Se si smette di fumare, le cellule sane dell'epitelio bronchiale sarebbero in grado di «neutralizzare» alcune mutazioni alla base del tumore del polmone
Prima lo si riesce a fare, meglio è. Ma non c'è un momento oltre il quale non abbia senso provare a smettere di fumare. Che valga sempre la pena lo confermano tutti gli specialisti, abituati a registrare i progressi compiuti dai loro pazienti (ex fumatori) anche dopo decenni di fumo. Adesso la conferma giunge anche dai laboratori, dove un gruppo di ricercatori inglesi ha osservato che le cellule dell'epitelio bronchiale degli ex fumatori, rigenerandosi, sarebbero in grado di «cancellare» buona parte delle mutazioni indotte dalle oltre 60 sostanze cancerogene sprigionate dal fumo di sigaretta. Un processo che riduce sensibilmente il rischio di ammalarsi di tumore al polmone.
DOPO ANNI DI FUMO, E' COMUNQUE UTILE SMETTERE DI FUMARE?
POLMONI «RIGENERATI» SENZA FUMO
I ricercatori del Wellcome Sanger Institute e dell'University College di Londra hanno sequenziato i genomi di 632 colonie di cellule prelevate con una broncoscopia da 16 persone: bambini, non fumatori, ex e attuali fumatori. Il confronto ha svelato un dato atteso: ovvero l'estrema variabilità nel numero delle mutazioni rilevabili nel Dna. Le «alterazioni» della struttura del codice genetico tendono a verificarsi in tutti gli individui, con il passare degli anni. Ma l'azione delle sostanze cancerogene sprigionate dal fumo rende più rilevante, oltre che precoce, questo processo. Da questo lavoro, pubblicato sulle colonne della rivista Nature, è emerso anche un altro aspetto. Il numero di mutazioni presenti nel Dna delle cellule degli ex fumatori era pressoché lo stesso rilevabile in quelle dei non fumatori. Segno che l'epitelio bronchiale, una volta spenta l'ultima sigaretta, ha la capacità di «rigenerarsi» e di ripristinare un equilibrio tra cellule sane e mutate. Con le prime che, rimaste indenni nonostante le «sollecitazioni» del fumo di sigaretta, nel tempo svilupperebbero la capacità di difendere l'organismo dalle seconde.
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IL FUMO LASCIA IL «SEGNO» SUL DNA
Un'ipotesi che spiegherebbe quelli che sono i dati prodotti da numerosi studi epidemiologici. Allontanarsi dal fumo di sigaretta, anche dopo molti anni, riduce il rischio di ammalarsi di tumore al polmone. Il beneficio è duplice. «Oltre a non accumulare ulteriori danni, è come se le cellule sane prendessero il sopravvento rispetto a quelle maggiormente danneggiate e più esposte a dare il la alla formazione di una neoplasia», spiega Samuel Janes, docente di malattie dell'apparato respiratorio all'University College di Londra e coautore dello studio. L'«effetto-scudo» si rivolgerebbe a quelle cellule che, nei fumatori, possono presentare un numero di mutazioni del Dna compreso tra 1.000 e 10.000. I meccanismi di riparazione del nostro organismo sono in grado di mitigarne la maggior parte delle conseguenze. Non tutte, però. Ecco l'importanza di trovare nuovi potenziali «alleati» per attenuare le probabilità di sviluppare quella che è la terza neoplasia più diffusa, dopo i tumori al seno e al colon-retto.
DANNO AI POLMONI: DIVERSE LE IPOTESI
Le neoplasie polmonari che si rilevano tra i fumatori - pari all'80-90 per cento del totale - hanno quasi sempre origine da una di queste mutazioni «irreparabili». Un ulteriore elemento a supporto di questa ipotesi deriva dal fatto che queste sono più numerose rispetto a quelle si rilevano nei pazienti che si ammalano di tumore al polmone senza aver mai acceso una sigaretta. Detto ciò, la maggior parte delle mutazioni sono neutre, non in grado di farci ammalare. Quelle che hanno la capacità di «guidare» la cellula verso la piena trasformazione neoplastica vengono definite «driver». Nel caso del tumore del polmone, si stima che siano non più di venti. Ci sono altri fattori che potrebbero comunque contribuire allo sviluppo della malattia: l'infiammazione (accentuata comunque dal fumo), una ridotta attività del sistema immunitario, alcune infezioni.
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SMETTERE FA SEMPRE BENE
Vero è che prima si smette di fumare, meglio è. «Ma il nostro studio dimostra che, al di là del momento in cui si spegne l'ultima sigaretta, c'è la possibilità di ridurre il rischio di ammalarsi di cancro del polmone», puntualizza Janes. Abbandonare la sigaretta produce effetti sia nel lungo periodo sia nell’immediato. Un fumatore che smette a 50 anni, per esempio, dimezza le probabilità di decesso nei tre lustri successivi. Ciò vuol dire che, a 65 anni, la stessa persona convive con un rischio di morire confrontabile a quello di chi non ha mai fumato. Il rischio di ricevere una diagnosi oncologica o di una malattia cardiovascolare cala anche se si smette di fumare in età più avanzata. Una scelta, quest'ultima, che favorisce il miglioramento della circolazione e della capacità respiratoria e ha un impatto tangibile nella qualità di vita in un periodo in cui ogni limitazione fisica rischia di anticipare la perdita dell’autosufficienza.
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COME SMETTERE DI FUMARE
Se non si riesce da soli a smettere di fumare, sono diversi gli approcci a cui si può ricorrere rivolgendosi a un centro antifumo. Lo specialista, come primo passo, deve tracciare un «identikit» della persona che ha di fronte: quanto e quando fuma, da quanto tempo, quale atteggiamento adotta nei confronti del fumo. Raccolti questi dati, può aiutarla con un programma che prevede il ricorso a un metodo unico o a un insieme di strategie. Chi smette di fumare con la terapia sostitutiva della nicotina (caramelle, cerotti, inalatori o gomme da masticare) ha circa l’80 per cento di probabilità in più di farcela rispetto a chi non usa nessun farmaco. Altri farmaci impiegati nella disassuefazione dal fumo sono la vareniclina e il bupropione, che aiutano il paziente a controllare i momenti in cui la voglia di una sigaretta aumenta. Effetto analogo a quello determinato dalla citisina, un'agonista parziale della nicotina (al pari della vareniclina). Le sigarette elettroniche? Impossibile al momento affermare che aiutino a smettere. Ma chi le preferisce a quelle tradizionali arreca sicuramente un danno minore alla propria salute.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).