I pazienti affetti da questo tipo di anemia sono più soggetti allo sviluppo di tumori, anche pediatrici. Roberta Bottega indaga il ruolo dei mitocondri nel favorire queste gravi complicazioni
L’anemia di Fanconi è una rara malattia genetica caratterizzata da anomalie congenite e un’insufficienza del midollo osseo, ovvero l’incapacità di produrre cellule del sangue. Sebbene si tratti prevalentemente di una malattia ematologica, i pazienti affetti da anemia di Fanconi hanno anche un’elevata predisposizione allo sviluppo di tumori solidi e leucemie. Chi è soggetto a questa patologia va incontro all’insorgenza di cancro anche in età pediatrica, anche a causa di mutazioni genetiche che rendono le cellule incapaci di riparare i danni al Dna. Eppure il solo difetto in questa funzione non giustifica l’estrema variabilità clinica e cellulare riscontrata nei pazienti.
Il trapianto di midollo osseo è spesso efficace nel risolvere i problemi ematologici, ma non può prevenire l’insorgenza di tumori aggressivi che, pertanto, rappresentano la sfida maggiore per questi bambini. Ecco perché è importante conoscere meglio i meccanismi alterati alla base di questo tipo di anemia: un obiettivo al centro del lavoro di Roberta Bottega, biologa originaria di Conegliano, che grazie al progetto Gold for Kids della Fondazione Umberto Veronesi lavora all’Irccs Burlo Garofolo di Trieste.
Roberta, raccontaci il tuo progetto più nel dettaglio.
«I geni noti per essere alterati nell’anemia di Fanconi sono 21: le proteine da loro codificate sono implicate nella riparazione dei danni al Dna, ma recentemente è stato dimostrato che sono coinvolte anche nella mitofagia. Si tratta di un processo con cui la cellula elimina i mitocondri, organelli cellulari deputati alla produzione di energia, quando sono danneggiati e non funzionanti. Difetti genetici in questo processo causano un aumento nella formazione di radicali liberi, sostanze tossiche che possono originarsi nelle reazioni metaboliche e che promuovono e accelerano l’insorgenza di tumori. Dati preliminari indicano che le mutazioni tipiche dell’anemia di Fanconi sono associate a difetti marcati sia nella struttura che nell’attività dei mitocondri, e che il difetto varia in base al tipo di mutazione. L’anemia di Fanconi ha manifestazioni molto diverse da soggetto a soggetto: questo progetto si propone di correlare le specifiche mutazioni geniche ai diversi quadri clinici e alla relativa predisposizione ai tumori».
Quali potrebbero essere dunque le prospettive per chi soffre di questa anemia?
«La possibilità di identificare mutazioni associate a prognosi migliori o peggiori potrebbe fornire al medico importanti informazioni per la gestione dei pazienti, permettendo di adottare percorsi preventivi appropriati e ipotizzare una terapia mirata».
Roberta, tu non sei mai stata all’estero per ricerca: come mai? Ti piacerebbe andarci?
«Purtroppo non ne ho mai avuto la possibilità, un po’ per motivi familiari e un po’ perché la fortuna di trovare subito un’occupazione in Italia dopo la laurea mi ha spinto a restare per proseguire il lavoro iniziato. Mi piacerebbe in futuro provare a spostarmi per qualche mese, perché credo che il confrontarsi con una realtà diversa da quella a cui si è abituati rappresenti una possibilità di crescita enorme. Mi piacerebbe in particolare andare in Spagna, dove sono presenti centri di eccellenza per la ricerca sull’anemia di Fanconi».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Perché fin da bambina sono sempre stata curiosa e perchè, soprattutto quando sei piccolo e ti ammali, non c’è niente di più “magico” che andare dal dottore e guarire. Probabilmente se non fossi diventata una ricercatrice sarei stata un medico».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare.
«La mia prima pubblicazione è incorniciata per davvero! È stata una soddisfazione immensa, così come la tesi di laurea, il dottorato, la prima volta che sono andata in un altro continente per parlare a un congresso. In realtà ho moltissimi bei ricordi legati al mio lavoro. Vorrei invece dimenticare tutti i no che ho ricevuto negli anni».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale o professionale.
«Assolutamente Rita Levi Montalcini».
Quali pensi che siano i problemi della scienza e della ricerca oggi?
«Credo sia ormai noto a tutti che, di anno in anno, diminuisce il finanziamento pubblico alla ricerca: a ogni legge di stabilità una piccola fetta di finanziamento destinato alla ricerca viene tagliato. I pochi soldi che ci sono bastano appena a offrire contratti a un numero sempre minore di ricercatori precari. Spesso così anche i progetti di ottimo livello vengono chiusi o abbandonati. Credo che senza il contributo di fondazioni e associazioni moltissimi ricercatori non potrebbero svolgere il loro lavoro. Trattandosi poi di istituzioni libere da vincoli politici, possono permettersi di premiare in maniera assolutamente meritocratica i progetti più promettenti».
Cosa fai nel tempo libero?
«Adoro leggere. Fin da quando ero piccola ho sempre divorato libri di ogni tipo, dai romanzi alla storia dell’arte. Il mio luogo preferito in città sono le librerie, le biblioteche e i giardini pubblici, dove posso leggere al sole per ore».
Qual è il tuo libro preferito?
«Il vecchio e il mare, di Hernest Hemingway».
Hai famiglia?
«Sono sposata da quasi due anni. Ho conosciuto mio marito al lavoro, mentre cercavamo il nostro nome tra gli ammessi al dottorato di ricerca».
Se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?
«Gli direi di darsi da fare e di non lasciarsi scoraggiare, perché per avere soddisfazioni in questo lavoro bisogna essere pronti ad accettare un sacco di sconfitte».
Al di là dei contenuti scientifici, cos’è che dà un significato profondo alle tue giornate lavorative?
«Credo non ci sia niente di più affascinante di noi stessi, del modo complesso e perfetto in cui siamo fatti. Per me è incredibile pensare che menti geniali come coloro che ci hanno portato sulla Luna, ci hanno permesso di leggere la “Divina Commedia” o hanno composto “Stairway To Heaven”, siano in realtà un agglomerato di atomi connessi l’uno all’altro. Sono proprio i meccanismi molecolari che ci regolano a fare di noi quello che siamo, e la ricerca tenta di capire come funzionano: ecco perchè senza ricerca non possiamo migliorarci».