Il problema riguarda soprattutto le strutture ospedaliere. Serve maggiore consapevolezza: no all’uso scriteriato degli antibiotici
Antibiotici, il vademecum per utilizzarli correttamente
La resistenza agli antibiotici, sebbene abbia raggiunto numeri preoccupanti nell’arco di un quinquennio, è un problema con cui la comunità scientifica s’è abituata a convivere. Non per questo motivo, però, l’aspetto può essere sottovalutato. Basta un dato per dare l’idea dell’emergenza.
I DATI
Ogni anno in Europa si contano venticinquemila vittime per colpa di alcune infezioni resistenti a qualsivoglia antibiotico. Non deve stupire, dunque, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia definito «la resistenza agli antibiotici da parte dei microrganismi un problema sempre più grave per la salute pubblica e in grado di mettere a rischio i successi ottenuti negli ultimi decenni con la medicina moderna». Il fenomeno ha carattere universale, ma in Italia il quadro è più preoccupante.
Il consumo di farmaci antibiotici è uno dei più alti in Europa ed è attualmente in corso un’epidemia a livello nazionale di infezioni da enterobacteriaceae, in particolare Klebsiella pneumoniae, un batterio che vive nell’intestino dell’uomo ma che può provocare infezioni diffuse negli ambienti ospedalieri, nelle strutture per anziani e nei centri di riabilitazione. Il suo tasso di resistenza ai carbapenemi è passato fra il 2009 ed il 2012 dall’1,7% al 29%: in Europa soltanto la Grecia è messa peggio. Ancora più elevata si dimostra la resistenza agli acinobacter, responsabili di infezioni delle vie respiratorie e di gravi forme di meningite.
COLISTINA INEFFICACE
Quel che spaventa di più è che negli ultimi tre anni è passata dal 15 al 27 per cento la quota di quelli che non rispondono nemmeno ai farmaci utilizzati come "ultima spiaggia": ovvero le polimixine, una classe di antibiotici prima finiti in disuso (per via dei loro effetti collaterali) e poi rispolverati a caccia di un argine da porre all’inefficacia dei carbapenemi. Ciò, a detta degli esperti dell’European Center for Disease Prevention and Control, costituisce una seria minaccia per la sicurezza del paziente. «Con un numero ridotto di antibiotici efficaci stiamo tornando all’era “pre-antibiotica”, quando un’infezione batterica era incurabile e spesso letale». I più a rischio sono i soggetti anziani, le persone con un sistema immunitario depresso da una terapia oncologica, da un trapianto o da un lungo ricovero in terapia intensiva.
RESISTENZA: PERCHE'?
I numeri non lasciano dormire sonni tranquilli, se si considera che i carbapenemi sono antibiotici ad ampio spettro e dall’effetto massiccio. Eppure le conseguenze per i batteri gram negativi, dotati di parete cellulare, sono pressoché nulle. Molti di essi, andando incontro a modificazioni del genoma considerate alla base dei meccanismi di evoluzione naturale, hanno sviluppato la capacità di produrre enzimi - carbapenemasi - che favoriscono la resistenza agli antibiotici ad ampio spettro, dopo aver già riscontrato l’inefficacia di altre classi: come i betalattamici, le cefalosporine e i fluorochinoloni.
«Più che l’ambito domestico, l’emergenza riguarda le strutture nosocomiali - dichiara Nicola Petrosillo, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto “Lazzaro Spallanzani” -. Oggi quando un paziente entra in ospedale ed è destinato a essere sottoposto a massicce terapie antibiotiche, si effettua subito un tampone rettale per verificare se è portare o meno di klebsiella, eventualmente mutata». Fondamentale è l’atteggiamento del personale sanitario: utilizzare i guanti, lavare frequentemente le mani ed evitare che dispositivi come il rilevatore della pressione e il fonendoscopio usati su pazienti a rischio finiscano su altri sono le prime difese in grado di arrestare la diffusione dei patogeni.
L’ERRORE UMANO
Le cause alla base di questo fenomeno sono molteplici: dalle responsabilità dell’industria farmaceutica, che negli ultimi anni ha lavorato poco su questo filone, al largo uso di antibiotici che si fa nella zootecnica e negli allevamenti ittici, da cui l’uomo non può difendersi. Un ruolo particolare, però, lo gioca l’uso inappropriato di antibiotici. La questione tira in ballo anche gli specialisti, le cui prescrizioni non sono sempre necessarie. «Il cattivo utilizzo degli antibiotici è destinato a ripercuotersi sulle future generazioni», afferma Giovanni Cassola, direttore del reparto di malattie infettive degli ospedali Galliera di Genova. «Durante l’assunzione dei farmaci occorre rispettare la giusta indicazione, sul dosaggio e la durata delle terapie. È importante evitare anche l’uso difensivistico, evitare le combinazioni, usare meno ma più a proposito».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).