La sopravvivenza dei pazienti con un tumore della vescica cresce trattandoli da subito con l'immunoterapia (Atezolizumab) assieme alla chemioterapia
Anche per i pazienti con un tumore della vescica sta per scoccare l’era dell’immunoterapia. Quella che è una prospettiva già reale per le persne alle prese con un melanoma, un tumore del polmone o del rene, è oggi più «vicina» anche per chi è alle prese con le forme avanzate del secondo tumore urologico più diffuso, dopo quello della prostata. La speranza di un utilizzo fin dall'inizio delle cure (come accade per alcune forme di tumore del polmone non a piccole cellule) dell'approccio premiato nel 2018 con il Premio Nobel per la Medicina giunge dai risultati di due studi: uno pubblicato sulla rivista The Lancet e l'altro presentato al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO). Le ricerche, condotte con atezolizumab e avelumab in combinazione con la chemioterapia, hanno evidenziato l'efficacia e la tollerabilità dell'immunoterapia dall'avvio del trattamento del tumore della vescica metastatico.
TUMORE DELLA VESCICA:
COME FARE PREVENZIONE?
MIGLIORARE LA CURA DEI TUMORI UROTELIALI
La cura del tumore della vescica ha fatto registrare pochi progressi negli ultimi decenni. Se non operabile, la chemioterapia è la strategia più impiegata nei pazienti con una malattia in fase più avanzata e prevede la somministrazione di un farmaco a base di platino (cisplatino o carboplatino), con la possibile aggiunta di altre molecole (gemcitabina, vinblastina, doxorubicina). In questa maniera, però, soltanto 1 paziente su 10 fa registrare una remissione duratura del cancro. Si spiega così il sostanziale equilibrio nei tassi di sopravvivenza di quello che è il nono tumore più frequente (oltre 26mila le diagnosi contate in Italia nel 2019) e che colpisce soprattutto gli uomini (quarto per diffusione dopo le neoplasie della prostata, del polmone e del colon-retto). Da qui la necessità di mettere a punto nuove strategie di cura. Sull'onda di quanto osservato in altri ambiti dell'oncologia, il mondo della ricerca ha iniziato a guardare con interesse all'immunoterapia per trattare le malattie oncologiche uroteliali. Questi tumori, che colpiscono la superficie interna delle vie urinarie, possono essere rilevati anche nell'uretra, nell'uretere e nella pelvi renale.
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CHEMIOTERAPIA E IMMUNOTERAPIA (INSIEME) FUNZIONANO MEGLIO
I primi risultati paiono incoraggianti. Le evidenze più solide emergono da uno studio di fase 3 (IMVigor30), pubblicato sulla rivista The Lancet. I ricercatori hanno valutato la risposta di oltre 1.200 pazienti con un tumore uroteliale localmente avanzato o metastatico a tre diversi protocolli di cura: la chemioterapia (gemcitabina e cisplatino o carboplatino), l'immunoterapia (con atezolimab) e la combinazione dei due approcci. Per la prima volta - a fronte di una buona tollerabilità - è stato dimostrato che l'integrazione dei due approcci può rallentare la progressione della malattia fino a otto mesi. «Questi dati dimostrano che le speranze per i pazienti con un tumore della vescica crescono utilizzando l'immunoterapia fin dalla prima linea di trattamento - afferma Ugo De Giorgi, responsabile della struttura di oncologia genitourinaria dell'Irccs Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) di Meldola -. Un'opzione di questo tipo potrebbe diventare disponibile sia per i pazienti con una malattia già avanzata alla diagnosi sia per coloro che affronteranno una ricaduta a seguito dell'asportazione radicale del tumore». Scenario tutt'altro che raro, nel caso del tumore della vescica: con recidive possibili sia in loco sia a distanza (linfonodi, polmoni, fegato e ossa).
MEGLIO FARE PRIMA LA CHEMIOTERAPIA?
Lo studio IMVigor30 (atezolizumab più chemioterapia) non ha evidenziato, per il momento, un aumento della della sopravvivenza globale. Un aspetto che invece è emerso da un'altra ricerca analoga condotta con un altro immunoterapico (avelumab), presentata durante la sessione plenaria del meeting ASCO. Oltre all'utilizzo di un farmaco diverso, i ricercatori hanno deciso di impiegarlo come terapia di mantenimento, dopo la chemio. I pazienti sottoposti a questo schema hanno vissuto mediamente sette mesi in più (21) rispetto a coloro che invece avevano seguito una terapia standard (14). Come spiegare questo risultato? Secondo De Giorgi, «la sola chemioterapia, inizialmente, potrebbe permetterci di selezionare i pazienti che meglio risponderanno al mantenimento con l'immunoterapia». Un aspetto cruciale da chiarire, al pari di un altro. Come si verifica nel caso del melanoma e del tumore del polmone, a essere trattati con l'immunoterapia saranno soltanto coloro che esprimono sulle cellule tumorali le proteine PD-1 e PD-L1 (un freno alla risposta immunitaria contro la malattia)? In questi casi, il vantaggio terapeutico è molto più probabile. «Ma il nostro studio ha evidenziato che in realtà l'immunoterapia, in combinazione o come mantenimento dopo la chemioterapia, garantisce un'opportunità a tutti i pazienti con una neoplasia dell'urotelio», precisa lo specialista, coautore della ricerca pubblicata su The Lancet.
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LA RICERCA VA AVANTI
I risultati fin qui descritti si apprestano a modificare la gestione dei pazienti alle prese con un tumore della vescica. In questi casi, in Italia, finora l'immunoterapia è stata impiegata come trattamento di seconda linea. Un'opportunità garantita soltanto nell'ultimo anno agli oncologi e comunque esclusivamente al cospetto di pazienti già segnati dal fallimento della chemioterapia. L'auspicio è che l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), partendo da questi risultati, ne valuti l'utilizzo a partire dalla prima linea di trattamento. Nel frattempo, per i malati ci sarà la possibilità di ricevere il farmaco all'interno degli studi clinici. Alcuni di questi, in corso nei principali istituti oncologici italiani, puntano anche a verificare l'efficacia dell'immunoterapia nei pazienti con un tumore della vescica operabile.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).