È il dato che emerge da uno studio su oltre trentamila pazienti colpiti da tumore al polmone non a piccole cellule, la forma più frequente che tocca anche i non fumatori. Buone risposte dall’immunoterapia
Nella lotta al tumore del polmone, la chirurgia si conferma la soluzione più efficace - rispetto alla chemioterapia e alla radioterapia - nel determinare i migliori tassi di sopravvivenza.
È questa l’evidenza che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista The Annals of Thoracic Surgery, in cui è stata valutata la risposta ai diversi approcci terapeutici in uso contro il primo tumore al mondo per mortalità: 1,4 milioni i decessi a esso attribuibili ogni anno (è la prima causa di morte tra le donne europee).
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I VANTAGGI DELLA CHIRURGIA
Nonostante l’avvento di nuove terapie, l’opzione chirurgica si conferma dunque la più efficace nella gestione dei pazienti colpiti da un tumore del polmone non a piccole cellule, quello più frequente e in grado di colpire anche i non fumatori.
La conferma giunge da una ricerca condotta in maniera retrospettiva su oltre trentaquattromila pazienti, selezionati dal registro tumori della California.
Tutti erano pazienti con un tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata: stadio 3A, 3B o 4 (livelli a cui corrisponde quasi l’ottanta per cento delle diagnosi).
Lo studio ha evidenziato come, a parità di condizioni di partenza, il decorso della malattia non sia sempre uguale.
A fare la differenza, secondo gli autori, il trattamento adottato. I ricercatori dell’Università di Davis hanno notato come i pazienti che avevano ricevuto un intervento chirurgico presentavano tassi di sopravvivenza migliori rispetto ai coetanei non operati.
Ma l’indagine ha anche svelato un altro aspetto: più di un paziente su quattro (27 per cento) non era stato sottoposto ad alcuna terapia. A giustificare questo dato potrebbe essere stato il rifiuto del trattamento da parte dei pazienti, convinti che il guadagno di salute non fosse sufficiente a giustificare la portata degli effetti collaterali.
Da non escludere nemmeno le loro condizioni socioeconomiche e la distanza dai principali centri oncologici: fattori che condizionano l’aderenza alle terapie.
CON QUALI ESAMI SI VALUTA
LA SALUTE DEI POLMONI?
COME TRATTARE IL TUMORE DEL POLMONE?
Per comprendere il rapporto tra la chirurgia e la sopravvivenza, i ricercatori hanno preso in considerazione i dati anagrafici del paziente, le informazioni relative alla malattia e i trattamenti adottati.
È così emerso che chi era stato sottoposto a un intervento chirurgico, seguito dalla chemioterapia, era rimasto in vita, mediamente, per 40,7 mesi. Prospettive minori sono state garantite ai pazienti trattati con la radioterapia (33,3), soltanto con la chirurgia (28,8) o con la chirurgia abbinata alla radioterapia (18,6).
Ancora inferiori i risultati per chi ha escluso l’opzione chirurgica, ricorrendo a radio e chemioterapia, da sole o abbinate fra loro.. Da qui la conclusione dei ricercatori: l’opzione chirurgica rappresenta la prima scelta contro il tumore del polmone non a piccole cellule.
IL COMMENTO
L’opinione trova d’accordo Guglielmo Monaco, primario dell’unità di chirurgia toracica dell’ospedale Cardarelli di Napoli e presidente della Società Italiana di Chirurgia Toracica. «Di fronte a una diagnosi di tumore del polmone non a piccole cellule l'intervento chirurgico rappresenta la terapia di scelta. Questo può essere escluso se la malattia ha già colpito i linfonodi, generato metastasi a distanza o nei casi in cui il paziente mostri una funzionalità cardiorespiratoria scarsa. In simili situazioni si utilizzano la chemio e la radioterapia, che possono trovare impiego anche prima di un intervento, a scopo neoadiuvante».
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LE SPERANZE RIPOSTE NELL’IMMUNOTERAPIA
Come documentato dallo studio, nella malattia al terzo stadio la chirurgia rappresenta la migliore opzione terapeutica.
Diverso è il discorso per i pazienti con malattia al quarto stadio, in cui «l’intervento viene eseguito con una funzione palliativa o nei casi di sepsi non controllabile con i farmaci», prosegue Monaco. In simili condizioni si predilige la chemioterapia, al fine di migliorare la durata e la qualità della vita, con risultati ancora poco confortanti, però.
Ecco spiegato perché la comunità scientifica guarda con interesse all’avvento dell’immunoterapia, oggi utilizzata anche nel percorso di cura del tumore del polmone, oltre che nel melanoma.
Secondo Michele Maio, direttore dell’unità di immunoterapia oncologica del policlinico Santa Maria Le Scotte di Siena, «la sua introduzione ha cambiato lo scenario: grazie al nivolumab un paziente su cinque è vivo a tre anni dalla diagnosi e l’approccio è efficace anche nei grandi fumatori e negli ex tabagisti. Con la chemioterapia, in questi casi, la sopravvivenza in media non supera i dieci mesi».
Il nuovo farmaco, che provoca una risposta diretta del sistema immunitario contro le cellule tumorali, è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale da marzo e a disposizione di tutti i pazienti affetti da un tumore del polmone non a piccole cellule squamoso in fase avanzata, non operabili ma già sottoposti a chemioterapia.
In Italia, il cancro del polmone è il terzo più diffuso: quarantunomila le diagnosi effettuate nel 2014, trentaquattromila i decessi. Nell’85 per cento dei casi, la causa è da ricondurre al fumo di sigaretta, che accresce il rischio di ammalarsi fino a 14 volte.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).