Un patogeno su tre non risponde più agli antibiotici. Interventi al colon, chemioterapie e parti cesarei le procedure più esposte alle infezioni postoperatorie
Inefficaci nel trattamento delle infezioni e nella profilassi chirurgica. Gli antibiotici appaiono sempre più «spuntati» incapaci di far fronte ai patogeni più pericolosi per l'uomo. L'ultima conferma giunge da un lavoro pubblicato su The Lancet Infectious Diseases: la metà (almeno) di tutti i batteri che provocano infezioni dopo un intervento chirurgico sono resistenti agli antibiotici. Un dato che si traduce in un rischio più alto di complicanze anche molto gravi per i pazienti che si sottopongono alle più frequenti operazioni e alla chemioterapia.
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COSA ACCADE AGLI ANTIBIOTICI?
La resistenza agli antibiotici è da tempo motivo d'allarme, come messo nero su bianco un anno fa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. A preoccupare è la capacità sviluppata da alcuni patogeni di "dribblare" l'effetto degli antibiotici, portando infezioni comuni curate ormai da anni - tra cui quelle provocate da escherichia coli, dallo stafilococco aureo e da klebsiella pneumoniae - a riscoprirsi finanche letali nei casi in cui è stata sviluppata una resistenza ai battericidi più utilizzati. Come mai questi patogeni hanno acquisito nel tempo questa «abilità»? Le responsabilità sono diffuse: dall'eccessivo impiego degli antibiotici che per anni s'è registrato nei campi e negli allevamenti a un utilizzo inappropriato da parte della classe medica e della popolazione generale (autoprescrizione). Come riportato anche dall'Agenzia Italiana del Farmaco, l'Italia è tra i principali consumatori europei di antibiotici. Non c'è da stupirsi, dunque, che nel Vecchio Continente venticinquemila morti ogni anno siano correlabili all'inefficacia di molti degli antibiotici disponibili.
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PROFILASSI PER LA CHIRURGIA
Il problema, però, non riguarda soltanto chi ricorre ai farmaci perché vittima di un'infezione, ma anche tutte le persone che si sottopongono a una procedura chirurgica. Prima di entrare in sala operatoria, infatti, spesso i pazienti ricevono una profilassi antibiotica mirata a prevenire l'insorgenza di un'infezione nel sito chirurgico. Si tratta di una procedura standardizzata da ormai quarant'anni. L’uso dell’antibiotico, in questo caso, «rappresenta un presidio aggiuntivo usato in un momento critico, finalizzato a ridurre la carica microbica contaminante il campo operatorio a livelli che non possano sopraffare le difese dell’ospite», si legge nelle Linee guida per la profilassi antibiotica in chirurgia, da cui si evince pure in quali casi è necessario anteporre un trattamento antibiotico: negli interventi di chirurgia cardiotoracica, del tratto gastrointestinale, della testa e del collo, ostetrica e ginecologica, di neurochirurgia, chirurgia urologica e vascolare. Ma la diffusione del fenomeno della resistenza può provocare conseguenze anche nelle strutture ospedaliere. Se la metà dei batteri che causano infezioni dopo un intervento sono resistenti agli antibiotici, il numero di infezioni postoperatorie e di morti per le complicanze di una procedura chirurgica è destinato ad aumentare.
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A RISCHIO INFEZIONE IL 5% DEGLI INTERVENTI
La problematica era già stata affrontata in Italia nel 2008, con un lavoro pubblicato su BMC Infectious Diseases. Dallo studio prospettico di 4.665 interventi effettuati in 48 reparti sparsi lungo la Penisola, è emerso che le infezioni chirurgiche accompagnano poco più del cinque per cento degli interventi. Più a fondo è andato nel 2011 lo European Centre for Disease Control and Prevention, studiando le infezioni chirurgiche a livello europeo riscontrate a seguito di alcuni interventi (bypass aorto-coronarico, colecistectomia, chirurgia del colon, taglio cesareo, protesi dell’anca o del ginocchio e laminectomia). Risultato: la procedura più a rischio in Italia è la chirurgia del colon, accompagnata da un'infezione nel quasi nove per cento degli interventi.
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COSA FARE?
Il nuovo studio riconosce per la prima volta la portata di questo fenomeno negli Stati Uniti, dove ogni anno si registrano seimila decessi legati a un calo di efficacia (-30%) degli antibiotici. Sono soprattutto persone sottoposte a chirurgia colonrettale, chemioterapia per un tumore del sangue e a interventi per protesi dell'anca. Sotto la lente di ingrandimento sono finiti anche i tagli cesarei: il 40% delle infezioni risultano provocate da batteri resistenti. «Occorre modificare il regime di profilassi, perché quello attuale non copre il 27% dei patogeni responsabili delle malattie descritte in questo lavoro - afferma Nicola Petrosillo, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma -. L’incremento delle resistenze dei principali germi in causa nelle infezioni post-chirurgiche dovrebbe portare a considerare trattamenti con antibiotici attivi contro tutti i possibili germi responsabili di infezioni post-chirurgiche».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).