Alcol e prevenzione, se l’industria non convince
Indipendenza e autorevolezza per promuovere i corretti stili di vita, senza interferenze dell'industria dell'alcol
L’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe recentemente maturato al suo interno alcune indicazioni di massima rivolte a stabilire un approccio di non coinvolgimento dell’industria o comunque del settore della produzione di alcolici nelle attività che siano dedicate allo sviluppo di politiche dedicate all’alcol come fattore di rischio per la salute pubblica. Lo scopo di una simile mosa sarebbe quello di escludere le parti sopra citate dallo sviluppo di misure di salute pubblica rivolte alla prevenzione dei rischi e danni causati dall’alcol all’individuo e alla società.
Secondo un’indiscrezione trapelata attraverso il British Medical Journal, l’Organizzazione Mondiale della Sanità inviterebbe i governi che dovessero richiedere consiglio nel merito di collaborazioni con l'industria a essere resi consapevoli dei «pericoli» insiti nella collaborazione. Chiariamo: il messaggio che l'acquisizione di finanziamenti e persino il parlare con l'industria alcolica su alcuni argomenti non sia accettabile è stato disposto in una nota interna al personale, segnalando che «gli obiettivi di sanità pubblica dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in relazione all'alcol dovrebbero fungere da base per qualsiasi interazione con l'industria alcolica». Nell’articolo pubblicato si affermerebbe che «la natura dell'interazione tra il segretariato dell'Organizzazione e l'industria dell'alcol dovrebbe limitarsi a un dialogo e a uno scambio d’informazioni per ottenere risultati positivi per la salute pubblica. L'interazione con l'industria dell'alcol all'interno di un determinato quadro non dovrebbe comportare o implicare qualsiasi altro tipo d’impegno analogo che possa dare l'impressione di una relazione congiunta formale. Il motivo è che tale impegno metterebbe a repentaglio l'integrità, la credibilità e l'indipendenza del lavoro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità». Che, invece, lascerebbe alla «discrezione di ciascuno Stato membro» il comportamento da seguire, anche se dovrebbero essere sempre considerati i potenziali rischi d’impegno. Questi includono conflitti d’interesse e «influenza indebita o impropria» sul lavoro di salute pubblica, in particolare nelle politiche, norme e impostazione standard.
Allo stato attuale nulla è pervenuto in termini di comunicazione formale al fine di informare e sensibilizzare i governi che qualunque impegno congiunto con l’industria potrebbe essere utilizzato dal settore dell'alcol principalmente per servire interessi commerciali, rientranti comunque nel marketing aziendale, con benefici limitati o nessun beneficio per la salute pubblica; potrebbe essere conferito come approvazione del nome, del marchio, del prodotto, della vista o dell'attività dell'industria alcolica; e considerato come «un contributo d'immagine dell'industria alcolica».
In molti si chiedono il perché di un così drastico ripensamento rispetto a posizioni di apertura ben diverse maturate a seguito della «Global Strategy on Alcohol». In realtà, nel corso degli anni recenti, diversi governi e organizzazioni non governative sono stati criticati per le partnership con l'industria dell'alcol. E non c’è dubbio che la posizione maturata possa esser stata influenzata dalla rilevazione del non ottimale livello di sviluppo delle misure adottate negli Stati Membri a seguito della strategia mondiale di prevenzione e, in Europa, dell’«European Alcohol Action Plan». Quanto alle misure basate sulla massima efficacia da intraprendere nei domini d’influenza dell’industria, come il marketing rivolto ai minori, le politiche di tassazione, la disponibilità degli alcolici, poco o nulla è stato possibile fare, anche a fronte delle influenze dell’industria su scelte politiche di gran lunga più sensibili alle pressioni delle lobbies e degli interessi commerciali ed economici alla base dei profitti, in crescita esponenziale in molte parti del mondo, che sugli interessi di tutela della salute come richiesto anche dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che per l’alcol prevede obiettivi di riduzione del dieci per cento dei consumi pro-capite, dei consumatori a rischio, della mortalità prematura causata dall’alcol, obiettivi condivisi dalla strategia mondiale di contrasto alle malattie croniche.
Nei fatti, qualunque sia la ragione del nuovo approccio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una riflessione sul reale impatto sulla prevenzione di qualunque forma di richiesta di collaborazione da parte dell’industria di prodotti alcolici. Una posizione che nasce dalla verifica della tendenza a incrementare la pressione al bere e dallo scarso contrasto alla prevenzione promosso a livello di popolazione, come dimostrano la ripresa sostanziale dei consumi medi pro-capite e le iniziative di avvicinamento dei target sensibili (minori, adolescenti, giovani) attuate persino nelle scuole di primo e secondo grado mirando alla familiarizzazione con le bevande alcoliche e alla normalizzazione del bere attraverso l’ ospitalità, per esempio, di istituti scolastici che favoriscono l’accesso di iniziative «culturali» e di «bere consapevole» rivolte ai minori. Nei loro confronti, l’unico concetto da elaborare alla luce delle linee guida sul rischio del consumo di alcolici è quello di non assumere alcolici al di sotto dei 18 anni e al di sotto dei 25 anni per i confermati danni al cervello conseguenti all’interferenza sullo sviluppo in senso razionale della modalità cognitiva tipicamente emotiva degli adolescenti.
Sono numerose le considerazioni che si potrebbero fare per ciascuna delle dieci aree di azione della strategia globale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sull'alcol, in cui l'industria potrebbe e dovrebbe garantire attivazione ma, restando all'ambito di competenza sanitaria, sociale e di salute, una considerazione prevale. Le azioni di prevenzione riguardanti l’alcol hanno necessità di una sostanziale rivalutazione in Italia e di correttivi che possano basarsi su chiare competenze di sostegno alla legittimità dei ruoli che, in salute pubblica, devono essere garantiti dall’indipendenza da qualunque soggetto portatore d’interessi differenti da quelli di tutela della salute e da iniziative basate sull’evidenza scientifica. Occorre rimettere al centro l’individuo e lo stesso concetto di «empowerment» nella sua più ampia accezione di dare voce e rilevanza alla prevenzione che manca, in particolare per i target più sensibili dei minori, degli adolescenti, dei giovani in genere, delle donne e degli anziani. Necessario è pure lavorare a livello culturale, per promuovere dei modelli e degli stili di consumo ispirati a comportamenti salutari e per i quali settori comunque estranei alle competenze sanitarie è bene che mantengano distinte e distanti competenze e sfere d’influenza. Di tutto ciò si parlerà nel corso della diciottesima edizione dell'Alcohol Prevention day, all'Istituto Superiore di Sanità il 15 di maggio.