Nuovi approcci immunoterapici contro i tumori: una speranza per il futuro
Il sistema immunitario è in grado di prevenire lo sviluppo del cancro? Le cellule immunitarie possono riconoscerlo e combatterlo?
Da molti anni la comunità scientifica si pone due domande di fondamentale importanza: primo, il sistema immunitario è in grado di prevenire lo sviluppo del cancro? E secondo, una volta che un tumore esiste, le cellule immunitarie possono riconoscerlo e combatterlo? Purtroppo, ad oggi non abbiamo delle risposte chiare alla prima domanda, ma grazie a nuovi approcci terapeutici possiamo cominciare a rispondere alla seconda. Queste nuove terapie, dette immunoterapie, cercano di usare il sistema immunitario come arma per eliminare le cellule tumorali. Grazie al loro avvento, abbiamo osservato dei progressi straordinari nel trattamento di alcuni tipi di cancro che fino a pochi anni fa erano incurabili.
Le cellule tumorali presentano mutazioni nel loro DNA rispetto alle cellule sane. Questi cambiamenti genetici portano a modifiche nel repertorio di proteine della cellula. Il sistema immunitario è capace di individuare queste alterazioni. Infatti, i tipi di tumore con un maggiore numero di anomalie sono quelli per cui si ritiene più probabile il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Questi tumori sono in genere causati da fattori che direttamente provocano mutazioni nel DNA, come ad esempio i melanomi, un tipo di tumori della pelle causati per lo piu dai raggi solari, o i tumori ai polmoni che, nella maggior parte dei casi, sono causati dalle sostanze chimiche contenute nel fumo di sigaretta.
Se è vero che il nostro sistema immunitario si è evoluto per riconoscere costantemente nuove minacce, è altrettanto vero che il tumore spesso si evolve per risultare invisibile ed eludere i meccanismi di difesa. Uno studio del2001 hadimostrato l´importante legame tra immunologia e cancro. Tumori sviluppati in topi privi di sistema immunitario possono venire riconosciuti come estranei e distrutti quando trapiantati in topi normali. Al contrario, i tumori sviluppatisi sotto il costante controllo di un sistema immunitario completo sarebbero capaci di escogitare alcuni meccanismi per sfuggire alla risposta immunitaria [1]. Come abbiamo detto in precedenza, le mutazioni nel DNA (e di conseguenza nelle proteine) sono considerate importanti affinché i tumori vengano riconosciuti dal sistema immunitario, ma non tutti i tumori hanno lo stesso numero di mutazioni. I tipi di tumori con un più alto numero di mutazioni sono quelli in cui si ritiene più probabile che avvenga un riconoscimento da parte del sistema immunitario, semplicemente per il fatto che ci sono un maggior numero di proteine mutate. I melanomi e i tumori polmonari sono stati i primi ad essere testati con approcci immunoterapeutici e grazie al lavoro fatto per trovare delle cure per queste patologie, ad oggi sappiamo che molto spesso questi tumori sono riconosciuti dalle cellule del sistema immunitario.
La prima evidenza che suggerisce l’esistenza di cellule in grado di riconoscere i tumori viene dal lavoro pioneristico di un gruppo di scienziati statunitensi, che hanno scoperto che la presenza di un particolare tipo di cellule del sistema immunitario (i linfociti T) infiltranti nelle cellule dei melanomi, generano un fattore prognostico positivo. Questi scienziati hanno moltiplicato in vitro questi linfociti tumorali e li hanno successivamente trasferiti negli stessi pazienti da cui erano stati prelevati. In una frazione di pazienti si è potuto osservare un chiaro miglioramento clinico e in alcuni casi (circa il 10%) a distanza di diversi anni dal trattamento non c'è nessuna traccia residua di tumore. Si tratta di una situazione che dal punto di vista clinico e' considerata come probabile guarigione. Questo risultato è eccezionale se si considera che il melanoma è un tumore molto aggressivo, con decorso molto rapido. Oltre allo stupefacente risultato terapeutico, questi studi dimostrano che esistono cellule immunitarie in grado di riconoscere e uccidere le cellule tumorali [2].
L´importante ruolo di queste cellule immunitarie, i linfociti T, è dimostrato dal fatto che piu' ce ne sono nel tumore, migliore e' la prognosi [3]. Curiosamente, la loro assenza (per patologie acquisite, come l’AIDS, o per malattie congenite) aumenta il rischio di contrarre virus oncogeni e quindi aumenta il rischio sviluppare certi tipi di tumore.
Un approccio terapeutico che presenta una serie di similarità con quello appena descritto, consiste nel bloccare l'inibizione immunitaria (cosiddetta “immune check point blockade”) e quindi riattivare la risposta immunitaria contro il tumore. Questi sistemi di auto-controllo sono naturalmente utilizzati dal nostro organismo per terminare la risposta immune dopo che l'infezione che l'ha generata è sotto controllo. Si è scoperto che le cellule tumorali possono esprimere delle proteine in grado di attivare questi meccanismi di blocco e quindi rendere i linfociti T inefficienti. Alcuni scienziati hanno scoperto che bloccando queste proteine con degli anticorpi non solo si ripristina l'attività dei linfociti T, ma la si potenzia anche, ottenendo in questo modo una risposta antitumorale che in certi casi può portare alla remissione completa del tumore. Anche in questo caso, la prima tipologia di tumori in cui questo approccio è stato testato sono i melanomi a causa del loro alto numero di mutazioni [4]. Uno studio recentissimo dimostra inoltre una più alta probabilità di rispondere a questa terapia in pazienti il cui tumore contiene un numero maggiore di mutazioni [5].
Se gli approcci che abbiamo visto finora si basano sullo sfruttare e potenziare le capacità che il sistema immunitario ha di riconoscere i tumori, un approccio totalmente diverso è quello di indirizzare in maniera specifica le nostre cellule immunitarie contro determinati obiettivi. Questo è possibile grazie all’ingegneria genetica, che permette di modificare il materiale genetico (DNA) delle cellule. I ricercatori hanno sviluppato delle strategie per far sì che i linfociti T siano in grado di riconoscere proteine espresse dalle cellule tumorali.
L’aspetto problematico di questa tecnica è che ad oggi non si conoscono, se non in rarissimi casi, proteine che siano esclusivamente espresse da cellule tumorali e che quindi sia possibile usare come bersaglio senza correre il rischio di danneggiare i tessuti normali del paziente. Una possibile soluzione a questo problema è stata quella di ingegnerizzare i linfociti T in modo da riconoscere proteine condivise da tumori e da cellule che non siano strettamente indispensabili per la sopravvivenza. Ad esempio, un gruppo di ricercatori ha identificato come possibile bersaglio una proteina, chiamata CD19, che è espressa solo dai linfociti B, dalle leucemie e dai linfomi derivati da queste cellule. I linfociti B sono le cellule responsabili della produzione di anticorpi e le persone prive di queste cellule possono ricevere infusioni periodiche di anticorpi e sopravvivere senza grosse complicazioni. Questo approccio di attacco selettivo verso i linfociti B ha avuto successo in individui affetti da leucemie e linfomi che erano diventati resistenti alle terapie convenzionali [6-8].
Ad oggi i successi ottenuti con le immunoterapie sono ristretti ad alcuni specifici tumori con determinate caratteristiche, ma i promettenti risultati fanno sperare che questi approcci possano essere maggiormente utilizzati in futuro in campo oncologico. Prova di tale successo è il fatto che la rivista “Science” abbia premiato l’immunoterapia del cancro come il più importante traguardo scientifico del 2013 .
Ad oggi ci sono ancora diversi punti su cui la ricerca immunoterapeutica deve fare luce. Nel futuro sarà molto importante espandere queste terapie ad altri tipi di tumore, capire perché in alcuni pazienti si osservino risposte impressionanti mentre in altri no e trovare delle strategie che rendano l’immunoterapia efficace in questi ultimi pazienti. Inoltre sarà molto importante effettuare studi clinici in cui si combini l’immunoterapia con altri tipi di terapia antitumorale, quali la chemioterapia e la radioterapia, nel tentativo di ridurre i loro effetti collaterali.
Bibliografia
[1] Shankaran, V. et al. IFNgamma and lymphocytes prevent primary tumour development and shape tumour immunogenicity. Nature 410, 1107-1111 (2001).
[2] Restifo, N. P., Dudley, M. E. & Rosenberg, S. A. Adoptive immunotherapy for cancer: harnessing the T cell response. Nature reviews. Immunology 12, 269-281 (2012).
[3] Fridman, W. H., Pages, F., Sautes-Fridman, C. & Galon, J. The immune contexture in human tumours: impact on clinical outcome. Nature reviews. Cancer 12, 298-306 (2012).
[4] Shin, D. S. & Ribas, A. The evolution of checkpoint blockade as a cancer therapy: what's here, what's next? Current opinion in immunology 33C, 23-35 (2015).
[5] Snyder, A. et al. Genetic basis for clinical response to CTLA-4 blockade in melanoma. The New England journal of medicine 371, 2189-2199 (2014).
[6] Maude, S. L. et al. Chimeric antigen receptor T cells for sustained remissions in leukemia. The New England journal of medicine 371, 1507-1517 (2014).
[7] Grupp, S. A. et al. Chimeric antigen receptor-modified T cells for acute lymphoid leukemia. The New England journal of medicine 368, 1509-1518 (2013).
[8] Porter, D. L., Levine, B. L., Kalos, M., Bagg, A. & June, C. H. Chimeric antigen receptor-modified T cells in chronic lymphoid leukemia. The New England journal of medicine 365, 725-733 (2011).
di Riccardo Mezzadra
Editor: Ferdinando Pucci
Revisori Esperti: Cristian Capasso, Lorena di Lisio
Revisori Naive: Carlotta Stegagno, Giacomo Montanari
Chi è l'autore?
Riccardo Mezzadra, 30 anni, Milanese. Nel 2006, durante i suoi studi comincia a frequentare il laboratorio diretto dalla professoressa Giuliana Ferrari all'interno dell'istituto telethon per la terapia genica presso l'istituto scientifico San Raffaele di Milano. Si occupa fino al 2010, anno in cui si laurea in biotecnologie, di studi sulla sicurezza degli approcci di terapia genica per malattie genetiche. Nel 2010 inizia un dottorato ad Amsterdam sotto la supervisione del professor Ton Schumacher durante il quale si occupa di terapia genica del cancro. Durante la prima parte del dottorato si occupa principalmente di sviluppare e modificare tecnologie di terapia genica per rendere i linfociti T reattivi contro le cellule tumorali. Recentemente i suoi interessi si sono spostati dagli aspetti più tecnologi a quelli più direttamente legati alla biologia delle terapie antitumorali. In particolare si interessa ai modi in cui gli approcci immunoterapeutici funzionano a livello molecolare e come i tumori possono contrastare queste terapie.