L'8 maggio si celebra la Giornata Mondiale dedicata al tumore dell'ovaio. In Italia sono oltre 5 mila le diagnosi ogni anno. Cinque cose da sapere su prevenzione, sintomi e cura
Ogni anno nel nostro Paese sono oltre 5 mila le diagnosi di tumore dell'ovaio. I sintomi, spesso vaghi e sovrapponibili ad alcuni dei più comuni disturbi dell'apparato digerente, fanno sì che la diagnosi arrivi troppo spesso quando la malattia è già in fase avanzata. Oggi si celebra la Giornata Mondiale dedicata al tumore dell'ovaio. Ecco cinque cose da sapere su prevenzione, sintomi e cura.
QUANTO E' DIFFUSO?
In Italia nel 2016 sono stati diagnosticati 5.200 nuovi casi di tumore ovarico, dei quali più del 75% in fase avanzata. È più frequente in menopausa, nelle donne tra i 50 ed i 65 anni di età, anche se può colpire anche in età più giovane. In Italia è la quarta causa di morte per tumore nelle donne sotto i 50 anni, e la quinta in quelle tra i 50 e i 69 anni. Il tumore alle ovaie è particolarmente subdolo perché in genere si sviluppa sulla superficie di questi piccoli organi: per questo motivo appena il tumore nasce diventa immediatamente metastatico, cioè da subito si formano degli accumuli di cellule tumorali che possono diffondersi a tutto l’addome. Questi accumuli, detti impianti, sono così piccoli che non danno sintomi. Quando diventano rilevabili, il tumore è spesso già molto diffuso e difficilmente curabile: agli stadi più avanzati la sopravvivenza non raggiunge il 30%. È per questo motivo che il tumore delle ovaie rappresenta la più importante causa di morte per tumore ginecologico e una delle prime fra tutti i tumori. Tuttavia, se diagnosticato in fase precoce il tasso di sopravvivenza aumenta fino all’85-90%.
IL RUOLO DELLA GENETICA
Ad oggi non si conoscono nei dettagli le cause che determinano la genesi del tumore alle ovaie, anche se in casi specifici è stata identificata una predisposizione genetica. É infatti ormai noto che almeno il 10% dei tumori dell’ovaio si sviluppa a causa di un gene alterato acquisito dai genitori. Questa porzione di tumori è definita eredo-familiare e può essere individuata studiando le famiglie affette. Non solo la genetica ci viene incontro con lo studio delle famiglie dei soggetti malati di tumore, ma è anche possibile eseguire un test di laboratorio sul sangue per identificare i portatori di questo gene mutato. Chi potrebbe essere il portatore di un gene mutato? Donne con madre e/o sorella e/o figlia affetta/e da tumore dell’ovaio hanno un maggior rischio di sviluppare la neoplasia. Ma anche donne con familiarità per il tumore della mammella, specie se comparso in giovane età sotto i 35 anni, oppure tumore bilaterale della mammella, oppure tumore dell’ovaio e della mammella nella stessa paziente o nella stessa famiglia, oppure ancora il tumore della mammella in un maschio. Tutte queste situazioni suggeriscono la possibilità che in famiglia circoli il gene malato. In particolare, è ben conosciuta e studiata la mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2, i quali normalmente contrastano la genesi del tumore della mammella e dell’ovaio, e quando sono mutati non esercitano più la loro funzione protettiva.
GRAVIDANZA, MENOPAUSA E PILLOLA COME FATTORI PROTETTIVI
Trattandosi di tumori ginecologici, non stupisce che il rischio di contrarre un tumore ovarico possa variare in base a fattori ormonali e alla propria storia riproduttiva. Ad esempio, la comparsa precoce delle mestruazioni o una menopausa tardiva aumentano il rischio di tumori ovarici, così come di altre neoplasie ginecologiche. É stato inoltre visto che il rischio diminuisce all’aumentare del numero di gravidanze e che, al contrario, è più alto per donne che non hanno mai avuto figli o che hanno avuto la prima gravidanza in età avanzata. Secondo uno studio australiano del 2013, anche l’allattamento al seno sembra avere un effetto protettivo rispetto ai tumori ovarici, così come l’assunzione prolungata della pillola anticoncezionale.
I SINTOMI
I sintomi del tumore all’ovaio possono variare da donna a donna e da caso a caso. Per lungo tempo si è pensato che non esistessero sintomi precoci, tuttavia una serie di studi recenti ha mostrato che alcuni sintomi sono presenti anche nelle prime fasi della malattia. Questi includono: dolore addominale o pelvico che si propone in forma regolare ma non necessariamente continuativa; senso di pienezza precoce e di non riuscire a mangiare nella solita quantità; distensione addominale che persiste (non quella normale che va e viene). Altri sintomi includono una modificazione delle abitudini intestinali, la frequenza minzionale, il sanguinamento vaginale, altre sintomatologie intestinali. Trattandosi di sintomi generici, è molto probabile che quando si presentano siano dovuti ad altre cause e non ad un tumore ovarico. Tuttavia se persistono o diventano più gravi può essere utile tenerne un diario preciso e parlarne con il proprio medico.
LE TERAPIE
La prima scelta nella cura del tumore dell'ovaio è la chirurgia. Dopo il primo trattamento chirurgico le pazienti vengono sottoposte ad un trattamento chemioterapico che serve per consolidare il risultato della riduzione del tumore ottenuto dalla chirurgia. Alcune pazienti alla fine del trattamento sono guarite, cioè non hanno più evidenza di malattia e vengono avviate ai controlli. In caso il tumore ricompaia nel tempo queste pazienti possono essere trattate ancora con gli stessi farmaci oppure con chemioterapici differenti, a seconda dell’intervallo trascorso tra la fine della terapia e la ricomparsa dei segni della malattia. In assenza di cure risolutive è quindi fondamentale poter offrire una terapia di mantenimento in grado di arrestare o rallentare la progressione della patologia e prolungare gli intervalli liberi da chemioterapia. In quest’ambito da qualche tempo sono disponibili una nuova classe di farmaci, gli anti-PARP, che sono in grado di inibire i meccanismi che riparano il DNA nelle cellule neoplastiche dell’ovaio. Queste terapie hanno dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza libera da progressione.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.