Giungono altre due «bocciature» per i cibi ultra-trasformati. Maggiori sono i consumi, più alto è il rischio di morte (in particolare per cause cardiovascolari)
L’elevato indice di gradimento fa sì che siano sempre più diffusi. I cibi industriali trasformati - che spesso contengono elevate quantità di sale, zuccheri aggiunti e grassi: a scapito di fibre e micronutrienti - fanno ormai parte anche della dieta italiana. Da qui l’interesse mostrato nei loro confronti dalla comunità scientifica. Quale conseguenza può determinare un loro consumo eccessivo sulla nostra salute? Certezze assolute non ce ne sono. Ma secondo due studi pubblicati sul British Medical Journal, la loro diffusione è in grado di determinare un aumento dei tassi di mortalità: in particolare dovuto a problematiche cardiovascolari.
COME QUEL CHE MANGIAMO
PUO' FARCI AMMALARE?
CIBI TRASFORMATI: I RISCHI PER LA SALUTE
Per l'ampiezza dei numeri e per il rigore con cui sono state condotte, le ricerche (prospettiche, non retrospettive) accendono una luce sinistra su questa categoria di alimenti. Il loro consumo, cresciuto in maniera significativa negli ultimi cinquant'anni, è considerato uno dei determinanti dell'aumento delle condizioni di sovrappeso e obesità. E, di conseguenza, delle malattie croniche correlate. I due studi in questione hanno un comune denominatore: quello che evidenzia un potenziale danno per la salute che cresce all'aumentare dei consumi di cibi pronti e di bevande zuccherate. Uno, condotto in Spagna, ha evidenziato un significativo incremento del rischio di mortalità per consumi pari o superiori a quattro porzioni al giorno. L'altro, portato avanti in Francia, ha prodotto conclusioni ancora più specifiche. Dopo aver osservato per quasi vent'anni le abitudini di oltre 105mila persone, un maggiore consumo di alimenti ultra-elaborati è stato associato a una probabilità più alta di rimanere vittima di un evento acuto di natura vascolare, a carico del cuore o del cervello. C'è un dettaglio interessante che si evince osservando le caratteristiche dei due gruppi, all'avvio degli studi: i tassi più bassi di diabete, ipertensione e dislipidemie rilevati tra coloro che sono poi risultati più avvezzi a portare a tavola piatti ultra-trasformati. Segno che chi si considera sano, tende agli eccessi più di frequente. Non è detto, però, che lo sia. E se anche fosse così, in questo modo dissipa l'eventuale «vantaggio» accumulato in partenza.
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CIBI TRASFORMATI E ULTRA-TRASFORMATI
La classificazione utilizzata nei due studi è la «Nova», che prevede la suddivisione degli alimenti in base ai «processi fisici, chimici e biologici che interessano gli alimenti una volta separati dalla natura e prima di essere consumati o utilizzati nella preparazione di piatti». Ne conseguono quattro categorie: gli alimenti non trasformati (frutta, frutta secca, semi, verdura, cereali e farine derivate, legumi, tuberi, carne, pesce, frutti di mare, uova, spezie, té, caffè, yogurt e succhi senza zuccheri aggiunti), gli ingredienti culinari (sale, zucchero, miele, oli vegetali, burro, aceto), gli alimenti trasformati (conserve di verdure e legumi, noci e semi salati o zuccherati, carni lavorate, pesce in scatola, frutta sciroppata, formaggi, pane e patate fritte), gli alimenti e le bevande ultra-trasformati (che prevedono anche l'aggiunta di additivi con funzione stabilizzante e conservante). La diffusione di questi ultimi - resi attraenti anche attraverso le confezioni: spesso colorate e accompagnate da «claim» salutistici - è cresciuta con la necessità di avere prodotti pronti da mangiare, da bere o riscaldare. Oltre che altamente competitivi sul piano economico.
IL «PESO» DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE
Lo studio non dimostra che gli alimenti ultra-trasformati sono causa di malattie. Né che i consumatori di cibi spazzatura più accaniti siano più malati. I risultati pongono però in primo piano un rischio per la salute pubblica di entità rilevante, per due ragioni: la portata delle malattie cardiovascolari (prima causa di morte al mondo) e l'impatto che la dieta ha su di esse (se di scarsa qualità, tra i fattori di rischio più rilevanti). In che modo un'alimentazione di peggiore qualità può rappresentare un'insidia per il cuore? «Non si tratta di identificare un'unica causa, è molto più probabile che questi consumatori assommino diversi fattori di rischio per la salute cardiovascolare», dichiara Pasquale Strazzullo, responsabile del centro ipertensione del Policlinico universitario della Federico II di Napoli. Questi, nel dettaglio: l'aumento di peso, l'elevata pressione sanguigna, le concentrazioni oltre soglia di colesterolo e di zuccheri nel sangue e l'accumulo di additivi alimentari. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la loro sommatoria - abbinata a un ridotto apporto di fibre, altra costante di questi consumatori - concorra ad accrescere il rischio cardiovascolare.
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LA SITUAZIONE ITALIANA
Sebbene la qualità di questi prodotti sia considerata scadente, i loro consumi sono in crescita in tutto il mondo. In Brasile, gli alimenti ultra-trasformati rappresentano mediamente la fonte di oltre il 50 per cento dell'introito calorico quotidiano. Nei Paesi anglosassoni, si raggiungono anche quote più alte (70-80 per cento). Stime analoghe relative all'Italia non ce ne sono. «È un dato di fatto, però, che il nostro modo di mangiare non è più quello di quarant'anni fa», conferma Strazzullo. Si intravede qualche timido miglioramento, ma «nulla che permetta di rivendicare con orgoglio la nostra dieta, se poi nei fatti molti di noi agiscono diversamente». Perché, nonostante il primato della dieta mediterranea venga rivendicato in ogni occasione utile, facciamo fatica a tradurre la teoria in pratica? «La crisi economica ha fatto peggiorare i nostri consumi, ma quello di cui si parla poco è l'ampio divario che esiste tra le diverse aree del Paese - è il pensiero dell'internista, presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana -. In molti contesti manca l'educazione alimentare o non si sa come dare seguito alle indicazioni che ripetiamo da anni. Tante famiglie andrebbero aiutate nel momento in cui fanno la spesa. Più che puntando il dito su singoli alimenti o tassando l'intera gamma dei cibi ultra-trasformati, sarebbe utile incentivare economicamente l'acquisto di alimenti di origine vegetale».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).