Chiudi
Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 24-07-2020

Tumore del fegato: nuova prospettiva di cura dal trapianto d'organo



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Uno studio italiano conferma come il trapianto di fegato sia la terapia più efficace per l’epatocarcinoma. E si appresta ad allargare la platea dei possibili beneficiari

Tumore del fegato: nuova prospettiva di cura dal trapianto d'organo

Sostituire l'organo, per provare a vincere il faccia a faccia con una delle malattie oncologiche più aggressive: il tumore del fegato. È destinato ad allargarsi il target dei possibili beneficiari del trapianto per curare l’epatocarcinoma, la più diffusa forma di cancro che può colpire l'organo più grande del nostro organismo. A documentarne l’efficacia è uno studio condotto da nove centri italiani e pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology. Coordinati da Vincenzo Mazzaferro, direttore della struttura complessa di chirurgia generale a indirizzo oncologico 1, i chirurghi hanno dimostrato la superiorità del trapianto rispetto ai trattamenti standard. Una possibilità in più, dunque, che riguarda però soltanto i pazienti con una malattia limitata all’organo e non già in fase metastatica.

QUANDO E' POSSIBILE EFFETTUARE
UN TRAPIANTO D'ORGANI? 

TUMORE DEL FEGATO: DAL TRAPIANTO UNA NUOVA CHANCE DI CURA

A queste conclusioni, gli esperti sono giunti dopo aver portato a termine uno studio su 74 pazienti (18-65 anni) affetti da carcinoma epatocellulare (senza metastasi), sottoposti a varie terapie (chirurgiche locali farmacologiche) per ridurre le dimensioni del tumore. Una volta completata la loro selezione, uomini e donne sono stati suddivisi in due gruppi. Coloro che sono finiti nel primo sono stati inseriti in lista d'attesa per essere sottoposti al trapianto di fegato. Tutti gli altri hanno continuato a essere curati con le terapie in uso per limitare la diffusione della malattia (chemioterapia, radioterapia, chemioembolizzazione). Due gli obiettivi dello studio: valutare le differenze nella sopravvivenza senza la malattia e in quella globale a cinque anni dall'avvio dello studio. Per entrambi gli step, il divario tra i due gruppi è risultato netto. Un lustro più tardi, il 76.8 per cento dei pazienti trapianti non aveva tracce di ripresa della malattia e ben il 77.5 per cento era vivo (contro rispettivamente il 18.3 e il 31.2 per cento rilevati nel gruppo di controllo). Quest'ultimo in particolare è un dato eccezionale, se si considera che in Italia appena 1 paziente su 5 colpito da un tumore del fegato risulta vivo a cinque anni dalla diagnosi.


Trapianto di fegato possibile anche con donatori ultranovantenni

UN'OPZIONE ANCHE PER CHI HA UNA MALATTIA INTERMEDIA O AVANZATA

«Fino a oggi una tale dimostrazione di qualità ed efficacia del trapianto di fegato nel trattamento della malattia oncologica epatica non era mai stata ottenuta a livello internazionale - afferma Mazzaferro, coordinatore dello studio a cui hanno preso parte anche i colleghi di altre otto strutture ospedaliere: il Niguarda e il Policlinico di Milano, il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, le Molinette di Torino, gli Ospedali Riuniti di Ancona, i policlinico Tor Vergata e Umberto I di Roma e l'Ismett di Palermo -. I risultati di questo lavoro suggeriscono che, sulla base della risposta alle terapie loco-regionali, oggi anche i pazienti con un tumore epatico in stadio intermedio o avanzato, finora esclusi dalla possibilità di ricorrere al trapianto, possono essere candidati a questo trattamento». Un'evidenza di questo tipo ha buone chance di diventare una «pietra miliare nella storia delle terapie per il carcinoma epatocellulare», conferma l'esperto. E di cambiare l'approccio nei confronti di una malattia che, negli ultimi anni, non ha potuto godere di nuove opzioni farmacologiche

 
Trapianto di fegato: un «lavaggio» per aumentare il numero di donatori


TRAPIANTO ANCHE PER PAZIENTI FINORA ESCLUSI

In ambito oncologico, si ricorre al trapianto in un numero limitato di casi. Ovvero quando il tumore (alla diagnosi) era composto da un singolo nodulo di dimensioni inferiori a 5 centimetri o da un massimo di tre noduli ognuno dei quali grande meno di 3 centimetri. La possibilità di rimpiazzare l'organo malato con uno sano (o anche con una porzione di esso) è invece esclusa in caso di rilevamento di cellule tumorali nella rete vascolare del fegato o di metastasi a distanza. Questo perché l'esperienza insegna che, a fronte di simili condizioni, anche l'organo trapiantato può essere colpito dal cancro. E considerando che di organi disponibili non ce ne sono tanti, la scelta del paziente a cui destinarne uno deve tenere conto della sua prospettiva di vita. Alla luce di queste evidenze, però, la platea dei possibili beneficiari potrebbe essere allargata a coloro che, pur non rientrando inizialmente tra i possibili destinatari di un trapianto di fegato, si ritrovano nei criteri dopo aver effettuato una terapia mirata alla riduzione della massa.

OCCORRE FAR CRESCERE IL NUMERO DEI DONATORI

Per questa ragione, diventa ancora più importante ampliare la disponibilità di organi pronti per essere trapiantati. Al 31 dicembre, infatti, erano oltre mille i pazienti in attesa di un fegato. Di questo passo, immaginando che i dati presentati possano dare il la a una revisione delle linee guida, la quota è destinata a crescere. Ragion per cui serve uno slancio d'altruismo collettivo per far crescere i tassi di sopravvivenza dei pazienti colpiti da un epatocarcinoma. «Se da un lato è necessario continuare a investire nella ricerca, dall’altro è fondamentale diffondere nel nostro Paese una più forte cultura della donazione degli organi, senza la quale i trapianti sono impossibili - fa la sintesi Massimo Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti -. Questo studio conferma che la decisione di donare gli organi non costa nulla a chi la compie, ma salva la vita di chi riceve il trapianto».
 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina