A causa di una leucemia, Ilaria ha passato due anni in ospedale tra terapie, due trapianti di midollo e svariate complicanze. La regola era una sola: mai deprimersi. Ecco la sua storia

Nel 2017, quando Ilaria ha 15 anni e frequenta l’inizio del secondo anno all’istituto aeronautico, una febbriciattola inizia a presentarsi puntuale ogni tardo pomeriggio. Non ci fa troppo caso, ma quando si aggiunge un linfonodo ingrossato, i suoi genitori decidono che vale la pena fare qualche controllo.
LA DIAGNOSI
Il medico si accorge subito che qualcosa non va: fegato e milza sono ingrossati, e inizialmente si sospetta una mononucleosi. Tuttavia, gli esami del sangue raccontano un’altra storia, che viene confermata all’ospedale San Matteo di Pavia. Leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio Philadelphia positiva. «All’inizio non avevo capito quanto fosse grave la situazione, né immaginavo cosa mi aspettasse», racconta Ilaria. «Ho pianto quando il dottor Marco Zecca, direttore dell'oncoematologia pediatrica, mi ha spiegato la diagnosi, ma non per la malattia in sé. Scherzando, mi aveva detto che le cure mi avrebbero fatto venire i capelli blu».
Le terapie prevedono subito chemioterapie ad alte dosi e, data l’avanzata progressione a livello midollare, un trapianto. Suo fratello maggiore Stefano è compatibile al 100%. Sarà lui il donatore.
LA PERDITA DEI CAPELLI
In attesa del trapianto di midollo, Ilaria affronta le cure. «La perdita dei capelli è stato uno dei primi ostacoli», racconta. «Per fortuna, dopo l’estate li taglio sempre, quindi erano già passati da lunghissimi ad abbastanza corti. Quando ho iniziato la chemio, mia mamma me li ha raccolti in un piccolo codino e, ogni tanto, lo accorciava un po’. Voleva abituarmi gradualmente a quello che sarebbe successo. Alla fine, quando ho iniziato a perderli, abbiamo deciso di rasarli. Era meglio così, piuttosto che vederli cadere a ciocche».
UNA COMPLICANZA DOPO L'ALTRA
«Prima del trapianto, le complicazioni sono state tante e molto difficili da affrontare», ricorda mamma Armanda, che ha una memoria infallibile. Ma è Ilaria a voler raccontare ciò che ha vissuto in prima persona. Parla del diabete causato dalle alte dosi di cortisone, della neuropatia alle gambe che le provocava dolori lancinanti e difficoltà a camminare. E poi c’è il ricordo del freddo intenso della ventilazione meccanica, necessaria dopo un ricovero urgente in rianimazione a causa di un accumulo di liquido nei polmoni, risolto con una toracentesi.
«Uno dei momenti più terribili è stato il giorno di Pasquetta del 2018», ricorda Ilaria. «A causa di uno shock settico, accompagnato da un grave quadro di polmonite, me ne stavo andando. La morte è passata, l’ho vista, l’ho salutata... ma non mi ha presa. E questo grazie ai miei genitori che mi hanno portata immediatamente in ospedale, visto che mi trovavo a casa un paio di giorni per trascorrere la Pasqua, e all’intervento tempestivo dei medici e degli infermieri».
IL PRIMO TRAPIANTO DAL FRATELLO
Nonostante i ritardi causati dalle complicanze, il 22 maggio 2018 arriva finalmente il giorno del trapianto. «Mio fratello Stefano era sereno e felicissimo di potermi aiutare. Eravamo in due reparti diversi dell’ospedale, ma ci tenevamo in contatto mandandoci fotografie. Quando il suo midollo è stato espiantato, è stato subito lavorato e poi reinfuso a me».
Ilaria ricorda anche le preoccupazioni della mamma. «Era molto agitata per via della morfina che mi veniva somministrata in infusione continua. Temeva che potessi diventarne dipendente, ma la dottoressa Giovanna Giorgiani, a lei molto cara, le ha spiegato che, per chi riceve un trapianto, i dolori possono essere talmente forti da renderla indispensabile».
LA RECIDIVA INASPETTATA
Dopo il trapianto, Ilaria sta bene. Tornata a casa, passa l’estate sui libri per recuperare tutte le materie, scritte e orali, e non perdere l’anno. Impresa complessa, ma riesce nel suo intento e inizia così il suo terzo anno all’istituto aeronautico.
In un pomeriggio di ottobre, che aveva tutto il sapore della normalità, Ilaria pranza al sushi con la sua amica Giorgia. Poche ore dopo, svegliata da un riposino pomeridiano, non si sente bene, vomita, ha un mal di testa insopportabile e spunta un livido all’occhio. Una volta tornata a Pavia, sempre insieme a mamma Armanda, arriva la conferma della recidiva. La chemioterapia, però, non è più un’opzione viste le numerose complicanze a cui era andata incontro in precedenza.
LA FIDUCIA NELLA RICERCA
«Quando ci hanno detto che la chemioterapia non si poteva più fare, eravamo disperati, ci è crollato il mondo addosso», ricorda Rocco, il papà. «Abbiamo pregato e addirittura fatto bere a Ilaria l’acqua santa proveniente da Lourdes, portata da alcuni amici. In quelle situazioni non sai davvero cosa fare e cosa pensare, ma la medicina e la scienza sono venute in nostro aiuto, e ci siamo fidati. Ilaria ha potuto iniziare la cura con un farmaco sperimentale proveniente dall’America, il Blinatumomab».
«Siamo debitori nei confronti dei medici che hanno direttamente curato Ilaria, ma non solo. Dobbiamo moltissimo anche ai ricercatori che lavorano nei laboratori, pur non avendoli mai visti. Grazie ai farmaci da loro scoperti e messi a punto, Ilaria ha potuto continuare ad avere una speranza di guarigione».
IL SECONDO TRAPIANTO DAL PAPÀ
Dopo la terapia, è possibile procedere con un secondo trapianto di midollo, il 10 aprile 2019, questa volta dal papà Rocco. I mesi successivi sono un'altra dura salita. Ilaria arriva a pesare 28 chili, fa fatica anche solo a tenere la testa sollevata o a camminare, ed è alimentata artificialmente. A indebolirla ulteriormente un adenovirus che le provocava diarrea e vomito continui. Senza contare la GVHD, una complicanza post-trapianto che ha coinvolto pelle, fegato e intestino. «La mamma è sempre stata con me in ospedale, in un lettino accanto al mio. Mi accorgevo che controllava continuamente se respiravo», ricorda Ilaria con riconoscenza.
LA FINE DI UN INCUBO
È proprio Armanda, con la tenacia che solo un genitore può avere, ad insistere con i medici affinché la figlia sia dimessa. A gennaio 2020, ottiene ciò che tanto desidera.
«Avevo capito che la stavo perdendo. Ilaria è sempre stata positiva, ma in quegli ultimi mesi non ce la faceva più. Ho preso in affitto una casetta a Pavia, vicino all’ospedale, per poterci tornare per tutti i controlli necessari tre volte al giorno, mattino, mezzogiorno e sera. Per il resto, stavamo a casa, qualche volta raggiunti anche dal papà e dal fratello. Abbiamo imparato a gestire la nutrizione parenterale e tutto ciò che serviva, ma almeno abbiamo potuto respirare un po’ di normalità, fondamentale dopo quasi due anni in ospedale, dove ormai io e Ilaria facevamo parte dell’arredamento».
Nei mesi successivi, la situazione migliora progressivamente. Oggi Ilaria ha 22 anni, frequenta l’università e sta bene. Deve tenere sotto controllo il cuore e la neuropatia si fa ancora un po’ sentire, ma la sua forza e il suo spirito positivo sono immutati, gli stessi che ha mostrato anche in ospedale.
I LEGAMI AFFETTIVI
Ilaria non ha problemi a raccontare tutto, e lo fa sempre con il sorriso. Dalle sue parole emerge quanto fosse legata al personale sanitario, che «ha fatto di tutto per non farmi morire. A Pavia non puoi dire che non ci siano medici, infermieri e oss che non ci mettano il cuore», ricorda. In particolare, il dottor Zecca, a cui spesso faceva il nodo alla cravatta, grazie alla pratica accumulata per via della sua divisa scolastica.
Ilaria è stata un punto di riferimento per i pazienti e per le loro famiglie. Se qualcuno non voleva prendere una medicina o aveva paura dell’anestesia, ci pensava lei a convincerli. Alcuni dei legami creati in ospedale sono durati nel tempo, come quello con la famiglia di Giuseppe, che è venuto a mancare proprio mentre Ilaria era in ospedale, all’inizio del suo percorso. «Ricordo che i primi tempi lui era sempre triste, e io, con il mio immancabile rossetto rosso per tenere alto l’umore, l’ho convinto a ordinare una pizza e a guardare la partita della sua squadra del cuore. Da quel momento cenavamo quasi sempre insieme, e anche le nostre mamme hanno legato. Quando qualche mese fa sono andata a trovarlo al cimitero, ci siamo fatti una bella chiacchierata. Sono sicura che lui mi guardi da lassù e sia contento per me».
LA MALATTIA CAMBIA GLI EQUILIBRI
Ilaria ricorda non solo le difficoltà fisiche, ma anche i disagi collaterali, come il sonno quasi inesistente o il fatto di dover fare i propri bisogni solo ed esclusivamente nella comoda, la sedia forata usata come "vaso da notte". Non dimentica neanche le difficoltà della madre che, per farsi una doccia come si deve, aspettava che il marito le desse il cambio nel fine settimana, mentre nel quotidiano utilizzava un bagno comune, usato da tutti i genitori, maschi e femmine. Il papà e il fratello, invece, ogni sera, rientrando dal lavoro, dovevano fare i conti con una casa vuota e con un insolito e pesante silenzio.
«Quando io e la mamma siamo tornate a casa dopo i lunghi mesi a Pavia, non ci aspettavamo un’atmosfera così. Non c’era più la famiglia che ricordavamo». Ognuno ha vissuto questo difficile periodo a modo proprio e ne è uscito cambiato. Ilaria si rende conto di aver saltato la propria adolescenza, che sta vivendo ora, un po’ a "scoppio ritardato", ed è per questo che ha voglia di uscire e di non perdere tempo. Il supporto psicologico l’ha aiutata a fare i conti con qualche rancore e, dopo tutto quello che ha vissuto, ha imparato a dare il giusto peso alle cose. Oggi affronta la vita consapevole che ogni giorno è un'opportunità da cogliere, senza perdersi in lamentele inutili.

Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile