I pazienti con un tumore, data l'età mediamente elevata, soffrono spesso di patologie cardiache anche a causa degli effetti indesiderati di alcuni farmaci. Ecco perché servono cardiologi specializzati in oncologia
Più della metà dei pazienti oncologici si trova a fare i conti con problemi di cuore. Circa il 40 per cento dei malati di tumore, infatti, soffre anche di patologie cardiovascolari legate soprattutto all’età avanzata. A questi si aggiunge un 15 per cento dei pazienti che nelle fasi più avanzate della malattia ha una metastasi al cuore o alla sottile membrana che lo riveste, il pericardio. Un numero piuttosto elevato, dovuto al fatto che le cellule cancerose arrivano al cuore attraverso il flusso sanguigno (abbondantissimo, com’è ovvio, nel muscolo cardiaco) attraverso i vasi linfatici o direttamente dagli organi vicini (come accade in genere con le neoplasie del polmone e della mammella). E ancora: alcuni farmaci antitumorali possono talvolta nuocere al muscolo cardiaco. E’ un fenomeno più frequente di quanto si pensi (può arrivare a interessare il 30 per cento dei casi) e può condizionare gli oncologi nelle scelte terapeutiche. Ecco perché è nata la cardioncologia, nuova branca della cardiologia destinata a permettere cure più efficaci e un migliore decorso della malattia a tanti pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia.
Per capirne di più abbiamo rivolto le nostre domande a uno dei maggiori esperti internazionali sul tema: Carlo Cipolla, direttore dell’Unità di cardiologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, presidente e fondatore dell’International Cardioncology Society (ICOS), impegnata a studiare e diffondere nuove strategia per combattere le malattie cardiache e oncologiche concomitanti e, in particolare, le complicanze delle terapie antitumorali.
Dottor Cipolla, come si è arrivati a parlare di cardioncologia?
Rispondendo alle necessità dei malati che ogni giorno incontriamo in corsia. Se è vero che i tumori oggi sono in aumento è anche vero che, fortunatamente, grazie a cure nuove e più efficaci sale il numero di chi guarisce o sopravvive lunghi periodi. Inoltre, la stragrande maggioranza della popolazione, che ha un’aspettativa di vita sempre più lunga, va incontro più frequentemente a patologie cardiache. L’effetto combinato di questi tre fattori farà sì che nei prossimi anni si verifichi un incremento notevole dei casi di persone contemporaneamente affette da problemi cardiaci e tumore.
E per curarli servono persone specializzate?
Esatto. Oggi il malato oncologico con patologie cardiache è troppo spesso gestito in maniera incompleta da medici che non hanno competenze specifiche nei due settori, cardiologia e oncologia. Serve invece del personale che sia capace di affrontare i due problemi (cancro e cuore) e combinare le cure già disponibili su entrambi i fronti. Senza contare che la chemioterapia, decisiva nella cura dei tumori, causa una percentuale ancora troppo elevata di danni a un cuore sano. O deteriora ulteriormente un cuore già malato.
Insomma, la cardiotossicità di alcuni farmaci è un fattore che da un lato limita le possibilità di cura dei malati e dall’altro ha un forte impatto sulla loro qualità di vita e sulla sopravvivenza, indipendentemente dal problema oncologico di base…
In effetti la presenza di disfunzione cardiaca, anche di lieve entità, circoscrive la scelta dei possibili schemi di chemioterapia a quelli considerati meno aggressivi e, come tali, potenzialmente meno efficaci. E poi lo sviluppo di cardiotossicità, anche quando asintomatica, ha un impatto negativo sulla prognosi. Infine, dobbiamo «salvaguardare» dagli effetti collaterali della chemio il cuore soprattutto dei pazienti più giovani e, più in generale, di tutti quelli destinati a guarire o a sopravvivere a lungo.
Cosa bisogna fare, in pratica?
Identificare fin dall’inizio i malati oncologici a rischio di sviluppare cardiotossicità. Soprattutto fra quelli che devono essere sottoposti a trattamento chemioterapico con farmaci antitumorali più aggressivi, spesso somministrati in associazione fra loro e ad alte dosi. Così l’oncologo può fare una valutazione più personalizzata del programma terapeutico antitumorale, includendo magari l’utilizzo di agenti cardioprotettori durante la chemioterapia. E il cardiologo può pianificare un più stretto monitoraggio della funzione cardiaca e l’introduzione, in fase precoce, di una terapia cardiologica di prevenzione o di supporto.
Ma esistono degli esami che già si possono fare?
C’è ancora molto da studiare, ma ricerche fatte negli anni più recenti hanno già permesso di mettere a punto test specifici in grado di diagnosticare i danni che il cuore subisce a causa dei farmaci chemioterapici, ancora prima che diventino clinicamente rilevanti, quindi prima che il cuore venga irrimediabilmente compromesso. Si tratta in genere di esami semplici e praticabili in tutti i pazienti, che comprendono il dosaggio di alcune sostanze in grado di segnalare le prime difficoltà delle cellule cardiache intossicate dai chemioterapici (come il dosaggio di una proteina, la troponina I, o di un ormone, il BNP) o l’esecuzione di un ecocardiogramma con “stress farmacologico” (che valuta la reazione del cuore alla somministrazione di un agente stimolante, la dobutamina).
E per le metastasi cardiache avete delle cure?
Operarle non si può. Spesso sono multiple e l’organo è delicatissimo. Di recente è però stata messa a punto la cosiddetta chemioterapia intrapericardica, che consiste nell’iniettare farmaci citotossici (in particolare un medicinale chiamato thiotepa) direttamente nel pericardio. E’ un trattamento quasi privo di effetti collaterali, che si può ripetere più volte, che può aumentare in maniera notevole sia la qualità che l’aspettativa di vita dei pazienti. Ma va eseguita solo da mani molto esperte.
Dottor Cipolla, lo Ieo sta per aprire una unità di ricerca in cardioncologia per indagare soprattutto le interrelazioni tra nuove terapie anticancro e possibile tossicità cardiaca. Serve davvero una sezione così specialistica?
Sì, l’unità diretta da Daniela Cardinale sarà importantissima. Perché se è vero che l'impiego di nuovi farmaci generalmente considerati meno tossici (come anticorpi monoclonali, inibitori delle tirosin-chinasi e anti-angiogenici) ha favorevolmente rivoluzionato il trattamento di diversi tipi di tumori, è anche vero che le cosiddette targeted therapies possono ugualmente provocare danni cardiaci severi e persistenti. Per questo è cruciale stabilire gli effetti sul cuore delle terapie anticancro vecchie e nuove e comprenderne gli aspetti biomolecolari, allo scopo di prevenire ed eventualmente trattare diverse forme di cardiotossicità. A tal proposito abbiamo anche iniziato (in collaborazione con i laboratori di ricerca di base della Fondazione Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) un grande lavoro destinato alla comprensione delle conseguenze biomolecolari delle targeted therapies e le relazioni che intercorrono tra i loro effetti antitumorali e i meccanismi alla base della loro potenziale cardiotossicità. Un impegno lungo e complesso, che ha però un obiettivo concreto: offrire maggiori possibilità di cura ai malati.
Carlo Cipolla nasce nel 1955 a Milano, dove si laurea in Medicina e Chirurgia (1980) e ottiene la Specializzazione in Cardiologia (1982) e in Anestesia e Rianimazione (1990). A Pavia, invece, studia per raggiungere la Specializzazione in Medicina dello Sport (1987). Oggi Cipolla è Direttore dell’Unità di Cardiologia all’Istituto Europeo di Oncologiae Presidente della Società Internazionale di Cardioncologia – ICOS.
Nella sua attività clinica si occupa della diagnostica cardiologica in fase di pre-ricovero, del monitoraggio cardiologico in fase peri-post operatoria, della gestione clinica delle emergenze e delle urgenze, sia per i pazienti oncologici ricoverati che negli ambulatoriali e day hospital. Infine, sul fronte della ricerca, studia con particolare interesse strategie di diagnosi precoce e terapie sia per la cardiotossicità da farmaci antitumorali che dei versamenti pericardici neoplastici, e si cerca nuovi efficaci markers biologici di cardiotossicità.