Dopo la diagnosi di linfoma di Hodgkin, la famiglia è stata la sua forza. Ecco la storia di Giulia
!["Il linfoma a 16 anni non ha fermato i miei sogni"](https://www.fondazioneveronesi.it/uploads/thumbs/2025/01/30/dsc05535-ridotta_7_thumb_720_480.jpg)
Al ritorno da Jesolo, dove ha festeggiato i suoi sedici anni, Giulia si sente sfinita, con il collo dolorante. Quando i sintomi non passano decide di fare dei controlli. Ecografia, TAC e biopsia chiariscono il quadro: si tratta di linfoma di Hodgkin.
TRA RABBIA E FORZA
A essere investita dalla diagnosi, a settembre 2022, non è solo Giulia, ma l’intera famiglia: mamma Veronica, papà Massimo e Greta, la sorellina di undici anni. E poi Benny, un Golden retriever sempre presente.
«Invidiavo i miei compagni di scuola, e persino mia sorella», racconta Giulia. «Loro potevano fare quello a cui io dovevo rinunciare. Mi sentivo di nuovo una bambina, dipendente dalla mamma anche solo per fare la doccia o salire le scale».
Tutta la famiglia ricorda bene le sue esplosioni di rabbia, amplificate dagli effetti del cortisone. «Mandavo tutti a quel paese, anche il cane. Ero disinibita, senza filtri», conferma Giulia con un sorriso. «La frustrazione era enorme. Non potevo andare al cinema o alle giostre. Rimanevo in casa per non ammalarmi e per non rischiare di ritardare le terapie, ma anche perché, il più delle volte, stavo troppo male. A un certo punto, però, mi sono detta “l’obiettivo è guarire, tutto il resto viene dopo”. Da quel momento, tra alti e bassi, ho messo tutte le mie energie per arrivare alla fine delle cure il prima possibile. Quando stavo abbastanza bene cucinavo di tutto per tenermi impegnata: pasta, lasagne, torte e patate, meglio se fritte».
IL SUPPORTO DELLA FAMIGLIA
In un continuo altalenarsi di crisi e risate, la famiglia non ha mai smesso di sostenerla. Giulia e la mamma cantavano a squarciagola in macchina durante i viaggi verso le terapie, mentre con il papà condivideva risate liberatorie. Come quella volta in cui, esasperata dalla parrucca che trovava insopportabile a causa del prurito, ha deciso di sbarazzarsene. La piccola Greta, campionessa italiana di karate, ha avuto un ruolo altrettanto importante. «Anche se provavo invidia per tutto ciò che lei poteva fare e io no, cercavo sempre mia sorella, in grado di sopportare e disinnescare la mia rabbia. Greta è stata il mio pungiball».
«Non posso dire che sia stato il periodo più brutto della mia vita – prosegue Giulia – perché ho avuto tutta la mia famiglia vicina, e anche i medici mi sono stati accanto, nonostante fosse tutt’altro che facile. Morire, naturalmente, era una cosa a cui speravo di non arrivare, ma, essendo circondata da bambini e ragazzi che non ce l'hanno fatta, in ospedale ho inevitabilmente respirato il dolore delle famiglie».
UNA FAMIGLIA PARTICOLARE
Proprio nel day hospital Oncoematologico Pediatrico dell’ospedale San Matteo di Pavia, dove non avere i capelli è la normalità, Giulia si sentiva a casa. «Conoscevo tutti: medici, infermieri, cuochi e fattorini. Sapevo i turni del personale ed ero informata sulle storie d’amore che nascevano in corsia. Non a caso mi chiamavano “il sindaco”».
CIÒ CHE RESTA DOPO LA MALATTIA
Dopo sei cicli di chemioterapia Giulia ha potuto guardare avanti, ma si è ritrovata a fare i conti con quello che la malattia le ha lasciato.
«Quando guarisci ti porti dentro una paura strana, che riaffiora soprattutto durante i controlli. E poi, nel mio caso, finita la terapia mi sono guardata allo specchio e ho capito che stava iniziando una nuova sfida, quella con il mio corpo, profondamente cambiato. Ho iniziato diete, massaggi e attività fisica. Mio papà organizzava percorsi di allenamento all’aperto e camminavamo insieme, con Benny sempre al seguito. Quando dopo settimane sono riuscita a correre per un minuto di seguito, mi sono sentita invincibile».
La malattia le ha anche lasciato qualcosa di positivo, che si sarebbe volentieri risparmiata, ma che ora, in fondo, si rivela utile. «Non vale la pena disperarsi per cose futili. Ora preferisco impiegare il mio tempo per affermare le idee in cui credo, anche litigando, se necessario. La malattia, infatti, ha abbassato la mia soglia di tolleranza, ma mi sento più forte e non mi abbatto facilmente».
SENSIBILIZZIAMO I RAGAZZI
Giulia ha anche capito quanto sia importante sensibilizzare sul tema dei tumori. «Quando ho scoperto di essere malata, a parte a un paio di amiche, non ho detto nulla ai miei compagni di classe perché temevo avrebbero trattato la cosa con leggerezza. Molti ragazzi scherzano sui tumori senza capire quanto sia doloroso viverli. Vorrei che se ne parlasse nelle scuole, perché anche i più giovani siano preparati e sappiano stare accanto a chi affronta una malattia oncologica».
UNO SGUARDO AL FUTURO
Oggi Giulia ha 18 anni e sogna un futuro pieno di significato, per se stessa e per gli altri. «Vorrei fare l’università, trovare un lavoro che mi piaccia davvero e, con parte del mio guadagno, vorrei sostenere la ricerca oncologica. So bene cosa significhi affrontare un tumore e credo valga la pena fare ogni sforzo perché i pazienti siano curati sempre meglio e abbiano una speranza in più di potercela fare, come me».
![Caterina Fazion](/uploads/thumbs/2024/02/20/fuvritratti-384ok_thumb_250_250.jpg)
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile