Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio Nazionale Alcol: «I ragazzi devono capire che i limiti esistono per non danneggiare la loro salute». Importante coinvolgere i giovani e partire dalle loro paure
«I ragazzi devono comprendere che i limiti esistono per non danneggiare la loro salute». Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio Nazionale Alcol dell'Istituto Superiore di Sanità e blogger della Fondazione Umberto Veronesi, non è sfiduciato. Ristabilire la giusta distanza tra i giovani e le bevande alcoliche, nonostante gli ultimi dati Istat abbiano segnalato un incremento dei consumi soprattutto lontano dai pasti (legato al bere per ubriacarsi), è possibile: a patto di coinvolgerli nella definizione dei programmi di prevenzione a loro rivolti.
Vuol dire che chi deve essere controllato può fungere da controllore di se stesso?
«Questa s'è dimostrata essere la strada giusta, capace di costruire abilità vere. Non a caso abbiamo deciso già deciso di percorrerla, ospitando i ragazzi delle scuole di secondo grado in alternanza scuola-lavoro in Istituto Superiore di Sanità. Il concetto di controllo non pregiudica la libertà di scelta individuale, se si costruisce il valore e si condivide il senso del rispetto della legalità che gli stessi adulti hanno mortificato. Questo lo si può fare solo valorizzando le ragioni e i modelli che favoriscono l'integrità dello sviluppo individuale sottratto all'evitabile minaccia del bere. L'Osservatorio Nazionale Alcol ha chiesto agli studenti di realizzare una campagna e materiali adeguati alla loro età e cultura da veicolare nelle loro scuole, avendo come target coetanei e adolescenti più piccoli. La prevenzione calata dall'alto, coi giovani, ci hanno confermato, non funziona; loro vogliono contare».
Qual è l'approccio più efficace per porre in luce le insidie legate al consumo delle bevande alcoliche?
«Ai ragazzi i limiti vanno spiegati, mai in maniera paternalistica, e condivisi in un'ottica realistica di capacità di gestione del rischio nelle situazioni in cui loro sanno e percepiscono la possibile vulnerabilità che si obbligano a seguire: coinvolti dalle dinamiche di gruppo, dall'atteggiamento di sfida e di provocazione degli adulti e dalle norme imposte ma, secondo loro, ipocritamente disapplicate. Vulnerabilità di cui spesso, comunque, risultano vergognarsi. Uno dei problemi dell'Italia è il mancato rispetto della legge che vieta la vendita di bevande alcoliche ai minorenni. Di fronte a questo deficit di legalità, un operatore di salute pubblica può poco. E allora non resta che spiegare ai ragazzi perché non potrebbero comprare nè in un bar né in un supermercato una lattina di birra o una bottiglia di superalcolico. Non è puro proibizionismo, ma una politica di controllo e di tutela dei più deboli, una scelta di civiltà e di rispetto per la persona. L'obiettivo ultimo è tutelare la loro salute».
Di cosa ha paura un sedicenne?
«Dell'esclusione dal gruppo, della sanzione collettiva che scatta quando eccede e rende un inferno una serata di divertimento. Ma anche della perdita del controllo e della relativa inconsapevolezza dei danni causati dall'alcol. Per questo vogliono sapere del danno cerebrale, irreversibile se l'uso di alcol si protrae nel tempo, o del rischio di sovrappeso o dell'obesità, che diventano condizioni inevitabili in presenza di persistenti ed elevati introiti di calorie. Ma anche del cancro e delle 220 malattie collegate al consumo di alcolici. Occorre incrementare la consapevolezza sull'abbassamento della percezione del rischio conseguente al consumo pur moderato di alcol, che è un danno sempre e comunque prima dei 18 anni per l'organismo. E, comunque, tossico per il cervello sino ai 25 anni. I giovani devono conoscere l'effetto moltiplicativo che si genera, per esempio, quando il consumo di alcol si abbina al fumo di sigaretta, alla cannabis o all'utilizzo di un dispositivo tecnologico. L'alcol abbassa la percezione del rischio e il controllo su se stessi. Essere filmati ubriachi e postati sui social è la gogna di cui i ragazzi hanno terrore, perché, nonostante non lo si voglia comprendere, sono dei soggetti deboli. Quando si dice loro che l'alcol è la prima causa di morte per incidenti stradali, il messaggio arriva diretto al destinatario senza fraintendimenti e, se posto nella giusta maniera, genera riflessione e cambiamento».
Quanto è opportuno parlare con loro di tumori e rischio cardiovascolare?
«Molto meno, se si confronta la reazione che hanno dopo aver ricevuto queste informazioni con quella che invece si osserva dopo aver parlato dei danni acuti. I giovani, com'è giusto che sia, si preoccupano meno delle malattie che potrebbero sviluppare da adulti».
Cosa si intende per consumo a rischio di alcol da parte di un giovane?
«Fino al raggiungimento della maggior età, i ragazzi non dovrebbero bere nemmeno un bicchiere di qualunque bevanda alcolica al giorno. Nel loro caso uso vuol dire abuso, perché l'etanolo interferisce con il normale sviluppo cerebrale, in corso fino ai 25 anni. L'uso di bevande alcoliche durante l'adolescenza rischia di cristallizzare lo sviluppo cerebrale, impedendo quella maturazione necessaria al completamento dello sviluppo e al raggiungimento dell'età adulta».
Che cosa bevono maggiormente i ragazzi?
«Il problema, alla loro età, è il binge drinking. E per attuarlo bevono di tutto. Nel fine settimana molti iniziano la serata con aperitivi, birre e cocktail superalcolici, per poi passare ai white spirit superalcolici, vodka, rum, gin. Non è insolito nemmeno vederli andare in giro con bottiglie di vino o mescolare le bevande a basso costo per condividere grandi quantità di miscele alcoliche di pessima qualità. È una modalità di consumo tipica della loro età, che segna una differenza sostanziale rispetto alle abitudini degli adulti».
Un genitore come può riconoscere se il proprio figlio ha assunto bevande alcoliche?
«L'alcol non può sfuggire al controllo da parte dei genitori. Si tratta di una sostanza volatile, che emette sempre un odore: percepibile quando un figlio ci parla o nell'aria della sua camera da letto. Un altro parametro da tenere sotto controllo è il rendimento scolastico. Il deficit cognitivo è principalmente di memoria e può determinare un calo del rendimento già nell'arco di pochi mesi. Questo è un campanello d'allarme a cui devono prestare attenzione anche gli insegnanti, quando non riescono a spiegarsi le defaillance da parte di un loro alunno. E devono poter escludere anche l'uso contestuale di cannabis, estremamente frequente nelle scuole».
Esiste un link tra l'attività sui social network e il consumo di bevande alcoliche?
«Sì, come testimoniano i casi di Neknomination. I ragazzi si mostrano più trasgressivi, mentre le ragazze tendono all'emulazione. Ma non di rado sono i maschi a rimanere vittime di episodi di sexting, di ricatti di diffusione sui social di foto o video imbarazzanti del soggetto filmato in stato di ebbrezza, e di cyberbullismo. Anche questi sono argomenti che vanno condivisi con i giovani per metterli in guardia sui pericoli legati all'uso e all'abuso di bevande alcoliche».
Quali sono gli altri limiti, in base all'età, oltre i quali è corretto parlare di consumi a rischio?
«Tra i 18 e i 25 anni i ragazzi dovrebbero evitare l'alcol e comunque non dovrebbero mai bere più di un bicchiere al giorno: indipendente dalla bevanda e dal sesso. Essere magri peggiora l'effetto dell'alcol, consumare a digiuno anche. Le linee guida nutrizionali indicano che le donne, sino ai 64 anni, possono bere al massimo un bicchiere di vino al giorno, gli uomini due. Va sempre evitata l'intossicazione occasionale: a prescindere dall'età. Oltre i 65 anni si torna a un bicchiere per ambo i sessi, ma in questo caso occorre chiaramente considerare l'eventuale presenza di altre malattie. Il consumo di alcol, come da anni sollecitato dalla Società Italiana di Alcologia, va sempre negoziato con il proprio medico, l'unico che può stabilire se esistono condizioni individuali che controindicano l'uso di alcol a maggior tutela della salute della persona».
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IO VIVO SANO - DIPENDENZE
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).