Sono 8.6 milioni i consumatori di alcolici a rischio (di cui 700.000 minori). Ecco chi sono i più vulnerabili e quanto ci costa tutto questo
Le evidenze scientifiche ci sono: innumerevoli e robuste. Ma nonostante ciò, il consumo di bevande alcoliche nel nostro Paese non accenna a calare. La sintesi del rapporto Istisan dell'Istituto Superiore di Sanità - che sarà presentato ufficialmente durante l’Alcohol Prevention Day, mercoledì 15 maggio - è questa. Al netto delle modalità di impiego, profondamente diverse tra giovani e adulti.
L'ALCOL E GLI ITALIANI
In Italia ci sono oltre 35 milioni di consumatori di birra, vino e superalcolici: di cui più di un quarto a rischio (8,6). A testimonianza del trend in graduale ascesa, sulla stessa riga di quanto accade da anni livello globale, c’è la riduzione del numero degli astemi: poco più della metà, all’incirca 18 milioni. L’Italia continua dunque a strizzare l’occhio all’alcol, nonostante sia responsabile (soltanto lungo la Penisola) di 17.000 decessi ogni anno (principalmente per tumori, incidenti stradali e complicanze della cirrosi epatica), oltre che di quasi 700.000 casi di malattia che meriterebbero di essere trattati (e che spesso non lo sono). Tutto ciò arriva a costarci oltre 20 miliardi di euro ogni anno.
I FALSI MITI SULL'ALCOL
IL PREZZO DELL'ALCOL PER I GIOVANI
Sfogliando le 64 pagine del rapporto, contenente i dati relativi al 2017, emergono diversi aspetti interessanti. A partire dai giovani. Molti di loro, come s'è potuto registrare nel corso dei diversi incontri organizzati anche da Fondazione Umberto Veronesi nelle scuole, ignorano i rischi generati dal consumo in giovane età. Si va dalla possibilità di provocare un incidente stradale (o di rimanerne vittime) alle progressive alterazioni nella fase di maturazione cerebrale. L'abitudine a consumare alcol, fino a ubriacarsi, emerge a partire dall'adolescenza. «L’alcol è considerato una delle sostanze psicoattive più comuni utilizzate dai nostri ragazzi: la maggior parte di loro vi si avvicina tra 12 e 16 anni, quando si acquisisce maggiore indipendenza dalla famiglia e trascorrono più tempo fuori casa lontano dal controllo dei genitori», dichiara Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio Nazionale Alcol dell'Istituto Superiore di Sanità. L'Italia, nel contesto europeo, vanta un triste primato: assieme ad altri, è il Paese in cui sia le ragazze sia i ragazzi (soprattutto) bevono di più, in assoluto. Nel 2017, il 42,3 per cento delle prime e il 52,5 per cento dei secondi (11-25 anni) ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno. Numeri che sembrano non tenere conto delle indicazioni degli specialisti. L'alcol non dovrebbe mai essere consumato fino ai 21 anni, per non alterare lo sviluppo del cervello. Considerando comunque una variabilità individuale, l'invito alla prudenza dovrebbe essere esteso almeno fino ai 25 anni. Confermata la tendenza giovanile al consumo lontano dai pasti e alla scelta (soprattutto) di birra e aperitivi alcolici.
Ecco come spiegare i rischi dell'alcol ai giovani
ALCOL: TROPPO «NORMALE» E ACCESSIBILE
Dopo anni di calo, a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, dal 2010 l'Italia mostra consumi medi di bevande alcoliche in lieve, ma costante aumento. Uno scenario che, secondo Scafato, è «la conseguenza di una normalizzazione dei consumi e di una più facile accessibilità alle bevande alcoliche, anche da parte dei ragazzi». Un aspetto, quest'ultimo, che preoccupa sia per le modalità di consumo (i giovanissimi tendono maggiormente al binge drinking: con valori compresi tra l'11,5 e il 22,3 per cento per ragazze e ragazzi) sia perché fin dall'adolescenza si «educano» gli adulti del domani a consumare con regolarità bevande alcoliche. «Stiamo facendo poco o nulla per garantire l'applicazione della legge e il controllo da parte della società», aggiunge l'esperto, blogger di Fondazione Umberto Veronesi e protagonista del progetto «Io Vivo Sano-Dipendenze» portato avanti quest'anno in dieci città italiane. «Servirebbe un maggior rispetto della legge, che impedisce di vendere alcolici ai ragazzi con meno di 18 anni. Spesso vediamo invece che questo ancora non accade. E si fa fatica a far capire che, più che un divieto, questa indicazione rappresenza una mossa a tutela della salute dei ragazzi».
ANCHE GLI ADULTI (SPESSO) ESAGERANO
Puntare il dito soltanto sui giovani, però, non serve. Le loro abitudini maturano nei contesti che vivono: dalla famiglia alla scuola, passando per l'«habitat» sportivo. Gli adulti non danno sempre l'esempio. La loro «assenza», riprendendo quanto scritto dagli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità nel rapporto, è «drammatica» e «riflette il fallimento sociale dell’educazione». La diffusa tendenza a sottovalutare i rischi connessi al consumo di alcol si traduce anche in un rischio diretto per la salute anche di uomini e donne che attraversano la fase della vita compresa tra l'adolescenza e la terza età.
I LIMITI DA TENERE PRESENTE
I valori oltre i quali non si dovrebbe andare tra i 25 e i 65 anni sono noti: un'unità alcolica al giorno (un boccale di birra da 330 millilitri, un bicchiere di vino da 125 millilitri o 40 millilitri di superalcolico) per la donna, due per l'uomo. In Italia, nel 2017, si sono contati 8.6 milioni di consumatori a rischio (di cui oltre cinque adulti). Come tali, si definiscono tutti coloro che eccedono le dosi indicate. Si tratta di limiti convenzionali, al di sotto dei quali i rischi connessi al consumo sono ritenuti accettabili, anche se mai nulli. Rispetto ai giovani, cambia la «classifica» dei consumi delle bevande. Tra gli adulti in testa c'è il vino (48,1 per cento), seguito dalla birra (27,1 per cento), dai superalcolici (10,3 per cento) e dagli aperitivi, amari e digestivi (5,5 per cento).
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IL PESO DELL'ALCOL SULLA SALUTE
Nel 2017 si sono conteggiati oltre 39.000 accessi in Pronto Soccorso dovuti alle conseguenze di una «abbuffata» alcolica. In età giovanile, i danni più frequemente registrabili sono quelli dovuti agli incidenti stradali (l'alcol è il primo fattore di rischio) e alla compromissione dello sviluppo cerebrale. Ma l'abitudine ad «alzare il gomito», nel tempo, può spianare la strada a diverse malattie: sindromi psicotiche, polineuropatie, cardiomiopatie, gastrite, pancreatite cronica, malattie neurodegenerative. Per tutte queste ragioni, nel 2017, il numero di decessi di persone con più di 15 anni dovuto a malattie attribuibili all'alcol è stato pari a 1.240 (l'81 per cento uomini). A ciò occorre aggiungere la quota di decessi dovuti a incidenti stradali, malattie cardiovascolari, cirrosi epatica (ormai dovuta più ai danni dell'alcol che alle cause virali) e tumori che possono essere stati determinati dall'abuso di bevande alcoliche. Da qui il totale di 17.000 decessi: 50 in più ogni giorno che passa.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).