Intervista con James Allison, Nobel 2018 per la medicina, intervenuto alla conferenza «The Healthcare to Come». L'obbiettivo è arrivare a frenare tutti i tipi di cancro
L’immunoterapia, la speranza per migliaia di malati di cancro che fino a un decennio fa non avrebbero avuto scampo dopo il fallimento delle altre cure, ha due padri: James Allison e Tasuku Honjo, premiati nel 2018 con il Nobel per la Medicina. Lo scienziato statunitense è intervenuto a «The Healthcare to Come», il convegno organizzato all’Università Statale di Milano da Fondazione Umberto Veronesi e Fondazione Tronchetti Provera. «È stata una grande soddisfazione vedere il frutto del proprio lavoro cambiare la vita di tanti pazienti, ma l'obbiettivo è poter arrivare a tutti», ha affermato l'immunologo, 71 anni, coordinatore degli studi grazie a cui sono stati individuati i fattori che inibiscono l’attacco del sistema immunitario al cancro. È stata questa la chiave che ha portato allo sviluppo dei farmaci immunoterapici oggi in uso nei confronti del melanoma metastatico, del tumore del polmone e del rene.
ALLE ORIGINI DELL’IMMUNOTERAPIA
Aprendo i lavori della conferenza sulla medicina personalizzata, Allison è andato alle origini della sua attività di ricerca. Gli studi sui linfociti T e, in particolare, su uno specifico recettore (CTLA-4). Poi l’intuizione - opposta a quanto dai più ritenuto fino a quel momento - che il suo compito fosse quello di inibire le cellule deputate alla difesa del nostro organismo. È così che si è arrivati alla scoperta dei «checkpoint» del sistema immunitario e, da qui, alla consapevolezza che fare leva su di essi poteva costituire la chiave mancante nella lotta ai tumori. Il passo successivo è stato rappresentato dalla messa a punto di un farmaco - l’ipilimumab, il primo immunoterapico immesso sul mercato per la cura del melanoma - in grado di legare CTLA-4, «sbloccare» il sistema immunitario e rendere aggredibile una malattia fino a quel momento dall’esito infausto. «All’inizio degli anni ’90, abbiamo scoperto che le cellule T possono essere frenate da diverse molecole, una delle quali è proprio la proteina CTLA-4 - afferma Allison -. Così è nata l’idea di somministrare a una persona malata degli anticorpi in grado di attaccarla e di dare il via alla risposta nei confronti del tumore». Il primo trattamento di questo tipo risale al 2001. E la paziente che vi si sottopose è ancora viva.
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VERSO L’IMMUNOTERAPIA NEOADIUVANTE
Nel tempo, la ricerca è andata avanti. La chiave di volta è stata la scoperta di un altro «checkpoint» (PD-1), questa volta a opera del collega Honjo. L’iter è stato analogo al precedente. Punto d’arrivo della ricerca, in questo caso, è divenuto nivolumab, oggi impiegato contro le forme avanzate di tumore del polmone e del rene. Oltre che, in combinazione con ipilimumab, nel trattamento del melanoma metastatico. A seguire, poi, è stata la volta di altri farmaci: atezolizumab, pembrolizumab, avelumab, durvalumab. Ma anche l'immunoterapia ha dei limiti. Non è infatti la panacea per tutti i malati di cancro in stadio avanzato. E, al momento, all’incirca 1 paziente su 2 risponde come dovrebbe. A cosa si deve questa percentuale di insuccesso? «Alla presenza di altri inibitori o alla penuria di mutazioni: un tumore che ne presenta poche risponde meno all’immunoterapia», aggiunge l'esperto. Perciò ricercatori e oncologi ragionano sulla necessità di creare dei «cocktail» di farmaci per aumentare i tassi di successo e avvicinarsi all’obbiettivo finale: se non poter guarire il cancro, renderlo una malattia cronica. Un’altra opportunità potrebbe derivare dalla scelta dal ricorso a un’immunoterapia neoadiuvante. «Lavoriamo per capire se, somministrando questi farmaci prima di un intervento chirurgico, come si fa con la chemioterapia e con la radioterapia, si possa ridurre la massa e rendere possibile un intervento che oggi non viene effettuato».
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Non stupisce, allora, che nel corso del suo discorso Allison abbia fatto a più riprese riferimento a due neoplasie particolarmente aggressive: il tumore del pancreas e il glioblastoma, che nella maggior parte dei casi risultano inoperabili al momento della diagnosi. Nei confronti di queste malattie, l’immunoterapia non ha ancora dato risultati incoraggianti. La combinazione di farmaci è una delle strade che si sta cercando di percorrere. Ma da sola potrebbe non bastare, se nei tessuti di queste due malattie fossero presenti anche altri «checkpoint». Questi aspetti contribuiscono a rendere le due malattie particolarmente difficili da curare. «La loro biologia è molto complessa e differente da quella dei tumori che oggi trattiamo con l’immunoterapia - spiega il Nobel, che nel corso della sua vita ha superato un tumore della prostata e un melanoma ed è in cura per un tumore della vescica -. Una risposta, se riusciremo a trovarla, non potrà prescindere da un’azione articolata che preveda l’utilizzo di più farmaci diretti verso più bersagli. Ma per trovare la giusta formula occorre considerare anche gli effetti collaterali».
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L’ITALIA, LA RICERCA E I NOBEL
Allison, che nei giorni scorsi ha ricevuto due lauree honoris causa in Italia (a Verona e a Napoli), si è espresso anche sullo stato della ricerca italiana. «Vedo punte di eccellenza, ma registro anche parecchie lamentele sulla penuria di fondi. Il Nobel? Ci sarebbero delle persone che potrebbero meritarlo, ma non chiedetemi di fare nomi». Il tema degli investimenti, giura lo scienziato, è sentito anche negli Stati Uniti. Da qui la sua richiesta alle company farmaceutiche. «Per anni sono stato considerato un eretico, ricordo la fatica che feci a convincere le aziende che CTLA-4 fosse un inibitore della risposta immunitaria, mentre si pensava l’esatto contrario. Oggi che abbiamo alle spalle diversi anni di risultati positivi, occorre uno sforzo maggiore per ampliare le ricadute dell’immunoterapia».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).