Nella «classifica» delle diete, quella mediterranea stacca tutte le altre. Bocciato lo schema «low-carb», pollice verso anche per le diete iperproteiche
La dieta mediterranea incassa un (nuovo) importante successo, questa volta al termine del confronto con altri schemi alimentari più «in voga». Nessun regime più di quello studiato e validato dal fisiologo americano Ancel Keys - e caratteristico delle regioni del Meridione italiano: oltre che della Grecia, della Spagna e dei Paesi Nordafricani - è efficace nel garantire una perdita di peso duratura. E, grazie alla riduzione di una serie di fattori di rischio (cardiovascolari e metabolici), un complessivo miglioramento delle condizioni di salute. A sancire il primato è uno studio pubblicato sulla rivista Advances in Nutrition, che tra le righe lascia intendere come le diete che promettono i risultati desiderati in poche settimane, siano spesso destinate a perdere efficacia nel tempo. Con il rischio, inoltre, di determinare un peggioramento delle condizioni di chi le segue.
ECCO TUTTI I BENEFICI
DELLA DIETA MEDITERRANEA
IL PRIMATO DELLA DIETA MEDITERRANEA
La considerazione emerge dalle conclusioni di una rassegna di circa 80 tra revisioni e metanalisi disponibili, con cui nel tempo sono state analizzate le variazioni sui parametri antropometrici (a partire dal peso corporeo) e sui fattori di rischio cardiometabolico (livelli ematici di colesterolo totale, Ldl, Hdl e trigliceridi, quelli di glucosio, insulina, emoglobina glicata e la pressione arteriosa) determinati da 11 tra le diete più popolari. Nello specifico: quelle a basso contenuto di carboidrati («low carb») o di grassi, le iperproteiche, la dieta paleolitica, la dieta a Zona, la mima-digiuno, la dieta vegetariana, la dieta nordica, la dieta Dash, quella mediterranea e la dieta portfolio. Nel lavoro sono stati considerati tutti gli interventi dietetici per i quali, in letteratura, fosse presente almeno una metanalisi di studi d’intervento condotti su adulti e con un confronto con diete di controllo. La rassegna, come raccontato a più riprese anche su queste colonne, ha confermato il «primato» della dieta mediterranea per gestire il peso e prevenire l'insorgenza delle malattie croniche, prima fra tutte il diabete di tipo 2.
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DIETA MEDITERRANEA: IL PESO CALA E LA SALUTE MIGLIORA
Parallelamente all'aumento dei tassi di sovrappeso e obesità, è cresciuta nel tempo la quota di persone che ha provato a modificare le proprie abitudini alimentari per perdere i chili di troppo. Secondo un lavoro pubblicato nel 2016 sulla rivista Obesity Reviews, oltre 4 adulti su 10 hanno provato una volta nella vita a mettersi a dieta. Inevitabile, a fronte di tanta attenzione, è stato il proliferare di nuove diete accompagnate da tante promesse. In molti casi, però, rimaste tali. «La nostra ricerca suggerisce che, a prescindere dal tipo di dieta, è quasi sempre la riduzione dell’apporto energetico a determinare il dimagrimento - spiega Monica Dinu, prima firma dello studio e ricercatrice del dipartimento di medicina sperimentale e clinica dell'Università di Firenze -. L’effetto sui fattori di rischio cardiometabolico, invece, appare più eterogeneo». Sfogliando le pagine della pubblicazione, emerge che quasi tutte le diete più alla moda possono avere conseguenze negative sulla salute. Senza peraltro assicurare che la perdita di peso si protragga nel lungo periodo. L'alternativa più bilanciata alla dieta mediterranea - in quanto molto simile - è risultata la dieta Dash, che si basa su elevato apporto di cereali integrali, pesce, frutta e verdura. Diversi studi epidemiologici hanno inoltre evidenziato che le persone che seguono uno di questi due schemi alimentari hanno un rischio inferiore di sviluppare le malattie cardiovascolari, il diabete e diversi tumori.
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BOCCIATE LE DIETE «LOW»
Dal compendio emerge anche il parere negativo nei confronti delle diete «low». Come tali, si definiscono quei regimi alimentari che puntano sulla riduzione di un unico macronutriente o di una categoria di alimenti. Nel caso in questione, sono state considerate le diete «low carb» (a basso contenuto di zuccheri), «low fat» (con meno grassi) e a basso indice o carico glicemico. Al di là delle rispettive caratteristiche e degli apporti variabili tra i diversi studi passati in rassegna, il lavoro condotto dal Gruppo giovani della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu) ha espresso il pollice verso nei loro confronti. Troppo «suggestive o deboli» le evidenze riguardanti la perdita di peso e la riduzione dell'indice di massa corporea. «Contrastanti» invece sono stati definiti gli effetti sulla pressione sanguigna e sui livelli di zuccheri e grassi nel sangue: fattori di rischio per l'insorgenza di diverse malattie croniche.
POLLICE VERSO ANCHE PER LE DIETE IPERPROTEICHE
Nemmeno le diete iperproteiche - tra quelle più in auge per favorire una veloce perdita di peso - hanno incassato il via libera degli specialisti. Diversi studi hanno ipotizzato che, favorendo la sazietà e aumentando il dispendio energetico, un regime alimentare caratterizzato da un elevato consumo di cibi ricchi di proteine (per circa il 30 per cento dell'apporto giornaliero) possa accelerare il dimagrimento. Ma secondo Dinu, «le diete iperproteiche e la dieta paleolitica non solo non risultano più efficaci rispetto ad altre nel promuovere la perdita di peso nel lungo periodo, ma possono indurre effetti indesiderati su alcuni parametri rilevanti: primo tra tutti il profilo lipidico». Quanto ad altri modelli alimentari, come la dieta vegetariana o la dieta nordica (basata sulla stagionalità degli alimenti, è ricca di pesce, cereali integrali e verdure e non prevede il consumo di cibi surgelati), le evidenze a supporto sono ancora limitate per poter mettere nero su bianco i benefici.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).