Valentina è incinta quando riceve una diagnosi di neuropatia disimmune. Dopo mesi in ospedale torna a camminare, guidare e prendersi cura dei suoi figli grazie alle immunoglobuline, farmaci plasmaderivati iniettati sottocute mensilmente
Valentina, 33enne sana e attiva, già mamma della piccola Sara, è al sesto mese di gravidanza quando, la mattina del 6 luglio del 2011, si sveglia con dolori fortissimi alla schiena. Nel giro di due giorni la situazione precipita: inizia a farsi la pipì addosso, cade continuamente mentre cammina, perde conoscenza e finisce in terapia intensiva, in coma farmacologico.
L'ESORDIO
«Quando mi sveglio sono intubata e paralizzata», ricorda Valentina. «L’unica cosa che muovo sono gli occhi, ma nonostante ciò, sono tremendamente cosciente. I medici mi comunicano la diagnosi: si tratta della Sindrome di Guillain-Barrè, la più frequente forma di polineuropatia acquisita dovuta a una lesione rapidamente progressiva del nervo. Il più delle volte è dovuta a una demielinizzazione, ovvero perdita delle guaine mieliniche che rivestono le fibre nervose. La mia condizione è grave, ma reversibile. Il 26 luglio i medici fanno nascere mio figlio Matteo, a sei mesi e mezzo di gestazione».
IL LENTO RECUPERO
«Dopo tre mesi in rianimazione inizia il mio lento recupero. Ho dovuto reimparare a fare tutto: respirare, inghiottire, mangiare. Dopo cinque mesi un dito che si alza è il primo cenno di miglioramento e, finalmente, dopo sette mesi in ospedale, posso tornare dai miei figli Sara e Matteo, che conosco davvero per la prima volta. Nonostante me lo portassero in ospedale, infatti, a malapena riuscivo a dargli un bacio: è come se lo avessi adottato a dieci mesi. Nel frattempo la mia patologia evolve. Dalla Guillain-Barrè di solito si recupera totalmente, mentre a me è rimasto un deficit alle parti distali degli arti superiori e inferiori. Sostanzialmente mi manca la forza nelle mani e nei piedi. I medici mi comunicano un nome per questa condizione: si parla di polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica, detta CIDP. È una malattia rara dei nervi periferici caratterizzata da una graduale e progressiva perdita di forza muscolare e/o alterazioni della sensibilità a livello di braccia e gambe. Una terapia, fortunatamente, c’è. Si tratta delle immunoglobuline, farmaci plasmaderivati che ogni mese inietto sottocute in ospedale e che aiutano a tenere sotto controllo i sintomi».
L'IMPORTANZA DELLE DONAZIONI
«Per questo motivo devo dire grazie a chi dona il plasma che per me significa poter camminare, anche se con passo steppante e aiutata dai tutori, potermi occupare dei miei figli, poter andare al lavoro da sola, guidare e condurre una vita dignitosa e normale grazie proprio alle donazioni di altruisti sconosciuti. Donare non costa nulla, ma fa davvero la differenza per me e per tutte le persone come me. Spesso si pensa alla donazione di sangue unicamente come alla sacca necessaria in caso di incidente o di emergenza, come si vede nei film. Certo, anche questo è importantissimo, come ho potuto sperimentare io stessa a causa di un’emorragia avuta durante la mia degenza in ospedale. Lo ricordo benissimo: quando è arrivata la sacca è stata proprio un'emozione, come se mi fosse stata donata nuovamente la vita. Tuttavia anche il plasma è fondamentale per creare cure, e non solo per la CIDP, ma anche per molte altre patologie. Le immunoglobuline, insieme alla cura della mia famiglia , sono la mia grande terapia».
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile