I batteri contenuti al suo interno contribuiscono alla formazione della flora intestinale dei nascituri e possono condizionare il buon esito del parto
Viviamo in un mondo in cui i microbi sono la sostanza. E si trovano anche in diversi comparti del corpo umano: compresa la placenta. Chi pensava che l’organo temporaneo deputato a secernere ormoni, eliminare sostanze di scarto, rifornire di ossigeno e sostanze nutritive il nascituro fosse sterile, si sbagliava. Al suo interno, infatti, vivono oltre trecento specie batteriche, il cui ruolo sarebbe tutt’altro che trascurabile.
LA SCOPERTA
A identificarle è stato un team di ricercatori - ginecologi, microbiologi, immunologi e genetisti - dell’università di Houston che, dopo aver raccolto in sala parto 320 placente da donne che avevano avuto per lo più parti naturali (ma anche cesarei), hanno cercato nel tessuto placentare il codice genetico dei batteri. È così emerso che la loro presenza è minoritaria - 300 specie identificate - rispetto a quella segnalata nell'intestino.
I risultati dello studio, pubblicato su Science Translational Medicine, hanno confermato come una parte del microbiota intestinale - l’insieme dei microrganismi in grado di colonizzare il tratto finale del tubo digerente - dei bambini è formato da batteri “conosciuti” nel corso della gestazione - proprio attraverso gli scambi tra il feto e la placenta - e non soltanto durante il parto. L’evidenza consolida i dubbi che avevano spinto i ricercatori ad approfondire le indagini, avviate dopo aver notato che i microbi abbondanti nel canale vaginale materno non erano gli stessi più presenti nell'intestino dei neonati.
MICROBIOTA E PARTO
Ma c’è di più: ora si sa che una corretta composizione della flora batterica placentare condiziona l’esito del parto. In base alle specie presenti, infatti, può aumentare il rischio di nascite premature. Fin qui, però nulla da eccepire, se si considera che «questi episodi, fatta eccezione per alcune particolari situazioni anatomiche, sono quasi sempre riconducibili a infezioni che compromettono la stabilità della placenta» afferma Giovanni Battista Nardelli, direttore della clinica di ginecologia e ostetricia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Padova.
La placenta si conferma dunque un organo “vivo”, fondamentale nel processo di sviluppo complessivo del feto. Ma il processo di colonizzazione batterica dell’intestino resta ancora ben diverso, tra chi nasce naturalmente e chi attraverso il parto cesareo. «In quest’ultimo caso può esserci un’alterata interazione tra il microbiota, gli enterociti e il Galt, ovvero quella parte del sistema immunitario associata all’intestino - chiarisce Massimo Agosti, direttore dell’unità operativa nido, neonatologia e terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese -. Il microbiota intestinale del nato da parto cesareo è caratterizzato dalla prevalenza di batteri quali escherichia coli e clostridium difficile, a svantaggio di bacteroides, bifidobatteri e lattobacilli.
Tale diversità, che si riscontra almeno fino al secondo anno di vita, può contribuire all’insorgenza di diverse allergie». Nonostante il “peso” della flora microbica placentare, dunque, è sempre meglio prediligere il parto naturale, ove possibile e mai in presenza di infezioni virali potenzialmente gravi per il feto: quali la malattia erpetica (herpes 1 in fase attiva), l’infezione da Hiv e quella da Hpv in fase attiva.
DALLA BOCCA ALLA PLACENTA
Sorprendente è stata la maggiore affinità riscontrata tra il microbiota della placenta e quello del cavo orale, le cui alterazioni, in passato, sono spesso state considerate come possibili fattori condizionanti il buon esito di una gravidanza. Ipotesi per nulla da escludere se, come precisa Nardelli, «l’infezione da papilloma virus, che si trasmette anche per via orale, è responsabile della maggior parte dei casi di aborti ripetuti e di impianto degli embrioni durante i trattamenti di procreazione medicalmente assistita». Le responsabilità dei batteri, nel bene e nel male, sono dunque tante. Ma esagerare con gli antibiotici in gravidanza non è comunque raccomandabile. Il consiglio è di serrare i controlli attraverso le analisi delle urine e intervenire soltanto in caso di aumentato rischio: più che elevato nel caso in cui dalle indagini di laboratorio in cui emerga la presenza di batteri e globuli bianchi.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).