I risultati possono essere soddisfacenti anche quando l’età è così avanzata. Per un trapianto di fegato, quasi tre organi su dieci arrivano da ultraottantenni
È il secondo organo più trapiantato, dopo i reni. Il fegato è la centrale energetica dell’organismo e, come tale, la sua compromissione può risultare fatale. Nasce da qui la necessità di ampliare il numero di organi (e dunque trapianti di fegato) da mettere a disposizione di chi ne potrebbe aver bisogno.
Fare ricorso alla popolazione anziana tra i donatori è una delle opportunità maggiormente considerate dagli esperti.
IN QUALI CASI PUO' AVVENIRE IL PRELIEVO DEGLI ORGANI?
DONATORI ANCHE A 90 ANNI
Il fegato è un organo dotato di longevità. Può sopportare stress severi, rigenerarsi e dunque essere funzionante anche nelle persone di età avanzata. Per questo motivo, negli ultimi anni, è cresciuta la considerazione dell’opportunità di prelevare il fegato (purché in buone condizioni) anche da persone anziane decedute. Non che prima ci fossero limiti specifici, ma adesso è opinione diffusa quella di considerare le persone che muoiono oltre gli ottant’anni, se dotate di un organo in salute, in grado di donare il proprio fegato. C’è anche chi non se la sente di escludere l’opportunità per gli over 90: anzi.
È il caso degli esperti dell’unità operativa di chirurgia epatica e del trapianto di fegato dell’azienda ospedaliero-universitaria di Pisa, primo centro per numero di interventi in Italia. Gli esperti, attraverso una lettera pubblicata sulla rivista Transplantation, hanno riportato la prima casistica di trapianti di fegato (tre) effettuati utilizzando organi di donatori ultranovantenni.
Tutti gli interventi sono andati a buon fine e i risultati in termini di sopravvivenza sono rimasti analoghi a quelli ottenuti da donatori più giovani. «L’obiettivo per il futuro è garantire risultare ottimali utilizzando organi sempre più anziani in riceventi in condizioni complesse, dettate dalla compresenza di diverse malattie - afferma Davide Ghinolfi, dirigente medico delladivisione di chirurgia generale e trapianto d’organi della struttura toscana e primo autore della pubblicazione -. Occorre comprendere i criteri corretti di selezione di questi organi e individuare come distribuirli ai riceventi più adeguati».
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NEL 2025 PIU’ DELLA META’ DEGLI ORGANI DA ULTRAOTTANTENNI?
Per aumentare le chance dei malati in attesa di trapianto, si sono seguite diverse strade. Oltre a ricorrere all’opportunità di prelevare una parte di fegato da vivente, negli ultimi dieci anni, seguendo un trend comune a tutto il mondo occidentale, la percentuale di donatori anziani è cresciuta. Oggi, di fatto, quasi tre organi su dieci arrivano da persone over 80. I pazienti anziani sono dunque sempre più importanti nella medicina dei trapianti, come documentato in un lavoro pubblicato nel 2014 sull’American Journal of Transplantation.
A vergarlo sempre gli esperti della struttura toscana, che avevano evidenziato come tra il 2007 e il 2014 l’età media dei loro donatori si fosse alzata: da 64 a 75 anni. Ma a sorprendere è soprattutto l’aumento di donatori con più di ottant’anni, registrato tra il 2008 e il 2015: s’è passati dall’8,6 al 26,1 per cento sul totale di coloro a cui è stato prelevato il fegato nell’ospedale pisano. Una tendenza che, secondo i colleghi del reparto di chirurgia generale e dei trapianti dell’ospedale Niguarda di Milano, «porterà ad avere donatori con un’età media di ottant’anni già nel 2025». Il che significa, stando a quanto messo nero su bianco sulla rivista Liver Transplantation, che «da quel momento in poi più della metà dei trapianti di fegato potranno essere eseguiti utilizzando organi prelevati da donatori over 80».
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UN AIUTO PER RIDURRE LE LISTE DI ATTESA
L’aspetto più interessante di un simile avanzamento della scienza è legato all’opportunità di far calare il numero di pazienti in lista di attesa per sottoporsi a un trapianto di fegato. Nella pratica, però, la strada da percorrere è ancora lunga. Un’analisi condotta dalla Regione Toscana ha infatti evidenziato come i due terzi dei pazienti entrati in ospedale nel 2015 per una lesione cerebrale acuta, deceduti nelle successive settantadue ore, non abbiano perso la vita in un reparto di terapia intensiva e di conseguenza non risultavano avviati a un percorso di donazione.
Questo perché resta ancora difficile identificare in maniera corretta i pazienti in morte cerebrale e per questo motivo i percorsi idonei al processo di valutazione e donazione non risultano sempre attivi. In più la comunità scientifica è scettica di fronte all’ipotesi di procedere al prelievo dell’organo da una persona morta per cause cardiovascolari. «Questi dati supportano l’idea che la sottostima dei potenziali donatori è ancora alta - prosegue Ghinolfi -. Senza preclusioni legate all’età, il numero di organi disponibili potrebbe aumentare in maniera determinante», contribuendo così ad alleggerire una lista d’attesa (oltre che a ridurre il numero dei decessi) che al 31 dicembre 2015 contava 1.072 pazienti: dato ormai costante dal 2011. A fare la differenza, dunque, non è l’età del donatore, ma le sue condizioni generali.
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IN QUALI CASI SERVE UN FEGATO NUOVO?
Il trapianto di fegato può rendersi necessario per diverse condizioni. La sostituzione dell’organo rappresenta l’unica soluzione radicale nei confronti di un tumore del fegato (264 gli interventi effetti nel 2015 in Italia per questa causa): a patto che la massa sia inferiore a cinque centimetri e non abbia già dato origine a delle metastasi.
Ma un fegato nuovo può servire anche ai pazienti colpiti da cirrosi epatica e alcolica (cause di 627 trapianti nel 2015), a coloro che rigettano un primo organo e richiedono un ulteriore traipanto (60), a chi risulta colpito da malattie metaboliche (28) o da un'insufficienza epatica acuta (17), riconoscibile dall’alterazione della coagulazione del sangue e da uno stato di confusione mentale specifico (encefalopatia epatica). Nei casi più gravi, in cui la prospettiva di vita può essere inferiore a una settimana, non c’è alternativa al trapianto.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).