non da poco, per tutti gli altri pazienti. Anche il passaggio da una clinica cittadina si rivela inutile, se non per l’indicazione a rivolgersi al pronto soccorso dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII. È qui che viene data la giusta attenzione alle condizioni di Anna. La Tac, seguita da una risonanza magnetica, fornisce il responso. «Nella testa di mia figlia c’era una massa di tre centimetri, con un edema attorno che comprimeva il nervo ottico: da qui la diplopia», racconta Carlo al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi. Diagnosi: glioblastoma di quarto grado.
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L'IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI TEMPESTIVA
«I gliomi ad alto grado di malignità, come il glioblastoma multiforme, tendono a essere più comuni nel quarto e quinto decennio di vita, ma possono colpire anche i bambini e gli adolescenti - afferma Francesco Signorelli, il primario della neurochirurgia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Bari che ha operato Anna -. Nel caso specifico, sebbene gli adolescenti vadano spesso incontro a un ritardo diagnostico nel momento in cui si ammalano di cancro, la differenza l’ha fatta il medico di medicina generale. In un contesto di emergenza, con gli ospedali che non avevano ancora approntato protocolli per le procedure non urgenti, la sua prontezza nel sospettare una diagnosi oncologica ha fatto la differenza».
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L’ALTRA BATTAGLIA: QUELLA DELLA MAMMA DI ANNA
Una breve telefonata è dunque servita a prendere la famiglia per mano e a condurla - nel più breve tempo possibile - verso l’unico approdo possibile. Ovvero: l’intervento chirurgico. Dopo dieci giorni di ricovero nel reparto di oncoematologia pediatrica, Anna entra in sala operatoria il 23 aprile. Prima, però, le viene data un’opportunità non da poco: abbracciare la mamma, nel cortile del policlinico. Un incontro tutt’altro che casuale, perché il destino si è abbattuto su questa famiglia ancora prima di farlo con Anna. Quattro mesi prima, infatti, la signora Mariantonietta ha scoperto di avere un tumore al seno. Sottoposta alla chemioterapia prima di essere operata, al momento ha messo la malattia alle spalle. Quel 23 aprile, però, mentre Anna si accingeva a entrare in sala operatoria, nel day-hospital oncologico c’era chi approntava la terapia per lei. «A pensarci oggi, quell’incontro è stato forse il momento più toccante di tutto il periodo trascorso in ospedale - ricorda Carlo, insegnante alla scuola primaria -. In quel momento, davanti ai miei occhi, ho avuto la dimostrazione della forza inesauribile delle donne».
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PADRE E FIGLIA INSIEME IN OSPEDALE
Considerando che a casa c’erano altri due ragazzi di cui prendersi cura, Carlo è stato l’unico riferimento di Anna in ospedale. «In mezzo al dolore che emerge in un reparto di oncoematologia pediatrica, trascorrere tre settimane sempre assieme è stata un’occasione unica. Ho scoperto alcuni lati di Anna che non conoscevo. E, al contempo, ho avuto la possibilità di approfondire la mia dimensione di papà». Come rovescio della medaglia del Covid, l’avere l’ospedale occupato soltanto dai casi più urgenti ha permesso di creare un rapporto di collaborazione fin da subito con il personale sanitario. «Anche per questo, l’impatto psicologico della diagnosi per Anna è stato più facile da smaltire. Prima e dopo l’intervento, grazie anche a una ripresa postoperatoria che i medici hanno definito ottima, le è stata data anche la possibilità di rimanere in contatto con gli amici e di seguire qualche lezione collegata con il pc». La ragazza, superato l'intervento, si è sottoposta a diverse sedute di radioterapia. Entro fine gennaio, invece, completerà la chemioterapia.
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L’IMPORTANZA DELLA FEDE
Del non detto, c’è un aspetto che rimane scolpito nella mente, di Carlo. In quasi un’ora di intervista, dalle sue parole non sono mai emersi sentimenti quali la rabbia e la disperazione. Impossibile non notarlo, dopo (a maggior ragione) aver appreso anche della malattia di sua moglie. Quando gli chiediamo come mai sia così placido raccontando l’ultimo anno della sua vita, la risposta è probabilmente l’unica possibile. «Siamo molto credenti e la fede ci sta portando a considerare questa situazione come la nostra: unica e speciale. Pensi un attimo: a Natale 2019 abbiamo avuto la conferma della diagnosi di mia moglie e a Pasqua abbiamo scoperto la malattia di Anna. Sappiamo di essere in un tunnel, ma ci sforziamo ogni giorno di vedere la luce. Questa esperienza ci sta insegnando ad avere fiducia nella capacità umana e nella classe medica. Tutti gli specialisti finora incontrati ci sono stati molto vicini: prima con mia moglie, poi con Anna». Come diceva San Paolo, «tutto concorre al bene». Conclude Carlo: «Secondo mio padre, alcune cose succedono soltanto ai vivi. Ecco, noi siamo tra questi. E preghiamo ogni giorno affinché tutto possa concludersi per il meglio».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).