A gennaio scorso, Vincenzo (8 anni) scoprì di avere un tumore cerebrale. Parla la mamma: «Mio figlio è salvo anche grazie alla ricerca: ecco perché sostenerla»
Vincenzo, 9 anni da compiere il prossimo 10 marzo, è un bambino che fino all’inverno scorso aveva dato (e ricevuto) soltanto gioie. «Se ripenso al tempo trascorso dal 2012 fino a pochi mesi fa, in mente ho soltanto la vita», racconta la mamma Graziana, operatrice in un call center di Molfetta: Comune del barese stretto tra la Murgia e l’Adriatico. «La gravidanza fu ottima. Non ebbi nessun problema con l’allattamento, portato avanti fino al primo anno di vita. Nel frattempo, a partire dai sei mesi, avevo iniziato ad andare in piscina con mio figlio. Non immaginavo, però, che il nuoto sarebbe diventato il suo sport, quello di cui oggi non riesce a fare a meno». Avanti così, senza preoccupazioni: nemmeno una volta iniziata la scuola. Vincenzo oggi frequenta la terza elementare ed è «un bambino molto esuberante», aggiunge il papà Michele, operaio, di rientro dall’ennesima dura giornata di lavoro. Così, almeno, è stato fino a novembre dello scorso anno. Oltre che per le temperature, l’autunno e l’inverno scorsi di questa famiglia sono stati caldi anche per un’altra ragione. Colpa di un astrocitoma pilocitico (tumore cerebrale) che, all’improvviso, ha fatto capolino nella testa di Vincenzo.
Tumori nei bambini: tutti i successi della ricerca in oncologia pediatrica
IL LUNGO «PEREGRINARE» VERSO UNA DIAGNOSI
Come spesso accade, il cancro si è presentato nella vita di questo bambino all’improvviso, con sembianze inizialmente difficili da riconoscere. Il racconto dei genitori al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi è dettagliato. «È passato un anno, ma i ricordi sono indelebili - riavvolge la memoria Graziana -. All’inizio di novembre, Vincenzo iniziò a svegliarsi con dei conati dovuti a un’eccessiva salivazione. Per alcune settimane, questi episodi si verificarono soltanto al mattino. Poi, poco alla volta, anche nel cuore della notte». Di fronte a un segno così poco specifico, l’unica possibilità era quella di rivolgersi alla pediatra. Partì così la lunga trafila degli esami: su sangue, urine e feci. Su indicazione della specialista, furono valutate la salute della tiroide e le possibili diagnosi di celiachia e intolleranza al lattosio. Tutte le indagini diedero esito negativo. L’ultimo a finire sul banco degli imputati fu l’«Erp», l’espansore rapido del palato con cui Vincenzo «conviveva» da pochi mesi. Nessuno dei camici bianchi interpellati, però, era in grado di dare a mamma Graziana e a papà Michele una risposta certa. Nel frattempo, il malessere del bambino aumentava. «Ci furono giorni in cui Vincenzo non voleva svegliarsi per la paura di vomitare», ricorda la mamma, la cui preoccupazione cresceva di pari passo alla comparsa di altri campanelli d’allarme: dal dolore al collo alla ormai quotidiana debolezza. A quel punto, come raccontano gli specialisti dell’unità operativa di oncoematologia pediatrica del Policlinico di Bari che hanno in cura Vincenzo, «c’erano già gli indizi per sospettare una diagnosi oncologica». Ma per quanto Graziana e Michele fossero impegnati a cercare le cause del malessere del proprio bambino, nessuno li orientò in questa direzione. «Ci fu detto soltanto di fare due visite: una gastroenterologica e l’altra neuropsichiatrica». Invito di fronte al quale i genitori - con il Natale ormai alle porte - decisero di soprassedere.
PERCHÈ È IMPORTANTE CURARSI
DOVE SI FA ANCHE RICERCA?
LA SVOLTA A SCUOLA (IL 9 GENNAIO)
Ma quelle dello scorso anno furono vacanze tutt’altro che serene per la famiglia. I sintomi di Vincenzo erano sempre più difficili da contenere. «La sera del 24 scartò tutti i regali, senza però riuscire a giocarci: il dolore al collo era costante e sempre più intenso», ricorda Graziana. Da quel momento in avanti la malattia, da latente, divenne manifesta. Il 9 gennaio, la goccia che fece traboccare il vaso. Graziana era al lavoro, quando squillò il suo cellulare. All'altro capo del telefono, la maestra di Vincenzo: «Signora, venga per favore a prendere suo figlio: ha appena vomitato in classe», furono le parole da cui la mamma iniziò a capire che la situazione fosse probabilmente giunta a un punto di non ritorno. A casa, nelle ore successive, fu continua la ricerca della possibile causa del malessere del bambino. «Passai ore davanti al pc», ricorda la donna, con un pizzico di commozione. Le preoccupazioni aumentarono «quando lessi che il vomito mattutino può essere associato a una meningite o a un tumore cerebrale».
Tumori cerebrali: nuova «assoluzione» per i cellulari
DOPO IL NATALE LA SCOPERTA DEL TUMORE CEREBRALE
Da lì, dopo una notte insonne, la decisione di non perdere altro tempo e di rivolgersi al pronto soccorso dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII del capoluogo pugliese. A Vincenzo fu prima chiesto di camminare lungo una linea retta. Poi, alla luce dell’esito del test, fu sottoposto a una Tac cerebrale. «Con le lacrime agli occhi, il radiologo mi disse che c’era una massa nella testa di mio figlio». Fu un attimo di (fisiologico) cedimento, che precedette l’avvio della macchina organizzativa. In poche ore Vincenzo venne ricoverato in oncoematologia pediatrica, dove il giorno dopo lo raggiunse Francesco Signorelli: il primario della neurochirurgia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Bari. «Un Angelo con il camice», lo ricordano mamma Graziana e papà Michele. «Venne in reparto il sabato sera, in borghese. All'inizio non capimmo nemmeno chi fosse. Poi si presentò. Ci trovò confusi, l’impatto con la sofferenza che si percepiva in un reparto pieno di bambini malati di cancro non era stato una passeggiata. Dopo aver parlato con lui, però, ogni dubbio svanì. Decidemmo di affidargli Vincenzo: era già tutto pronto per operarlo il lunedì mattina».
CHE COS’È UN ASTROCITOMA?
Signorelli fu chiaro con i genitori: l’intervento sarebbe stato lungo, oltre che utile a chiarire con certezza la diagnosi. Anche Vincenzo venne informato a dovere: «Hai una bollicina nella testa - sono le parole che lo specialista usò per entrare in confidenza con il suo piccolo paziente -. Ti addormenteremo e te la toglierò, così tornerà tutto come prima». Dopo dieci ore di sala operatoria, Vincenzo fu trasferito in reparto. Le prime parole, pochi istanti dopo essersi il risveglio. «Finalmente un sospiro di sollievo, dopo due mesi - prosegue nel racconto Graziana -. Dentro di noi temevamo la ripresa dall’anestesia». Tempo 48 ore e in reparto tutti - pazienti e addetti ai lavori - avevano già visto questo vispo bambino con i capelli ricci e gli occhi castani andare avanti e indietro lungo il corridoio. Dopo pochi giorni, giunse il responso dell’esame istologico: astrocitoma pilocitico a basso grado di malignità. Si tratta di un sottotipo di glioma che colpisce gli astrociti: le più abbondanti tra le cellule della glia, che fungono da supporto (fisico ed energetico) ai neuroni.
Tumori pediatrici: l'importanza di curarli in centri con esperienza
IL RITORNO A SCUOLA
La ridotta aggressività della malattia ha permesso a Vincenzo di evitare chemioterapia e radioterapia. Così, nemmeno un mese dopo l’intervento, era già a scuola. Senza particolari disagi, perché la collaborazione delle maestre e dei compagni di classe nelle settimane precedenti era stata massima. «Lo hanno accolto con una festa, è stato bellissimo». Nessuno immaginava che, da lì a due settimane, i cancelli della scuola si sarebbero chiusi per oltre sei mesi. «Per fortuna, durante il lockdown, non abbiamo dovuto frequentare gli ospedali - dichiara papà Michele -. Ma per Vincenzo è stato comunque un periodo duro. Ci avevano detto che anche l’influenza sarebbe stata un’insidia, nel suo caso. E, considerando la fragilità degli anziani, è stato tre mesi senza vedere i nonni».
Tumori pediatrici: come tutelare la salute di chi è guarito
LA SPERANZA VIENE DALLA RICERCA
Il peggio, adesso, è alle spalle. Mamma Graziana ammette che «questa esperienza devo ancora digerirla del tutto». Ma l’incidente di percorso ha rappresentato anche un’occasione di crescita. «Le emozioni provate nel reparto di oncoematologia pediatrica non andranno più via. Abbiamo visto tanto dolore, ma anche molta speranza. E soprattutto conosciuto persone che, senza alcun interesse, si dedicano a questi bambini meno fortunati». Le fa eco il marito, Michele: «Spesso si è portati a pensare che alcuni problemi non faranno mai parte della nostra vita, ma purtroppo non è così. E quando la tempesta arriva, non c’è nemmeno il tempo per prepararsi. Prendendo coscienza di questi temi, abbiamo scoperto che grazie alla ricerca sono stati fatti tanti passi in avanti». Conclude Graziana: «Bisogna parlarne di più e raccontare le storie delle famiglie che affrontano un percorso di questo tipo. Non tutti i bambini, purtroppo, superano queste malattie. Per fare in modo che siano sempre di più, occorre informarsi di più ed essere parte attiva nel sostenere il lavoro di chi, tutti i giorni, si adopera per trovare una risposta alle malattie che colpiscono i nostri figli».
Aiutaci a far progredire la ricerca sui tumori cerebrali: dona ora.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).