Quanto contano i social network per i ragazzi, durante le cure e dopo il tumore? Anche i medici si interrogano su come gestire i rapporti con i pazienti attraverso le reti sociali virtuali
In questo, sono come tutti gli altri ragazzi. I giovani colpiti da un tumore amano i social network e costruiscono buona parte delle loro relazioni sociali su piattaforme virtuali. Si spiega così l'interesse rivolto dagli specialisti nei confronti di questo aspetto della vita dei loro pazienti: sia per capire come riescano a ricostruire una rete di rapporti dopo la malattia sia per gestire al meglio la relazione con loro nel corso delle terapie. Molto spesso i ragazzi che hanno superato un cancro, che siano ancora adolescenti o già giovani adulti, hanno una rete di rapporti sociali più solida e ramificata rispetto ai loro coetanei. Questo è quanto hanno documentato alcuni ricercatori del St. Jude Children's Research Hospital di Memphis, in uno studio apparso sulle colonne della rivista Cancer.
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INDAGINE CONDOTTA SUI SOCIAL NETWORK
I ricercatori hanno monitorato l'attività sui social network di 102 giovani (18-30 anni) con alle spalle almeno cinque anni dal termine del percorso di cure oncologiche, comparandola con quella di altrettanti coetanei sani. La valutazione è avvenuta sulla base di un indice funzionale di attività sui social network: uno strumento messo a punto dai ricercatori dell'ospedale statunitense per valutare non soltanto l'estensione (quantitativa) dei rapporti alimentati, ma pure per verificare se i social network possano essere uno strumento di supporto emotivo e pratico (incentivo a pratica attività fisica e a mantenere sotto controllo il peso corporeo) per questi ragazzi. Un aspetto non secondario, come conferma chi si prende quotidianamente cura di questi ragazzi. Diversi studi hanno infatti evidenziato come chi ha connessioni sociali forti - il discorso vale per la popolazione generale - ha una vita felice e mediamente più lunga rispetto a chi ogni giorno trascorre più tempo in solitario.
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Il confronto ha certificato quello che spesso è visibile a occhio nudo frequentando questi ragazzi: chi ha alle spalle una malattia oncologica, è spesso l'elemento nevralgico di una rete sociale diffusa e a maglie strette. Le caratteristiche di questo network, stanto a quanto emerso dalla ricerca, possono però variare sulla base della malattia affrontata. I più attivi sono risultati i ragazzi colpiti da un linfoma, seguiti da chi aveva affrontato una leucemia e da un tumore solido. In coda alla lista, i giovani che avevano superato un tumore cerebrale. «Questi ragazzi, come conseguenza dei trattamenti ricevuti, possono accusare problemi neurocognitivi che rendono più difficile la comunicazione, non soltanto attraverso i social network», spiega l'epidemiologo I-Chan Huang, primo autore della ricerca. «In linea più generale, però, lo studio suggerisce che chi è sopravvissuto a un tumore in età adolescenziale, ha rapporti più numerosi e intensi, che possono aiutarlo nel tempo a superare momenti di angoscia e solitudine».
I SOCIAL NETWORK NEL PERCORSO DI CURA
Ciò non equivale a dire che le preoccupazioni siano assenti dalla testa di questi pazienti o ex, come abbiamo già raccontato in passato. Ma per avere conferma di quanto dedotto dallo studio, basta avere avuto a che fare con alcuni di loro: Matteo, Camilla, Giorgia, Claudia, Giovanna. Ragazzi che, durante il percorso di crescita, hanno avuto la disgrazia di imbattersi in un tumore. E che, da quel momento in avanti, hanno deciso di affrontare la vita con un equilibrio nuovo: fatto di sfrontatezza e razionalità, coraggio alternato a paura, poca spensieratezza e grande maturità. Tutti loro coltivano le relazioni sociali de visu, ma pure (molto) attraverso i social media: da Facebook a Instagram, da Youtube ad Ask, da Messenger a WhatsApp. Grazie a questi ultimi due, sopratutto, sono sempre in rete. Come tutti, ma più degli altri. «L'avvento del web è uno degli elementi che ha rivoluzionato il mondo dell'oncologia pediatrica - afferma Andrea Ferrari, oncologo pediatra responsabile del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Oggi i pazienti adolescenti frequentano la rete a caccia di informazioni sul proprio stato di salute, ma pure per mantenere vivi i rapporti con gli amici e i compagni di scuola che sono all'esterno dell'ospedale e per allacciare e coltivare nuovi rapporti con i coetanei che vivono la stessa situazione». Un desiderio di normalità che va coltivato, seppur con le dovute cautele. Paritcolare attenzione deve esser eposta sopratutto nel rapporto con il personale che è al loro fianco: medici, infermieri, psicologi, educatori e insegnanti. Persone che, come racconta la quasi totalità dei ragazzi passati da questa strettoia, «sono parte della nostra seconda famiglia»: con loro si sfogano, ridono, piangono, a volte vanno a cena assieme. Nella loro spontaneità, i rapporti che sbocciano in questi reparti sono unici, se posti a confronto con quella che è la più frequente relazione tra medico e paziente.
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A dimostrazione di quanto gli aspetti sociali contino nell'affiancare questi ragazzi, c'è la scelta dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (Aieop), della Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica onlus (Fiagop) e delle Società scientifiche adolescenti con malattie oncoematologiche (Siamo) di costituire un gruppo di lavoro per sviluppare alcune indicazioni utili al personale sanitario per gestire i rapporti coi pazienti attraverso i social network. A novembre il primo documento - come esito dell'azione coordinata da Ferrari e da Carlo Alfredo Clerici, psicologo clinico dell'Istituto Nazionale dei Tumori - è stato pubblicato sulla rivista Pediatric Blood & Cancer. È opportuno che un medico stringa amicizia su Facebook con un giovane paziente? Non c'è una risposta univoca, ma gli esperti predicano prudenza: «L'operatore dovrebbe sempre valutare i potenziali rischi di una simile relazione», che di fatto fa cadere ogni confine tra la vita privata e quella professionale dello specialista. Attenzione deve essere posta pure alle interazioni (like e condivisioni) sulla pagina di un paziente, che possono provocare equivoci nella mente di un ragazzo. Meglio evitare, infine, la diffusione di informazioni che possano rendere un paziente riconoscibile. Si tratta di indicazioni del tutto nuove, d'aiuto anche per capire come sfruttare al meglio i social network per fare una corretta informazione.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).