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Neuroscienze
Fabio Di Todaro
pubblicato il 22-02-2021

Covid-19: i pazienti psichiatrici «dimenticati» per la vaccinazione



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Soltanto 4 Stati europei (su 20) hanno scelto di vaccinare subito le persone con una malattia mentale. La schizofrenia aumenta la letalità di Covid-19

Covid-19: i pazienti psichiatrici «dimenticati» per la vaccinazione

In Europa, soltanto 4 nazioni su 20 hanno messo a punto una campagna vaccinale contro Covid-19 che prevede una priorità per le persone affette da una grave malattia psichiatrica (disturbo bipolare, schizofrenia, depressione maggiore ricorrente). Il richiamo giunge dalle colonne della rivista The Lancet Psychiatry: «Questi pazienti hanno un rischio più alto di ammalarsi e di morire, a causa della malattia da coronavirus», avvertono i ricercatori. Motivo per cui «andrebbero vaccinati quanto prima, al pari di quanto si sta facendo con i pazienti affetti da una malattia che li pone in una condizione di fragilità». Un appello condiviso, tra la comunità scientifica europea le associazioni di pazienti, che giunge proprio nei giorni in cui sta prendendo avvio la vaccinazione dei pazienti fragili.

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COVID-19: IL VACCINO PER I MALATI PSICHIATRICI NON È UNA PRIORITÀ

Partendo dall'assunto che l'Unione Europea ha indicato come una priorità l'immunizzazione dei pazienti fragili, lasciando però ai singoli Stati il compito di individuare quali categorie di ammalati vaccinare prima, i ricercatori hanno voluto verificare quanti Paesi abbiano inserito le persone affette da una malattia psichiatrica in cima all'elenco. Da qui la scoperta che soltanto quattro di questi hanno posto i malti psichiatrici sullo stesso piano - per esempio - dei diabetici, dei malati oncologici e di coloro che sono gravemente obesi o affetti da una malattia autoimmune. Si tratta dell'Olanda, della Germania, del Regno Unito e della Danimarca. La maggior parte delle nazioni ha previsto comunque di vaccinare prima le persone con meno di 65 anni ricoverate in una struttura. Tra questi Paesi non c'è però l'Italia, che assieme alla Norvegia e alla Romania compone il terzetto degli Stati che non hanno previsto alcuna priorità per questi ammalati. Questo lo scenario, almeno fino a oggi. Un triste primato, che conferma come «i pazienti psichiatrici siano stati ancora una volta trascurati nel corso della pandemia», per dirla con Marion Leboyer, a capo del laboratorio di neuropsichiatria traslazionale all'Università di Parigi-Est Créteil. «Siamo di fronte a una disuguaglianza intollerabile».


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IN ITALIA LIGURIA E VENETO UN PASSO AVANTI  

Nel nostro Paese le uniche eccezioni riguardano la Liguria e il Veneto che, sulla base di contagi registrati nel corso della prima ondata pandemica, hanno assegnato una priorità ai pazienti con gravi problemi di salute mentale residenti in istituzioni residenziali. Al momento sono soltanto loro, per una quota pari al 3.5 per cento del numero complessivo dei pazienti, le persone affette da una malattia mentale già vaccinate. Gli esperti ricordano però come - anche per evitare lo stigma che continuare ad accompagnare queste malattie - la maggior parte di loro viva in comunità. E, come tale, risulti esposta a un rischio di contagio analogo a quello del resto della popolazione. Considerando che nel 2017 oltre 800mila persone si sono rivolte ai servizi di salute mentale e che la pandemia ha contribuito a incrementare questi numeri, si capisce perché la comunità scientifica sia in pressing sull'Unione Europea affinché la salute mentale sia posta sullo stesso piano di quella fisica, nella definizione della campagna vaccinale. «In questo caso, l'età è un parametro che conta poco - afferma Francesco Benedetti, direttore dell’unità di ricerca in psichiatria e psicobiologia clinica dell’ospedale San Raffaele di Milano -. Stiamo parlando infatti di malattie a esordio molto precoce. In media, la schizofrenia compare poco dopo la maggiore età, mentre il disturbo bipolare e la depressione maggiore attorno ai 25 anni. E più queste condizioni sono precoci, più grave è il loro decorso». 

CON LA SCHIZOFRENIA AUMENTA LA LETALITÀ DI COVID-19

Mentre si è molto parlato delle conseguenze della Covid-19 per la mente, sul piano neurologico e psichiatrico, meno spazio è stato dato ai rischi che i pazienti psichiatrici corrono in caso di contagio. Secondo le conclusioni di uno studio pubblicato sulla rivista Jama Psychiatry, condotto analizzando gli esiti dell'infezione in un gruppo di adulti affetti da diverse malattie psichiatriche, nelle persone affette da schizofrenia la letalità di Covid-19 è più alta rispetto alla media. «Stiamo parlando di un fattore di rischio secondo soltanto all'età», aggiunge Leboyer. Non è ancora chiaro quali aspetti contribuiscano ad accrescere la gravità della malattia, in questi pazienti. L'ipotesi più accreditata chiama in causa l'infiammazione e la reazione immunitaria innescata dalla stessa schizofrenia o dai farmaci utilizzati. Ma come documentato già in diversi studi, in questi pazienti i tassi di obesità, ipertensione, diabete e malattie polmonari (tutte condizioni legate a un esito peggiore della Covid-19) sono più alti rispetto a quelli che si registrano nella popolazione generale. Senza trascurare che, pur superando la Covid-19, questi pazienti rischiano di vedere aggravata la condizione psichiatrica di partenza, dopo la malattia.


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CHIAMATA ATTIVA PER I PAZIENTI PIÙ FRAGILI

«Siamo di fronte a persone che meritano un'attenzione speciale - conclude Benedetti, tra gli autori dell'articolo pubblicato su The Lancet Psychiatry -. Questi pazienti, a fronte di qualsiasi condizione, faticano ad accedere ai trattamenti sanitari. Motivo per cui, oltre al rischio infettivo, occorre considerare le minori probabilità di intercettarli e curarli. Oltre a prevedere una priorità per la loro profilassi, occorrerebbe coinvolgere i medici di medicina generale e i centri psicosociali per una chiamata attiva. Soltanto così potremo dire di non aver lasciato indietro nessuno». 

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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