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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 28-05-2019

Preserviamo il cuore dei malati di cancro



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I medici parlano ancora troppo poco ai pazienti delle possibili ripercussioni delle terapie oncologiche sul cuore. I consigli per sopravvivere al tumore in buona salute

Preserviamo il cuore dei malati di cancro

Al primo posto, tra le malattie da curare, c’è il cancro. Ma chi se ne occupa, può fare di più per informare i pazienti dei rischi che alcune terapie possono determinare per il cuore. A maggior ragione in una fase storica in cui i tassi di sopravvivenza continuano a crescere e occorre occuparsi sempre di più della qualità della vita dei pazienti oncologici. «A seconda della terapia che si riceve, la probabilità di sviluppare un problema cardiaco oscilla tra l’1 e il 25 per cento», ha affermato Robyn Clark, docente di malattie dell'apparato cardiovascolare alla Flinders University (Adelaide), nel corso di «EuroHeartCare 2019», congresso organizzato a Milano dalla Società Europea di Cardiologia. L’occasione è stata propizia per accendere una luce su un problema sempre più rilevante, in considerazione dell’invecchiamento della popolazione. Ammalarsi di cancro in età avanzata aumenta le probabilità di trovarsi di fronte a un paziente con un cuore non in perfetta forma.

CHE COS'E' LO SCOMPENSO CARDIACO? 

CARDIOTOSSICITA' POCO CONOSCIUTA

Andando a «interrogare» le cartelle cliniche di 46 pazienti ammalatisi di tumore tra il 1979 e il 2015, nel tempo costretti a sottoporsi ad altre terapie per la comparsa di complicanze cardiovascolari, i ricercatori australiani hanno osservato che appena un paziente su 10 era stato visitato da un cardiologo prima dell'inizio delle cure oncologiche e meno della metà era stato affidato alle sue cure: nonostante le evidenti manifestazioni di un'insufficienza cardiaca. Di poco superiore al 50 per cento, invece, la quota dei pazienti che avevano modificato la propria dieta dopo essersi ammalate di cancro. Il problema è che, in molti casi, il cambio di abitudini era avvenuto sulla base di conoscenze inadeguate e senza le necessarie indicazioni da parte di uno specialista. Segno che la consapevolezza in merito agli effetti tossici delle cure oncologiche è ancora perfettibile.


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L'IMPORTANZA DEGLI STILI DI VITA

Il rischio di sviluppare un’insufficienza cardiaca può concretizzarsi fino a vent’anni dopo il termine delle cure e «dipende anche da comportamenti individuali quali il fumo di sigaretta, il sovrappeso e la sedentarietà», ha aggiunto Clark: aspetto peraltro confermato anche dal piccolo studio presentato a Milano, visti i più alti tassi di incidenza di complicanze cardiovascolari registrati nei pazienti con un peso superiore a quello forma, fumatrici, diabetici e consumatrici abituali di bevande alcoliche. Non essendo a conoscenza delle potenziali insidie per il cuore, evidentemente, questi pazienti non avevano fatto il possibile per modificare le proprie abitudini. Oppure erano stati particolarmente sfortunati, ammalandosi pur avendo corretto il proprio stile di vita. «Mentre si è tutti concentrati a eliminare il cancro, i problemi cardiovascolari, già presenti al momento della diagnosi o comunque più frequenti nei pazienti oncologici, spesso non vengono riconosciuti e adeguatamente trattati - commenta Nicola Maurea, direttore della struttura complessa di cardiologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori Fondazione Pascale di Napoli -. Le tecniche ecocardiografiche attualmente diffuse nella maggior parte degli ospedali e sul territorio non sono sufficienti a diagnosticare precocemente l’insufficienza cardiaca in questi pazienti». 

L'APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE

Eppure le più recenti linee guida (sia della Società Europea di Oncologia Medica sia della Società Europea di Cardiologia) indicano che, quando si ha di fronte un paziente oncologico, è obbligatorio utilizzare le nuove metodiche di studio della funzione cardiaca: l’ecocardiografia tridimensionale e la cosiddetta «speckle tracking», che permette di esplorare la funzionalità del tessuto muscolare del cuore durante le contrazioni. Nel gruppo preso in esame i ricercatori hanno osservato come, dopo l'introduzione delle linee guida della Società Europea di Cardiologia nel 2016, sia aumentata l'abitudine a chiedere il consulto di un cardiologo prima di iniziare la chemioterapia. Ma è ancora presto per definire i tassi osservati soddisfacenti. Da qui la necessità di far conoscere l'importanza di un approccio multidisciplinare - considerando anche la figura del cardiologo, possibilmente esperto di queste problematiche - nella cura del cancro.


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LE TERAPIE NON SONO TUTTE UGUALI

Il tumore determina di per sé un aumentato rischio di trombosi ed embolia. Ma non c'è una frequenza dei controlli che possa essere definita valida per tutti. L'indicazione deve tenere conto delle condizioni di partenza e del tipo di terapia scelta. La radioterapia del mediastino, per esempio, aumenta il rischio di sviluppare una cardiopatia ischemica. La chemioterapia può determinare una diminuzione dell'elasticità e della capacità contrattile, con possibili aritmie. Gli anticorpi monoclonali, inibendo la formazione di nuovi vasi sanguigni, possono esporre il paziente all'ipertensione. Aggiunge Maurea: «Con un simile ventaglio di opportunità terapeutiche, abbiamo ottenuto un sensibile miglioramento in termini di guarigione e sopravvivenza rispetto a molte forme di tumore. Questi successi, in alcuni casi, sono però accompagnati dalla comparsa di effetti collaterali come quelli cardiovascolari, tra i più pericolosi per la vita del paziente». Questo non vuol dire che si debba rinunciare a terapie salvavita. Piuttosto esigere un trattamento integrato: cardiologo e oncologo a braccetto per mettersi alle spalle definitivamente la malattia. 

 

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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