Rachele, 72 anni, si è ammalata di tumore dell'ovaio per la prima volta nel 2000. «Alle donne suggerisco di non rimandare mai i controlli»
Cinquant’anni, un'esistenza serena, un matrimonio duraturo e due figli già maggiorenni. Fino al 2000, tutto sembrava filare liscio nella vita di Rachele. Poi, all’improvviso, il tiro mancino inatteso. Da un decennio, con cadenza semestrale, si sottoponeva a un’ecografia pelvica. Tutte negative, fino a quella che l'avrebbe posta faccia a faccia con la malattia. «Forse ho un tumore dell’ovaio», furono le prime parole che la donna rivolse al fratello, chirurgo, terminato l'ultimo accertamento. Fu lui, in ragione della sua professione, il primo a esserne informato. «Il cancro, quello di cui parliamo sempre pensando che riguardi gli altri, da quel momento apparteneva anche a me. La malattia era nel mio corpo, anche se non aveva ancora dato alcun segno. Cresceva però velocemente, come la paura: c’è sempre all’inizio, quando ti dicono che hai un tumore. Ma la fede, abbinata alla fiducia nei confronti dei medici, mi ha permesso di superarla. E di riportare oggi questa esperienza, con la speranza che possa infondere fiducia alle donne che stanno affrontando la malattia».
TUMORE DELL’OVAIO: 8 MAGGIO GIORNATA MONDIALE
La testimonianza di questa distinta signora napoletana di 72 anni giunge in occasione della giornata mondiale dedicata al carcinoma dell’ovaio. Si tratta della più pericolosa forma di cancro che può colpire la sfera ginecologica. Le forme maligne possono derivare dall’epitelio di rivestimento (più frequenti), dalle cellule germinali (che daranno origine alle cellule uovo) e dallo stroma (tessuto di sostegno delle ghiandole). Ma indipendentemente dall’origine, a differenza di quanto accade per altri tumori femminili (come quelli di seno e collo dell’utero), non esiste alcuna forma di prevenzione o di diagnosi precoce. La storia di Rachele lo testimonia. «Prima di un fratello, avevo un padre medico - racconta la donna al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi -. Di conseguenza l’attenzione nei confronti di certi temi l’ho respirata fin da bambina. Già vent’anni fa, quando la sensibilità nei confronti della prevenzione non era sviluppata come oggi, mi sottoponevo regolarmente a mammografia, Pap test e frequenti ecografie addominali». Eppure tutto ciò non è stato sufficiente a evitare l’appuntamento con la malattia.
UNA MALATTIA SUBDOLA
Il tumore dell’ovaio è infatti subdolo e insidioso: gonfiore e dolore addominale privo di altre spiegazioni, frequente bisogno di urinare o perdite di sangue, stitichezza o diarrea persistenti e sazietà a stomaco vuoto i possibili campanelli di allarme. Ma torniamo a Rachele. Nella sua mente un dubbio s'è sempre riaffacciato, ciclicamente: quello che qualcosa di anomalo fosse già presente al controllo precedente, senza essere però rilevato al momento dell'ecografia. La rassegnazione, a ogni modo, non ha mai preso il posto della speranza. «Nelle prime settimane ero preoccupata soprattutto per i miei figli. Erano grandi sì, ma ancora a casa e alle prese con gli studi. Mi chiedevo cosa sarebbe stato di loro, se la malattia mi avesse portato via. La fede, che già coltivavo prima di scoprirmi alle prese con un tumore dell’ovaio, mi ha permesso di non crollare mai». Il resto lo hanno fatto gli specialisti coinvolti nei vari step: la Tac (radiologo), l’intervento chirurgico (chirurgo), l’esame istologico (anatomopatologo), le terapie mediche (oncologo).
Usare il talco aumenta il rischio di ammalarsi di tumore dell'ovaio?
TUMORE DELL’OVAIO: ADESSO SI PUO' CURARE
Ricorda Rachele: «Furono rilevate due masse di medie dimensioni, una per ovaio: rispettivamente di 13 e 9 centimetri». A rimuovergliele fu Mario Luigi Santangelo, all'epoca direttore del dipartimento di chirurgia generale e dei trapianti d'organo del primo policlinico di Napoli, che asportò entrambe le ovaie e l’utero. Ma durante l’intervento, primo passo nel trattamento del carcinoma ovarico, la capsula di una delle due formazioni si ruppe. Si concretizzò così una delle insidie maggiori: la disseminazione intraperitoneale. «Mi spiegarono che la diffusione delle cellule malate al peritoneo, e potenzialmente da lì agli altri organi della cavità addominale, può rappresentare una delle conseguenze più gravi del tumore dell’ovaio», ricorda la donna. Ciò in effetti è accaduto: quattro le metastasi affrontate in 15 anni. «Diciamo che, all’incirca ogni tre anni, la malattia è tornata a salutarmi». Per fortuna, però, sono sempre state scoperte in tempo. E i trattamenti, chirurgici e farmacologici, hanno sortito i migliori effetti. Non soltanto chemioterapia (a base di paclitaxel e carboplatino): il tumore dell’ovaio da anni si combatte anche con i farmaci «a bersaglio molecolare», i cosiddetti antiangiogenetici e i Parp-inibitori. I primi «tagliano» i rifornimenti alle cellule tumorali e provocano uno stop alla crescita della malattia. I secondi impediscono alle cellule neoplastiche di riparare i danni al Dna provocati dalle mutazioni dei geni Brca e, di fatto, le «accompagnano» verso la morte.
TUMORE DELL'OVAIO: IN QUALI CASI
FARE IL TEST GENETICO?
TEST GENETICO: PREVENZIONE E TERAPIE
Parlando dei «geni-Jolie», si arriva a una delle scoperte più significative riguardanti il tumore dell’ovaio. «Le mutazioni dei geni Brca 1 e 2 sono responsabili di una quota compresa tra il 10 e il 20 per cento delle nuove diagnosi di tumore dell’ovaio», dichiara Sandro Pignata, direttore della struttura complessa di oncologia medica uro-ginecologica dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli. Da un decennio, ormai, è lui l’«angelo custode» di Rachele. «Il test genetico deve essere fatto a tutte le pazienti, perché permette di mettere a punto le terapie più adeguate. Ma l’indicazione deve riguardare anche tutti i parenti di primo grado: soltanto così possiamo prevenire l’insorgere di altri casi di malattia». Questa opportunità ha permesso ai figli di Rachele - nomi di fantasia: Francesco (44) e Ludovica (40) - di scoprire di essere portatori di entrambe le mutazioni. Nel caso di Ludovica, già mamma di due bambini, s’è poi deciso di procedere con l’asportazione profilattica delle ovaie. In Italia l’accesso gratuito al test - sia per le pazienti con un tumore ovarico sia per le loro parenti di primo grado - dovrebbe essere un diritto garantito in modo omogeneo in tutte le Regioni. Ma ancora in troppi casi, complice la gestione decentrata della salute, questo non accade. «Le donne devono conoscere questa opportunità e anticipare piuttosto che rimandare i controlli - conclude l'ex paziente -. Con questo approccio, e avendo avuto la fortuna di incrociare professionisti validi, ho imparato che la parola tumore non è sempre sinonimo di morte».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).