Alcol e cancro: un rischio evitabile
Il messaggio nella Settimana della consapevolezza sui danni provocati dall’alcol (#Awarh17)
Alcol e cancro, sino a qualche anno fa non se ne poteva neanche parlare o esprimere pareri senza sollevare un vespaio di polemiche. Sono ancora di fresca memoria le richieste di valutazioni e azioni specifiche da parte della Consulta delle Associazioni dei Consumatori in relazione a una causa intentata da un donna per un cancro al seno i cui legali avevano chiesto un parere agli organismi nazionali e comunitari. Da messaggio tabù, oggi il tema della cancerogenicità delle bevande alcoliche è invece argomento chiave di prevenzione dell'infausto binomio: confermato e sempre più consolidato dalle ricerche internazionali. Gli ultimi ad aprire gli occhi, con ragguardevole (per alcuni colpevole) ritardo, sono stati gli oncologi americani. «Anche il consumo moderato di alcol può determinare l’insorgenza di un tumore», è la posizione ufficializzata attraverso le colonne del Journal of Clinical Oncology e immediatamente ripresa nell'editoriale di apertura da The Lancet, che di fatto richiama la posizione da anni diffusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e formalizzata attraverso il Codice Europeo contro il Cancro («Per prevenire i tumori, è meglio non bere alcolici») e a più riprese esplicitata attraverso queste colonne. Ci si potrebbe dilungare sulle ragioni che hanno portato i colleghi statunitensi a temporeggiare tanto, prima di prendere una posizione. Ma non è questo che interessa, nei giorni in cui in tutta Europa si celebra la Settimana della consapevolezza sui danni provocati dall’alcol (Awarh), sostenuta anche attraverso i social network (tre gli hashtag: #awarh17 - #alcohol - #cancer) per sollecitare la diffusione delle esperienze personali e delle evidenze al fine di consentire ai cittadini di porsi al riparo dai rischi evitabili e di attuare scelte informate.
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PREVENZIONE FIN DALL'ADOLESCENZA
Non può tuttavia non colpire l’ulteriore «equilibrismo», non giustificabile a fronte dell'evidenza scientifica, a cui ispirare la dovuta rigorosità degli «statement» di una società scientifica di rango come l’Associazione statunitense degli oncologi. «Mentre per le sigarette diciamo che non si dovrebbe mai fumare, il messaggio in questo caso è diverso: non si parla di non bere, ma di farlo meno o di non iniziare, se non lo si è già fatto», è quanto asserito da Bruce Johnson, direttore del programma di ricerca sul tumore del polmone del Dana Farber Cancer Institute di Boston, travisando volutamente il messaggio di prevenzione del Codice Europeo, secondo cui non bere alcolici è la scelta migliore per la prevenzione del cancro. Un messaggio chiaro, inequivocabile, che tutte le società scientifiche e le istituzioni di tutela della salute dovrebbero provvedere a porgere in particolare alle categorie più vulnerabili. Come le donne, per esempio, per le quali un semplice bicchiere successivo al primo di qualunque bevanda alcolica incrementa di una quota compresa tra il 7 e il 27 per cento il rischio di ammalarsi di cancro della mammella. Un’evidenza che imporrebbe campagne che richiamino tale rischio in particolare per le adolescenti, che cominciano a bere prima (oltre che troppo) e risultano dunque più esposte a quantità di alcol che circolano intatte nel sangue, in virtù dell'incapacità di metabolizzazione prima della maggior età (nelle ragazze è pure più alto il rischio che una lesione benigna si trasformi in maligna, rispetto alle donne adulte). Anche il recente riscontro dell'incremento del sette per cento nel rischio di cancro del colon-retto per ogni bicchiere consumato dovrebbe indurre a sollecitare, oltre che il dovuto richiamo agli screening preventivi, l'adozione di messaggi specifici ancora inspiegabilmente inesplorati da gran parte delle campagne di prevenzione del cancro della mammella e del colon, lì dove si volesse rendere veramente centrale il ruolo della persona nella sua prevenzione e nelle sue scelte orientate alla tutela della salute.
L'ETICA RICHIESTA AI MEDICI
Sul legame alcol e cancro e la relativa informazione è impegnata pure la Società Italiana di Alcologia, nel riproporre una campagna che invita a verificare con il proprio medico eventuali situazioni che possano sconsigliare il consumo di alcolici. Essere cauti ed esaustivi per un medico è segno di professionalità ed etica e di profondo rispetto per il proprio paziente. Una comunicazione chiara e univoca può fare la differenza, rispetto al rischio d'insorgenza di malattie in grado di pregiudicare in maniera grave lo stato di salute e la sopravvivenza. La scelta sarebbe ancora più necessaria alla luce delle campagne di marketing aggressive denunciate nei report europei e dalla scarsa politica sul controllo della disponibilità, dei prezzi (è di qualche giorno fa la sentenza della Corte di Giustizia Europea che sancisce l'applicabilità del «minimum price» avversato in Scozia dall'industria) e delle logiche di promozione in tutti i contesti in cui l'alcol, come ribadito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, non dovrebbe trovare collocazione (sponsorizzazioni di eventi musicali, sportivi e culturali). Per non parlare di quelli in cui sono le stesse istituzioni sanitarie a veicolarne i messaggi e la promozione, in aperto contrasto con il proprio mandato. Sono considerate ormai acquisite le evidenze fornite dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) che correlano il consumo di bevande alcoliche - senza distinzione alcuna tra esse - all’insorgenza di almeno sessanta malattie. Come ben descritto in questa infografica, non si tratta soltanto di tumori. Della crescente lista fanno parte anche le malattie cardio e cerebrovascolari, neurodegenerative e dell'apparato digerente. Un «pacchetto» che, tradotto in danari, fa schizzare a settecento miliardi di euro annui i costi per l’assistenza sanitaria delle persone che devono i propri problemi di salute al consumo di alcol. Certo, come affermava Paracelso, il rischio dipende dalla dose di consumo: motivo per cui più si beve, più alta è la probabilità di sviluppare una delle citate condizioni. Per questo motivo - in omaggio alla perizia, prudenza e diligenza della classe medica - tale richiamo deve trovare sempre giusta e equilibrata accoglienza accanto all'informazione che precisi che non esistono quantità di alcol consumate che pongano al riparo dal rischio di una o più condizioni a esso correlate. Una simile evidenza deve essere sempre posta come premessa e conclusione di qualunque documento che faccia appello alla prevenzione e che sia proposto da quanti sono chiamati a tutelare la salute e la sanità pubbliche.
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Un discorso valido a tutte le latitudini, ma soprattutto nell’Europa in cui si registrano i maggiori consumi di bevande alcoliche: più di un quinto della popolazione di età superiore ai 15 anni assume in media quattro bicchieri al giorno almeno una volta a settimana e l’utilizzo annuo pro-capite raggiunge la quota di nove litri, con una media di trenta grammi al giorno. Nove cittadini su dieci ignorano il potenziale di rischio legato al consumo di birra, vino e superalcolici con una frequenza maggiore di associazione dei consumi più elevati di alcol con l’incidenza dei tumori che coinvolgono gli organi dell’apparato digerente, come ricordato di recente dall’Unione dei Gastroenterologi Europei (Ueg). Ma del novero fanno parte pure i tumori della cavità orale, del seno, dell’endometrio.
GLI INTERESSI DELL'INDUSTRIA IN BALLO
Dei danni provocati dall’alcol alla salute si parla poco anche in ragione dell'immanenza ed influenza dell’industria che, oltre a costituire nuclei di pressione non sempre trasparenti ha nel tempo esercitato anche una costante azione di confondimento delle evidenze scientifiche. Appena poche settimane fa, una review pubblicata sulla rivista «Drug & Alcohol» ha posto l'accento sulla problematica relativa alle informazioni fornite in merito al legame tra alcol e cancro, ripercorrendo una strategia già verificata per l'industria del tabacco. Gli autori del documento, dopo aver analizzato le informazioni sui siti delle aziende di settore relativamente al rischio di tumore correlato al consumo cronico di bevande alcoliche, hanno accusato gli operatori del settore di scarsa trasparenza nei confronti dei consumatori relativamente al rischio oncologico. Nella maggior parte dei casi, la relazione è stata presentata come altamente complessa e dunque assai difficile da provare. Mentre in altre circostanze si è puntato a descrivere l’alcol come uno dei tanti fattori di rischio, allo scopo di allentare la pressione sulle bevande in questione. Infine c’è chi non ha mancato di sottolineare come in realtà non emerga alcun rischio a fronte di consumi sporadici e comunque moderati. Azioni che spesso sono state messe in atto anche attraverso rappresentanti della comunità scientifica poco trasparenti rispetto alle dichiarazioni pubbliche e ai documenti di consenso che spesso aggrediscono, letteralmente, le evidenze sfavorevoli, esaltando invece quelle favorevoli al consumo pur moderato di alcol. In tutto questo chi ne fa le spese è il consumatore che non ha gli elementi culturali per farsi un giudizio che possa confortare scelte adeguatamente informate. È per la sua tutela che, al fine di portare avanti la lotta al cancro, vale la pena ribadire l’unico messaggio comprovato dalla comunità scientifica. Alcol: meno se ne beve, meglio è.