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Emanuela Pasi
pubblicato il 23-12-2024

Glioma diffuso: nuovi farmaci per colpire le cellule staminali tumorali



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Sviluppare terapie innovative contro il glioma diffuso pediatrico, concentrandosi sulle cellule staminali tumorali e sul potenziale anti-invasivo di nuovi farmaci. La ricercatrice Giulia Pericoli illustra il suo progetto

Glioma diffuso: nuovi farmaci per colpire le cellule staminali tumorali

Il glioma diffuso H3G34-mutato (DHG) è un tumore pediatrico del sistema nervoso centrale per il quale non esiste ancora una terapia efficace. Questo tumore è molto invasivo e i meccanismi che ne regolano la diffusione nel cervello sono ancora poco conosciuti. Studi passati hanno messo in evidenza la presenza di cellule staminali tumorali - ovvero in grado di replicarsi indefinitamente, mantenendo cellule tumorali attive - che sono associate ad un comportamento altamente invasivo e, quindi, responsabile della disseminazione tumorale.

Colpire queste cellule staminali, studiando particolari farmaci con potenziale anti-invasivo, potrebbe essere utile per contrastare l’aggressività del tumore. È questo l’obiettivo del progetto della ricercatrice Giulia Pericoli, che lavora presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nell’area di ricerca in Oncoematologia e Officina Farmaceutica, diretta dal Professor Locatelli. Nell’anno 2024-2025 sarà sostenuta da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito dei tumori pediatrici.

Giulia, cosa vi ha spinto a iniziare questo progetto?

«Questi tumori sono altamente aggressivi e caratterizzati da un’elevata invasività e diffusione nel cervello, ma purtroppo ancora si hanno poche informazioni sui meccanismi che regolano questo comportamento.  Inoltre, non esistono ancora terapie efficaci.  Il desiderio alla base della nostra ricerca è far luce sui meccanismi che regalano la capacità invasiva di questi tumori e portare in futuro all’identificazione di nuove terapie».

Come prevedete di sviluppare il progetto durante quest’anno?

«L’idea del mio progetto è sviluppare una nuova strategia terapeutica in grado di inibire la disseminazione tumorale. Grazie ad uno screening farmacologico eseguito recentemente, sono state identificate varie classi di composti in grado di ridurre l'espressione dei fattori staminali e di aumentare quelli di differenziamento nei gliomi diffusi. Eseguiremo, quindi, vari esperimenti per valutare il potenziale anti-invasivo e di induzione del differenziamento cellulare dei composti identificati dallo screening farmacologico. Inoltre, valuterò anche la capacità di questi composti di attraversare la barriera ematoencefalica, che potrebbe impedire alla terapia farmacologica di raggiungere adeguatamente tumore».

Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e le eventuali possibili applicazioni alla salute umana?

«I risultati ottenuti con questo progetto aiuteranno a fare luce sui meccanismi di invasione dei tumori DHG e potrebbero portare all’identificazione di nuove terapie. In particolare, i composti che dimostreranno avere la capacità di inibire l’invasività di questi tumori e di attraversare la barriera ematoencefalica, in un futuro, potrebbero essere testati in studi preclinici in combinazione con i trattamenti standard, con un potenziale impatto traslazionale sui pazienti».

C’è stato un momento in cui hai capito che la ricerca era il tuo percorso?

«La scienza mi ha sempre affascinato, fin da piccola. Scienze era la mia materia preferita e, essendo molto curiosa, capire e conoscere il perché delle cose mi ha sempre affascinato. In particolare, la biologia e lo studio del corpo umano sono sempre stati una mia grande passione. In particolare, durante il tirocinio per lo svolgimento della tesi, ho avuto la conferma che la ricerca fosse la mia strada. Era la prima vera esperienza in un laboratorio di ricerca e ne sono rimasta affascinata. Il percorso di dottorato poi, ha solo confermato questa mia grande passione».

Puoi condividere un momento della tua carriera che ricordi con orgoglio e uno che preferiresti dimenticare?

«Vorrei incorniciare la pubblicazione del mio articolo scientifico riguardante il mio progetto di dottorato dopo sei anni di duro lavoro. Sicuramente momenti da dimenticare sono tutti quelli riguardanti esperimenti che non vanno come dovrebbero e come vorrei».

Cosa pensi della ricerca in generale?

«Per me è scoperta, dedizione, futuro e speranza. Mi piace la possibilità di verificare se un’ipotesi si dimostra vera o meno. Per cercare di verificare le nostre idee c’è tanto studio, lavoro e impegno, ma quando le nostre ipotesi si rivelano esatte la soddisfazione e la felicità sono grandi. Invece, farei a meno della precarietà e la continua ricerca di finanziamenti per sostenere il nostro lavoro».

Come descrivi il tuo lavoro quando qualcuno te lo chiede?

«Rispondo sempre “la ricercatrice” anche se poi spiegare alle persone non del “settore” cosa faccio nella pratica non è mai semplicissimo. Amo la scienza e se non avessi fatto la ricercatrice probabilmente avrei fatto il medico».

Secondo te, cosa potrebbe migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«Sicuramente servirebbe un aiuto maggiore da parte dello stato e delle figure governative, le quali dovrebbero investire di più e mettere a disposizione finanziamenti adeguati con il fine di una maggiore stabilità lavorativa per noi ricercatori».

Come percepisci la relazione tra scienza e società?

«Non credo ci sia un sentimento antiscientifico in Italia, ma penso ci sia poca conoscenza del nostro lavoro data dalla lontananza tra il mondo della ricerca e la popolazione. Sicuramente negli ultimi anni, grazie anche alla pandemia, è cambiata la percezione della ricerca, della figura del ricercatore e del progresso scientifico da parte delle persone, ma ancora c’è molto lavoro da fare».

Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

«La ricerca scientifica è l’unica strada per il progresso e per un futuro migliore. Grazie alla ricerca abbiamo ottenuto risultati straordinari, impensabili anche solo pochi anni fa, consentendo un miglioramento della qualità della vita e dando la speranza di una cura per malattie purtroppo ancora incurabili».

Che messaggio vorresti rivolgere a chi sceglie di sostenere la ricerca con una donazione?

«Donare è un grande atto di altruismo, che ci permette di portare avanti le nostre ricerche. Grazie per il sostegno: sentire che credete nel nostro impegno quotidiano ci spinge a fare del nostro meglio».


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