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Fabio Di Todaro
pubblicato il 31-01-2020

Coronavirus: perché è scattata l'emergenza sanitaria globale



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Cosa comporta l'emergenza proclamata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità? Un'azione coordinata è necessaria per contenere l'epidemia

Coronavirus: perché è scattata l'emergenza sanitaria globale

Con l'emergenza sanitaria globale dichiarata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, la gestione dell'epidemia provocata dal coronavirus (2019-nCoV) ha raggiunto il massimo livello di guardia. La decisione della più alta autorità sanitaria mondiale - seguita un paio d'ore dopo dalla notizia dei primi due contagi registrati in Italia - è stata obbligata. «L'evoluzione si è resa necessaria alla luce della diffusione di casi al di fuori della Cina», è quanto affermato nelle ultime ore da Cristiana Salvi, responsabile delle relazioni esterne emergenze sanitarie dell'ufficio europeo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In un giorno, dunque, non è che sia cambiata la dimensione dell'epidemia. «Ma in questo modo possiamo rispondere diversamente, dando delle indicazioni che tutti i Paesi membri sono tenuti a rispettare». 


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EMERGENZA SANITARIA: UNA SCELTA QUASI OBBLIGATA

L'innalzamento del livello di allerta - approdo non scontato, alla luce di un approccio inizialmente più prudente da parte dell'agenzia sanitaria delle Nazioni Unite - si è reso necessario alla luce della diffusione del virus al di fuori dei confini della Cina: con 18 Paesi coinvolti, quasi cento i casi accertati. Di fronte a un simile scenario, che presenta le caratteristiche di «un evento straordinario» che minaccia di rappresentare «un rischio per la salute pubblica degli altri Stati attraverso la diffusione internazionale del contagio» e che richiede «una risposta coordinata a livello internazionale», l'emergenza sanitaria globale era l'unica soluzione possibile. La gravità del problema, assieme al suo manifestarsi in maniera inattesa e improvvisa, ha richiesto un'azione internazionale immediata. La misura, valida per tutti i 193 Paesi aderenti all'Organizzazione Mondiale della Sanità, è stata potenziata in Italia con lo stop ai voli da e per la Cina e con la dichiarazione dello stato di emergenza. Al di là dei casi registrati a Roma, si tratta di scelte precauzionali «uniche nel panorama internazionale», come affermato dal ministro della Salute Roberto Speranza.

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EMERGENZA SANITARIA GLOBALE: I PRECEDENTI

La responsabilità di stabilire se un evento rientri o meno in questa categoria spetta al direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che può però assumerla soltanto dopo aver convocato un comitato di emergenza del Regolamento sanitario internazionale. È da questo consesso che viene presa una decisione che - è bene dirlo - è comunque temporanea e può essere revocata a fronte di un ridimensionamento dell'epidemia. L'emergenza sanitaria globale prevede lo sviluppo di misure sanitarie - tutte quelle possibili per contenere i contagi, la condivisione delle informazioni tra gli Stati, l'assoluta trasparenza nella comunicazione pubblica, l'impegno nella ricerca - che devono essere implementate a partire dallo Stato in cui è esplosa l'emergenza per arrivare a tutti gli altri in cui si è diffusa. L'obbiettivo di un simile provvedimento è quello di prevenire - o quanto meno contenere - la diffusione internazionale del virus. Seppur rara, la misura è stata adottata già altre cinque volte dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: per la pandemia di H1N1 (2009), per la polio (2014), per le due epidemie di ebola (2014 e 2019) e per quella provocata dal virus Zika (2016). La stessa misura non fu invece adottata nel 2013, in occasione della diffusione di un altro coronavirus, responsabile della Mers


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COME EVOLVE L'EPIDEMIA

Nella pratica dei comuni cittadini, cosa cambia alla luce di questa misura adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità? «Nulla, sul piano della sicurezza: questo perché fin da subito abbiamo messo in campo le misure più rigorose è così continueremo a fare», ha chiarito sui principali media Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità. I protocolli non muteranno nemmeno alla luce dei primi casi di contagio registrati in Italia. L’Agenzia europea per il controllo delle malattie infettive (Ecdc) definisce ancora basso il livello di rischio nel Vecchio Continente, dove non ci sono focolai attivi, ma singoli casi sporadici. Adesso, sulla base dei provvedimenti adottati, «non è da escludere una riduzione dei casi in Cina, dove ci sono 18 città completamente isolate e 40 milioni di persone in quarantena», è il pensiero di Francesco Menichetti, direttore della clinica di malattie infettive dell'azienda ospedaliero-universitaria di Pisa. «Da parte nostra, dobbiamo lavorare per limitare i casi di importazione ed evitare quelli secondari, tracciando nel dettaglio tutti i controlli».


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Di questo virus si sa che ha un'alta velocità di diffusione e che può infettare una persona senza provocare sintomi (aspetto che preoccupa, vista comunque la capacità di contagio). L'epidemia è partita da Wuhan, ma in pochi giorni ha colonizzato altre province cinesi. Tutto ciò è accaduto all'inizio, quando ancora non erano stati imposti limiti alla libertà di movimento. E sono questi focolai secondari che ora stanno irrobustendo il numero dei contagi. Quanto ai pazienti, le prime osservazioni confermano che i bambini sono stati finora pressoché risparmiati dall'infezione e dalle sue complicanze. Il coronavirus sta colpendo soprattutto adulti e anziani. E, così come accade per l'influenza, tanto più precarie sono le condizioni di salute di partenza dei pazienti, tanto (potenzialmente) più gravi rischiano di essere le conseguenze del contagio. Si discute ancora sul tasso di mortalità, che al momento viene individuato più o meno attorno al 3 per cento degli infetti. Mentre è pressoché certo che il coronavirus 2019-nCoV riesca a diffondersi più rapidamente rispetto a quello della Sars. Quanto a un possibile vaccino, «servirà almeno un anno per completare la sperimentazione», aggiunge Menichetti. 

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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