Pietro, 4 mesi, è il figlio di Giada e Vito, due ragazzi ammalatisi di tumore durante l'infanzia e l'adolescenza. «Grazie a lui la malattia è il passato»
A vederli oggi, Giada e Vito sono due genitori come tanti, anche se più giovani rispetto alla media. Scavando nel passato, però, si scopre che la loro giovinezza non è stata una discesa fiorita. Lei, 26 anni, ne aveva dieci quando scoprì di avere un sarcoma dei tessuti molli. Lui, 30 candeline appena spente, da neomaggiorenne capì che c’era qualcosa che non andava. La causa? Un linfoma di Hodgkin. Ma quello che conta è che la malattia rappresenti il passato per entrambi, ormai. A dimostrazione di ciò, c’è lo sguardo di Pietro: il loro primogenito, nato lo scorso settembre. Una gioia incommensurabile, resa più preziosa dai ricordi del passato. «Avere un figlio era il nostro desiderio, ma fino a quando non sono rimasta incinta abbiamo temuto di non poter averne», dichiara la mamma al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi.
L’INFANZIA DI GIADA «INTERROTTA» DA UN SARCOMA
Laterza, provincia occidentale di Taranto. La quotidianità di Giada e di Vito si svolge tutta in questo borgo rupestre in cui il tempo sembra essersi fermato. Vito è nato qui - nel piccolo Comune noto per il pane, la carne al fornello e le maioliche - e oggi porta avanti l’azienda agricola di famiglia. Giada lo ha raggiunto dalla vicina Castellaneta, nel momento in cui hanno deciso di vivere assieme. Lavora come parrucchiera, anche se da settembre è mamma a tempo pieno. Al centro delle sue attenzioni, adesso, c’è quel bambino che, da un paio d’anni, rappresentava il desiderio più agognato. Pietro è troppo piccolo per conoscere la storia dei suoi genitori. Ma quando Giada deve rompere il ghiaccio, è come se avvertisse la delicatezza del momento. Non piange né si agita. Sta tranquillo nella sua navicella e lascia spazio al racconto. «Era autunno, facevo la quinta elementare. Un pomeriggio caddi in casa, su una scala interna in marmo. Questo episodio mi portò a giustificare la presenza un bozzo sul gluteo, che con il passare delle settimane diventò però più esteso e turgido. Non ne parlai con nessuno, salvo con una mia amica, dopo diversi giorni. Fu lei ad avvisare mia madre». La situazione insospettì subito la signora Damiana. In casa, così, scattò subito l’allarme. L’indicazione del pediatra non fugò le paure, anzi. «Mi fu consigliato di andare a Bari, all’ospedale Giovanni XXIII». Ago aspirato, intervento ed esame istologico furono effettuati in meno di un mese. La diagnosi fu la meno auspicabile: un sarcoma dei tessuti molli, per il quale fu necessario sottoporsi per quasi un anno alla chemioterapia e alla radioterapia. Un periodo in cui «non andai a scuola, ma per fortuna avevo la maestra che, quando poteva, veniva a casa a fare lezione», rivela Giada, che nel tempo ha tenuto vivi questi ricordi con il contributo dei suoi parenti.
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LA SITUAZIONE NEL NOSTRO PAESE?
AFFRONTARE L’ADOLESCENZA CON UN TUMORE
L’adolescenza di questa ragazza - un periodo già complesso, a maggior ragione per chi sta facendo i conti con un tumore - è stata diversa da quella delle sue coetanee. Non per la malattia, mai ricomparsa. Quanto per l’isolamento che le fu riservato durante l’intero triennio delle scuole medie. C’è un episodio che Giada ricorda come se risalisse a poche ore fa. «Era una domenica mattina, il momento quello dell’uscita dalla chiesa. In piazza, sedute su una panchina, riconobbi due amiche. Mi diressi verso di loro, non le vedevo da un po’ e avrei voluto giocare assieme. Ma non appena mi videro sopraggiungere, si alzarono e cominciarono a correre nell’altra direzione. Avevo 11 o 12 anni, ma capii subito che non avrebbero voluto trascorrere del tempo con me». Un'esperienza che, a sentirla raccontare, rappresenta una ferita ancora aperta nella mente di Giada. «In quel periodo furono in molti a defilarsi, ma non ho mai saputo il perché. Oggi, forse, inizio a capirlo. Quindici anni fa, in un paesino come il mio, nessuno parlava di cancro». Men che meno se a esserne colpito era un bambino o un adolescente: cattiva sorte che ogni anno riguarda poco più di 1.400 bambini, soltanto in Italia. Chi aveva avuto la sfortuna di ammalarsi, quasi si vergognava. «Per fortuna la situazione è cambiata. Se avessi affrontato il tumore oggi, le cose sarebbero andate decisamente meglio».
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L’INCONTRO CON VITO
Le difficoltà svanirono con l’inizio delle scuole superiori. Conoscere nuovi coetanei, ignari del passato, aiutò Giada a rimettere in moto la sua vita. Nel 2011 avvenne il primo «incontro» con Vito. Il rapporto, per quasi sei anni, è stato alimentato a distanza. «Ci sentivamo su Facebook, ma non eravamo ancora pronti per incontrarci». Oggi è difficile dire come sarebbe finita se un giorno, congedandosi prima di andare in ospedale per dei controlli, Vito non le avesse chiesto la ragione di questo impegno. Il resto - mai emerso fino a quel momento - venne da sé. «Da piccola ho avuto un cancro e continuo a sottopormi periodicamente ad alcuni accertamenti», gli rispose Giada. «Ma come, anche tu?», ribatté lui, più grande di quattro anni, che dopo aver spento 18 candeline (nel 2008) si era ritrovato a fare i conti con un linfoma di Hodgkin: una delle malattie oncologiche più frequenti tra i giovani adulti. «Raccontarci il nostro passato contribuì ad avvicinarci», ricorda Giada, che pochi mesi dopo aver messo a nudo il suo passato accettò l’invito a uscire giunto dal suo attuale compagno, meno propenso a fare i conti con il passato davanti allo specchio. «Da quel momento, non ci siamo più lasciati. E oggi, nonostante sia già arrivato un figlio, spesso ridiamo pensando a quanto tempo abbiamo perso…».
UN FIGLIO DOPO IL CANCRO
Sarà per questo che tutto, dopo, è avvenuto in men che non si dica. Prima la convivenza, poi la gravidanza. «Onestamente, non pensavo che sarebbe arrivata in così poco tempo», ammette Giada, che a 20 anni, per diversi mesi, ha temuto di essere a un passo dalla menopausa. In effetti il rischio, come conseguenza delle terapie ricevute da entrambi, esisteva. Ma visto che il destino era già stato tutt’altro che benevolo con questi ragazzi, è giunta la ricompensa. «Adesso, quando la sera ci sediamo sul divano, ci guardiamo e stentiamo ancora a credere come sia cambiata la nostra vita», racconta questa giovane mamma di provincia, cresciuta in fretta a causa del cancro mentre i suoi coetanei scorrazzavano tra i vicoli del paese. Pietro la osserva in silenzio. Giada non distoglie mai lo sguardo dai suoi occhi, mentre nella sua mente scorrono i volti delle persone a lei più vicine nei mesi della malattia. Il primo pensiero è «per mia mamma, che si è sempre fatta in tanti piccoli pezzettini per me ed è una presenza costante nella mia vita». Quello che non è più invece Nadia. «Ci conoscemmo in reparto, aveva una leucemia: ma non ce l’ha fatta», racconta commossa. «Quanto mi avrebbe fatto piacere farle conoscere Pietro».
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LA FORZA DEL RACCONTO
La gravidanza l’ha resa una ragazza più forte, ammette chi la conosce da tempo. È la prima volta che racconta il suo vissuto: il nostro primo invito risale esattamente a un anno fa. «Dovevo sentirmi pronta, adesso lo sono davvero. Mi piacerebbe poter essere d’aiuto a chi adesso sta affrontando questa sfida. Io, nei momenti più bui, non ho mai perso il sorriso. Voglio pensare che sia anche per quello che oggi sono qui, seduta a parlarne di fronte al regalo più bello che potesse farmi la vita». Un bambino di poco più di quattro mesi, grazie al quale i genitori hanno messo definitivamente alle spalle il loro passato.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).