Scoperto il meccanismo che porta le cellule staminali della leucemia mieloide acuta a rendersi «invisibili» al sistema immunitario
Ha numeri contenuti, ma è di fatto il tumore del sangue maggiormente aggressivo. La leucemia mieloide acuta, quando si ripresenta dopo la chemioterapia, diviene ostica da curare. I protocolli prevedono un trattamento farmacologico di seconda linea o il trapianto di midollo osseo, che però non è sempre attuabile. Perché la malattia - la stessa che ha colpito l'allenatore del Bologna, Sinisa Mihajlovic - è più frequente nel corso della terza età. E perché, oltre i 65 anni, non sempre è possibile ricorrere all'infusione di cellule staminali emopoietiche. L'obiettivo verso cui tendere, pertanto, è la riduzione delle ricadute. Già, ma come? Un target «sensibile» sembra essere rappresentato proprio dalle staminali: in questo caso quelle della malattia, che talvolta si dimostrano in grado di evitare l'effetto dei farmaci.
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STAMINALI «INVISIBILI»
Il meccanismo di elusione ruoterebbe attorno alla disattivazione di «NKG2D-L», una proteina presente sulle cellule staminali tumorali a cui, normalmente, si legano gli elementi del sistema immunitario (linfociti T, macrofagi e cellule Natural Killer) chiamati a identificare e degradare le cellule maligne. Un processo che, al cospetto delle staminali, non giunge a compimento. Colpa di una proprietà specifica di queste cellule, descritta per la prima volta sulle colonne di Nature da un gruppo di ricercatori svizzeri e tedeschi. Dopo aver osservato in laboratorio le cellule leucemiche prelevate da 175 pazienti che avevano sviluppato una recidiva, gli studiosi hanno notato che dalla superficie mancava il bersaglio («NKG2D-L») a cui si legano le cellule deputate alla difesa del nostro organismo.
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COME SI «DIFENDE» IL TUMORE
Oltre al riscontro su cellule umane, l'ipotesi ha trovato conferma anche in un secondo step della ricerca. Dopo aver trasferito le cellule staminali leucemiche in un gruppo di topi, i ricercatori hanno osservato il medesimo fenomeno: il sistema immunitario era in grado di aggredire tutte le cellule malate, fuorché quelle in grado di differenziarsi in altri tipi. Il meccanismo della resistenza alla chemioterapia potrebbe dunque nascondersi in questa capacità che le staminali tumorali hanno di eludere le terapie. Cosa si nasconde dietro quello che i ricercatori definiscono uno «straordinario meccanismo di protezione» messo in atto dalle cellule malate? La risposta potrebbe giungere dalla capacità di incrementare la produzione di Parp1, una proteina coinvolta nei processi di riparazione del Dna e morte cellulare. Dai primi studi condotti in laboratorio, l'enzima giocherebbe un ruolo chiave nel bloccare «NKG2D-L»: rendendo le staminali invisibili ai farmaci.
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SPERANZE DAI PARP-INIBITORI?
L'approccio al cancro attraverso il sistema immunitario - che è valso il Premio Nobel per la Medicina a James Allison e Tasuku Honjo nel 2018 - rappresenta il presente della lotta ai tumori ed è l'ambito che lascia intravedere la possibilità di sviluppare nuove terapie in futuro. In questo filone si inserisce anche l'ultima scoperta. «Capire in che modo le cellule staminali del cancro evitano di soccombere al cospetto delle cellule deputate alla difesa delnostro organismo è il primo passo per rendere possibile una diversa offensiva», afferma Andreas Trumpp, a capo del gruppo di ricerca sulle cellule staminali e i tumori dell'Heidelberg Institute for Stem Cell Technology and Experimental Medicine. Se questa ipotesi fosse confermata, anche per la leucemia mieloide acuta potrebbero aprirsi le porte all'impiego dei Parp-inibitori: oggi utilizzati nel trattamento dei tumori dell'ovaio causati da una mutazione dei geni Brca 1 e 2. In esperimenti condotti su un modello animale, la somministrazione di questi farmaci ha portato le staminali a «riesporre» la proteina «NKG2D-L» sulla propria superficie. Il primo passo per renderle nuovamente attaccabili dalle cellule Natural Killer.
LA MALATTIA SI «NASCONDE» ANCHE DOPO IL TRAPIANTO
La scoperta giunge a pochi mesi di distanza da quella realizzata da un gruppo di ricercatori dell'ospedale San Raffaele, che ha invece svelato in che modo il tumore può «sopravvivere» anche al trapianto. Le cellule malate lo farebbero attraverso un'azione ancora più articolata, che contempla la «scomparsa» delle molecole HLA (a cui normalmente si legano i linfociti T) e l'aumentata espressione di alcuni immunosoppressori dalla superficie. «Comprendere quale meccanismo dà origine alla recidiva, ci permetterà di classificare meglio i pazienti e offrire loro un trattamento specifico», spiega Luca Vago, coordinatore dello studio a cui ha contribuito anche Giacomo Oliveira, col sostegno di Fondazione Umberto Veronesi. «L’obiettivo è sviluppare un approccio personalizzato alle recidive, che permetterà di migliorare gli esiti trovando un nuovo razionale per le terapie già disponibili».
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).