Ogni anno 430.000 persone sviluppano un'infezione ospedaliera. Il 30 per cento si potrebbe prevenire
L’antibioticoresistenza, o AMR (dall'inglese Antimicrobial Resistance) costituisce una delle principali minacce per la salute pubblica a livello globale. E, in Italia, il fenomeno assume dimensioni particolarmente preoccupanti con oltre 12.000 decessi annui attribuibili a infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici. Il nostro Paese si aggiudica così il triste primato europeo per mortalità correlata all'antibioticoresistenza, come emerso dal recente dossier dell’Agenzia Italian del Farmaco (AIFA) basato sui dati più recenti dello European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC).
E il problema è particolarmente evidente a livello ospedaliero. Si stima, infatti, che tra il 2022 e il 2023 in Italia circa 430.000 persone abbiano contratto un'infezione ospedaliera, ovvero l’8,2% dei pazienti ricoverati contro una media europea del 6,5%, con un tasso di somministrazione di antibiotici pari al 44,7%, superiore alla media europea del 33,7%. Questi sono i dati presentati a dicembre in occasione del congresso della Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (SIMIT).
FOCUS SULLE INFEZIONI OSPEDALIERE
Ma che cosa significa concretamente tutto ciò, perché è facile contrarre infezioni ospedaliere? «I germi resistenti agli antibiotici - spiega Luca Pasina, Responsabile del Laboratorio di Farmacologia Clinica e Appropriatezza Prescrittiva dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri - sono microrganismi capaci di sopravvivere e proliferare anche in presenza di antibiotici che normalmente dovrebbero ucciderli o inibirne la crescita e la proliferazione. La diffusione dell'antibioticoresistenza negli ospedali è principalmente dovuta all’uso massiccio di antibiotici, soprattutto di quelli ad ampio spettro. L’impiego frequente di questi farmaci favorisce la sopravvivenza e la selezione di ceppi batterici resistenti. Rispetto ad altri Paesi europei, in Italia si fa un maggiore ricorso ad antibiotici ad ampio spettro, che hanno un impatto importante sullo sviluppo delle resistenze. Più antibiotici vengono utilizzati, maggiore è, infatti, la probabilità che i batteri sviluppino meccanismi di resistenza».
ALTRI FATTORI DI RISCHIO INFETTIVO IN OSPEDALE
Oltre all'uso massiccio degli antibiotici ad ampio spettro, spiega il dottor Pasina, vi sono altre condizioni specifiche che favoriscono la diffusione delle infezioni negli ospedali: «Sono, in primis,
- la presenza di pazienti vulnerabili, come quelli immunodepressi, a causa di malattie o trattamenti farmacologici (ad esempio la chemioterapia) che li rendono più suscettibili alle infezioni
- l’utilizzo di dispositivi medici invasivi, quali cateteri e altri dispositivi, che possono facilitare l'ingresso di batteri nell’organismo
- l’elevata densità di pazienti e di personale sanitario che, in ambienti chiusi e affollati, può favorire la trasmissione di agenti infettivi
- la contaminazione di superfici e attrezzature, come letti, maniglie delle porte e attrezzature mediche, può contribuire alla contaminazione da batteri. Se le procedure di pulizia e sanificazione non sono rigorose, i patogeni possono infatti persistere e diffondersi nell'ambiente ospedaliero.
Tutti questi fattori contribuiscono a creare un contesto favorevole alla diffusione delle infezioni e allo sviluppo di batteri multi-resistenti».
CHE COSA FARE CONCRETAMENTE
Esistono diversi livelli di intervento, spiega Luca Pasina:
«A livello comunitario è fondamentale promuovere un uso consapevole e responsabile degli antimicrobici, attraverso campagne di sensibilizzazione mirate.
Ogni cittadino può fare qualcosa:
- utilizzare gli antibiotici solo quando indicati dal medico, senza insistere per ottenere una prescrizione per ogni infezione respiratoria;
- non usare antibiotici già presenti in casa indicati per altri disturbi;
- rispettare le norme igieniche di base, come lavarsi le mani per evitare di contrarre infezioni che potrebbero necessitare il ricorso a antibiotici.
- Non ultimo, restare a casa quando si è malati. Ciò può ridurre significativamente la richiesta di assistenza medica e di prescrizioni antibiotiche non necessarie, come è emerso chiaramente durante la pandemia di COVID-19.
Nel settore sanitario, occorre implementare programmi di gestione antimicrobica per migliorare i risultati e limitare la diffusione dei batteri resistenti. È fondamentale agire tempestivamente con misure di prevenzione e controllo delle infezioni, riducendo così le opportunità per i patogeni di adattarsi e sviluppare resistenze.
Su scala globale, è indispensabile ridurre l’uso eccessivo di antibiotici sia nell’uomo che negli allevamenti. Bisogna incentivare l’utilizzo di antibiotici a basso rischio di indurre resistenza, seguendo le indicazioni dell’AWaRe Book dell’OMS, che classifica i farmaci in base al loro impatto sulla resistenza antimicrobica. È altrettanto importante evitare dosaggi inadeguati, come trattamenti troppo brevi o interrotti prematuramente, e limitare l’uso ripetuto dello stesso antibiotico, che favorisce la selezione di batteri resistenti».
UNA PIATTAFORMA DEDICATA PER CONDIVIDERE I DATI
Anche la messa in rete di dati relativi alla diffusione delle infezioni, alle loro caratteristiche e al loro rischio di mortalità costituisce un valido strumento di sorveglianza. In questa direzione sta operando la Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (SIMIT) tramite la piattaforma clinica Resistimit. Si tratta, da una parte di un registro dinamico nazionale finalizzato a creare un solido sistema di sorveglianza e condivisione di dati su trend epidemiologici; dall’altra di un software per la messa in rete di questi dati, che tramite intelligenza artificiale diventeranno utile strumento anche per definire futuri scenari. Ad oggi vi sono 45 centri operativi nella piattaforma Resistimit, mentre nel database sono analizzati 800 pazienti colpiti da infezione grave da batteri gram negativi. I dati sulla mortalità negli ospedali italiani evidenziano una probabilità di morte a 30 giorni che può andare dal 10% dei batteri meno resistenti fino al 40%, in caso di microrganismi che sono diventati epidemiologicamente più rilevanti (Acinetobacter baumannii ed Enterobatteri). In altri termini, alcune infezioni acquisite in ospedale determinano un’elevata probabilità di decesso. «Resistimit - ha spiegato il professor Marco Falcone, Consigliere SIMIT e responsabile progetto Resistimit - costituisce il primo progetto che offre un’esperienza concreta circa l’impatto clinico dell’antimicrobico ed è quindi la base per ulteriori approfondimenti e per possibili politiche di prevenzione. Un primo risultato è la necessaria presenza di un infettivologo in ogni ospedale per monitorare il problema. Si stima, inoltre, che le infezioni negli ospedali possano essere riducibili del 30% facendo più prevenzione e riducendo i consumi di antimicrobici. In pratica tra le 135.000 e le 210.000 infezioni nosocomiali potrebbero essere evitate, con evidenti benefici in termini di vite umane e risparmio economico».
LA RICERCA SUGLI ANTIBIOTICI NEGLI ANNI
Il primo ricercatore cui si deve la scoperta degli antibiotici è l’italiano Vincenzo Tiberio. Era un ufficiale medico di origini molisane del Corpo Sanitario della Marina Militare che, nel 1895, descrisse il potere battericida di alcune muffe anticipando, così, di oltre trenta anni la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming che diede ufficialmente il via alla nascita degli antibiotici. La concreta applicazione delle scoperte di Fleming avvenne però solo nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento e rivoluzionò totalmente la storia della medicina e della salute pubblica. Fino ad allora infatti anche semplici infezioni erano in grado di causare la morte, tanto che durante la Prima Guerra mondiale il nemico più temuto erano proprio le malattie. Gli antibiotici sono quindi tra i farmaci più importanti per la salute collettiva. «Tuttavia - precisa Luca Pasina -sebbene tra il 1930 e il 1960 siano state scoperte ben dieci classi di antibiotici con meccanismi d'azione differenti, il periodo successivo ha registrato un rallentamento nello sviluppo di nuove classi. Dopo questo periodo, la ricerca si è concentrata principalmente sulla sintesi di nuove molecole derivate da antibiotici già esistenti. Solo a partire dai primi anni 2000 sono state scoperte nuove classi di antibiotici, ma è opportuno osservare che la ricerca è fortemente influenzata dal problema delle resistenze batteriche. Le aziende farmaceutiche impegnate nello sviluppo di antibiotici si sono ridotte negli anni, e quelle rimaste si concentrano sempre di più sulla creazione di molecole attive contro i batteri multi-resistenti. Per questo motivo, è fondamentale adottare misure utili a prevenire e a controllare la trasmissione delle infezioni e incoraggiare un uso responsabile degli antibiotici».
Fonti
Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.