Il farmaco «Ervebo», già stato somministrato a quasi 250mila persone negli ultimi anni, potrà d'ora in avanti essere distribuito in maniera più ampia
Il nome - «Ervebo» - dice poco o nulla alle nostre latitudini. Ma la sua messa a punto potrebbe essere la manna dal cielo per milioni di persone dei Paesi dell'Africa centrale e occidentale: dalla Repubblica Democratica del Congo alla Guinea, dalla Liberia alla Sierra Leone, dal Burundi alla Nigeria. Gli abitanti di questi Stati potrebbero essere infatti i primi a beneficiare del via libera al vaccino contro l'ebola. «Ervebo», riconosciuto dalla rivista Science come una delle migliori scoperte del 2015, ha incassato un doppio riconoscimento: l'ok alla produzione nei Paesi dell'Unione Europea e la «prequalificazione» da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. I due passaggi favoriranno la diffusione della profilassi nelle nazioni più colpite dall'epidemia.
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IL PRIMO VACCINO CONTRO L'EBOLA
Il primo passo lo ha compiuto l'Unione Europea, autorizzando «l'immissione in commercio condizionata» del vaccino per proteggere tutti i maggiorenni considerati a rischio di infezione. I benefici derivanti dal suo utilizzo sono stati considerati superiori ai potenziali rischi: da qui il via libera a produrre l'antidoto per immagazzinarlo e distribuirlo nelle aree a rischio. «Ben venga l'approvazione, ma la ricerca deve continuare - afferma David Heymann, epidemiologo della Scuola di igiene e medicina tropicale dell'Università di Londra -. L'obbiettivo è quello di sviluppare vaccini di seconda e di terza generazione (sette molecole sono in fase di sperimentazione, ndr) per colpire ceppi diversi del virus e offrire un'immunità più duratura». A seguire è giunto l'ok dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: decisivo il superamento dei test realizzati tra il 2013 e il 2016 (oltre 236mila somministrazioni). «Ervebo» ha mostrato di essere efficace a partire dal decimo giorno dopo l'unica iniezione. Nelle aree colpite dall'epidemia, oltre alle persone colpite da ebola, sono stati vaccinati anche coloro che erano entrati in contatto con le persone positive al virus (strategia «ad anello»).
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LA STORIA DI EBOLA
Il virus Ebola fu identificato nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo. Nel tempo sono stati classificati cinque sottotipi distinti del virus: Zaire, Sudan, Bundibugyo (tutti e tre responsabili delle più importanti epidemie), Reston e Foresta Tai. Come si trasmette il virus? Un uomo può contrarre l'infezione attraverso altri mammiferi: quali i pipistrelli, le scimmie, le antilopi o gli istrici. Ma a favorire il contagio durante le epidemie è il contagio interumano, attraverso i fluidi corporei (sangue, vomito, feci). L'infezione si manifesta con la febbre, accompagnata da altri sintomi più generali: dolori muscolari e articolari, mal di testa e mal di gola, emorragie. La contagiosità dell'ebola è inferiore a quella di altri virus: a partire dall'influenza. La mortalità è però ben superiore: pari al 50 per cento, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Questi i numeri registrati finora, che potrebbero cambiare con la messa a punto della prima risposta efficace nei confronti di ebola.
PRIME DOSI A PARTIRE DAL 2020
Nel corso dell'epidemia più grave, registrata tra il 2014 e il 2016 in diversi Paesi dell'Africa occidentale, le vittime sono state oltre 11mila. Nel frattempo, un altro focolaio si è acceso nella Repubblica Democratica del Congo. La sua portata è stata finora contenuta - 3.287 contagi, 2.192 decessi e 1.067 sopravvissuti al 13 novembre - grazie all'uso più massiccio e tempestivo della profilassi. Un risultato reso possibile ottenere dall'impegno della multinazionale farmaceutica MSD - 250mila le dosi di «Ervebo» messe a disposizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità - e di una serie di istituzioni e organizzazioni non profit di tutto il mondo. Il vaccino - costituito dal virus della stomatite vescicolare ricombinante, cui è legata una proteina di membrana dell'ebolavirus - sarà prodotto in Germania. Le prime dosi saranno disponibili per la metà del 2020.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).