Il primo caso dopo 25 anni a Gaza complice il conflitto. Oltre 560 mila i bambini vaccinati grazie alla campagna dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il legame tra guerra e malattie ci riguarda da vicino
Sono circa 560 mila bambini vaccinati durante il primo round della campagna antipolio a Gaza, iniziata il primo settembre e resasi necessaria come risposta urgente alla circolazione del poliovirus di tipo 2 nella Striscia. Il virus era stato isolato nella rete fognaria e, successivamente, in un bambino di 10 mesi, tra luglio e agosto 2024. Si tratta del primo caso dopo ben 25 anni. Il bambino, nato durante il conflitto, non era stato vaccinato. Infatti, il tasso di vaccinazione, attestato al 99% prima del conflitto, è calato drasticamente all’86%. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che questa prima parte della campagna vaccinale sarà seguita da un secondo round, idealmente entro quattro settimane, per fornire una seconda dose del nuovo vaccino antipolio orale di tipo 2 (nOPV2) ai bambini di Gaza, con l'obiettivo di fermare l'epidemia e prevenire la sua diffusione internazionale. Per riuscire in questo intervento ambizioso, ovvero raggiungere un numero sufficiente di bambini e fermare con successo la trasmissione del poliovirus, sarà necessaria una tregua duratura, al fine di vaccinare tutti i bambini anche nelle aree più difficili del conflitto. Ma perché la poliomielite è tornata a Gaza? E qual è il ruolo delle guerre nella circolazione delle malattie infettive?
IDENTIKIT DELLA POLIOMIELITE
La poliomielite è una malattia infettiva causata da tre ceppi di un virus detto poliovirus, che colpiscono il sistema nervoso centrale, danneggiando principalmente i neuroni motori del midollo spinale e causando paralisi, soprattutto agli arti inferiori. Descritta per la prima volta nel 1789, la polio ha raggiunto il picco negli Stati Uniti nel 1952, con oltre 21 mila casi, mentre in Italia il massimo si è registrato nel 1958, con 8 mila casi. L’ultimo caso nel nostro Paese risale al 1982. Il contagio avviene per via oro-fecale o tramite saliva. Sebbene non esista una cura, la vaccinazione è l’unica forma efficace di prevenzione. Per questo, a Gaza, si è deciso di iniziare tempestivamente una campagna di vaccinazione. Esistono due tipi di vaccini per la polio: inattivato (IPV) e vivo attenuato (OPV), quest’ultimo raccomandato dall'OMS nelle campagne di eradicazione globale. Sebbene la malattia, grazie ai vaccini, sia stata dichiarata eradicata dall’OMS (nelle Americhe nel 1994, in Europa nel 2002, nel Sud-Est asiatico nel 2014 e nella Regione del Pacifico nel 2000), la poliomielite rimane endemica in Afghanistan e Pakistan, dove rappresenta una grave emergenza sanitaria, e tutti i Paesi del mondo sono ancora impegnati a mettere in atto misure preventive per mantenere il cosiddetto stato polio-free.
QUALE LEGAME TRA GUERRA E MALATTIE?
Ma perché la poliomielite è ricomparsa a Gaza dopo ben 25 anni dagli ultimi casi registrati? In generale, le guerre e i conflitti possono generare ed esacerbare epidemie di malattie infettive sia a breve che a lungo termine. Ad esempio, i conflitti armati portano a un aumento del sovraffollamento e a condizioni igieniche precarie, aumentando il rischio di trasmissione delle malattie. Inoltre, le misure di intervento, come le campagne di vaccinazione e il tracciamento dei contatti, possono essere interrotti nelle aree soggette a conflitti. La guerra porta anche alla distruzione delle infrastrutture sanitarie pubbliche, aggravando il carico di malattia fino a quando non è possibile la ricostruzione. Inoltre, il grande spostamento della popolazione in campi sovraffollati e rifugi temporanei porta ad un aumento dell’esposizione a vettori che favoriscono l’emergenza e la riemergenza di malattie infettive. Da non dimenticare è che, in condizioni così precarie, sia per quanto riguarda l’igiene che l’alimentazione, anche il sistema immunitario è fortemente indebolito. Basti pensare che epidemie di febbre tifoide, colera, dissenteria, malaria, vaiolo e influenza causarono un numero significativo di morti tra soldati e civili nelle zone di guerra durante o dopo la prima e la seconda guerra mondiale.
LA SITUAZIONE IN PALESTINA
Nella striscia di Gaza, ma anche nel West Bank, l’intensificarsi delle ostilità ha creato terreno fertile per l’instaurarsi di tutte le condizioni in grado di favorire la diffusione e la riemergenza di patologie infettive. L’aumento di morti e feriti, infatti, aggrava il rischio di diffusione di malattie infettive a causa del sovraffollamento e dei sistemi sanitari, idrici e fognari compromessi. La mancanza di carburante ha bloccato gli impianti di desalinizzazione, aumentando il rischio di infezioni batteriche come la diarrea, e ha interrotto la raccolta dei rifiuti, creando un ambiente favorevole alla diffusione di insetti e roditori. Oltre 33 mila casi di diarrea, 8.944 casi di scabbia e pidocchi, e più di 54 mila infezioni respiratorie erano stati segnalati già poco dopo l’inizio del conflitto, soprattutto tra i bambini sotto i cinque anni. La mancanza di vaccini e farmaci, insieme alle difficoltà nel monitoraggio delle malattie, ha poi aggravato la situazione e ben 19 dei 36 ospedali di Gaza sono attualmente non funzionanti, e quelli ancora in piedi vertono in condizioni igieniche e strutturali precarie. Una situazione che rende a rischio non solo i territori Palestinesi, ma anche i Paesi confinanti, come l’Egitto e lo stesso stato di Israele.
NON SOLO GAZA
I territori Palestinesi non sono gli unici a destare preoccupazione e, nel mondo, almeno due miliardi di persone vivono in situazioni di povertà e fragilità a causa di conflitti. La Siria è coinvolta in una guerra civile dal 2011. Uno degli esiti del conflitto è stata un'epidemia di morbillo nel nord della Siria, tra il 2017 e 2018, dopo che la malattia era assente dal paese dal 1999. Inoltre, la percentuale di casi di tubercolosi segnalati in Turchia è aumentata progressivamente e i casi importati dai profughi siriani costituivano il 4,87% del totale dei casi diagnosticati nel Paese nel 2017. In uno studio che ha valutato l’impatto della guerra sulla trasmissione e sul controllo dell’ebola nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), è emerso che è stato osservato più volte un aumento del numero di casi a causa delle condizioni dovute al conflitto. Nell'ottobre 2021, anche l'Ucraina ha segnalato un caso di poliomielite paralitica, spingendo il governo a iniziare a vaccinare 100 mila bambini non protetti, ma l’invasione Russa ha poi fermato la campagna di vaccinazione. Lo Yemen, in guerra civile dal 2014, ha vissuto un'epidemia di colera nel 2017, con 2,5 milioni di casi sospetti e 3868 morti. Prima della guerra, il colera era assente nello Yemen. Il conflitto in Myanmar, dal 2021, registra un numero di sfollati attualmente corrispondente a tre milioni di persone. Le persone stipate nei campi profughi, con scarse condizioni igienico-sanitarie, sono a maggior rischio di malattie come malaria e dengue.
UN PROBLEMA GLOBALE
Sebbene possa sembrare che i conflitti e le epidemie che affliggono regioni lontane, come Gaza, siano problemi che non ci toccano direttamente, la realtà è ben diversa. Crisi come l’attuale emergenza di poliomielite non solo minacciano la salute delle popolazioni locali, ma possono avere ripercussioni a livello globale. Come imparato durante la pandemia, le malattie infettive non conoscono confini. La ricomparsa della poliomielite a Gaza dopo 25 anni dimostra come i progressi raggiunti nella lotta contro le patologie trasmissibili possano essere compromessi in breve tempo da conflitti e instabilità. La minaccia di una possibile diffusione internazionale mette a rischio l'intero stato polio-free che i Paesi hanno faticosamente conquistato. In questo contesto, ogni azione e ogni sforzo per garantire non solo la sicurezza sanitaria, ma anche una tregua definitiva, non è solo una questione di vicinanza verso chi è più vulnerabile, ma un imperativo globale.