Nel trapianto di midollo inserendo un gene capace di inattivare il sistema immunitario è possibile annullare il problema di compatibilità
Il trapianto di midollo - più tecnicamente trapianto di cellule staminali ematopoietiche - è uno di quegli interventi che ha contribuito a salvare migliaia di persone affette da malattie del sangue e del midollo osseo.
La procedura, utilizzata con successo a partire dagli anni ’50, presenta però il forte limite dovuto alla compatibilità.
Il trapianto, onde evitare il fenomeno del rigetto, può essere effettuato se donatore e ricevente presentano caratteristiche immunologiche molto simili.
Negli anni per ovviare a questo problema diversi gruppi di ricerca hanno tentato di ingegnerizzare le cellule del midollo al fine di evitare il problema della compatibilità.
Ai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma va il merito di aver realizzato una tecnica che consente, grazie ad un gene suicida, di azzerare il rischio di morte in seguito a trapianto di midollo donato da un genitore.
I dati sono stati presentati nei giorni scorsi al congresso dell’American Society of Haematology.
COMPATIBILITA’
Il trapianto di cellule staminali del sangue rappresenta una terapia salvavita per un elevato numero di pazienti pediatrici. Per tanti anni, l'unico donatore impiegato è stato un fratello o una sorella immunogeneticamente compatibile con il paziente.
La possibilità che due fratelli siano identici tra loro però è solamente del 25%. Per ovviare a questa limitazione sono stati creati i Registri dei Donatori Volontari di Midollo Osseo che arruolano ormai più di 20 milioni di donatori e le Banche di Raccolta e Conservazione del Sangue Placentare, le quali rendono disponibili circa 600 mila unità nel mondo.
Purtroppo però sono ancora circa il 30-40% i malati che non trovano un donatore idoneo o che hanno un'urgenza di essere avviati al trapianto in tempi non compatibili con quelli necessari a identificare un donatore al di fuori dell'ambito familiare.
TRAPIANTO DA GENITORE
Per ovviare a questa carenza una fonte alternativa negli ultimi 20 anni si è investito nell'utilizzo di uno dei due genitori come donatore di cellule staminali emopoietiche, per definizione, immunogeneticamente compatibile per il 50% con il proprio figlio. Eppure, nonostante questo dato, i trapianti da uno dei due genitori hanno una probabilità di successo significativamente inferiore a quella ottenibile impiegando come donatore un fratello o una sorella o un soggetto identificato al di fuori dell'ambito familiare. Partendo da questo dato gli scienziati del Bambin Gesù hanno messo a punto una tecnica in grado di manipolare le cellule dei genitori rendendole, di fatto, compatibili e funzionali senza effetti collaterali.
GENE SUICIDA
La tecnica permette di eliminare alcuni linfociti, responsabili dello sviluppo di complicanze legate all'aggressione da parte di cellule del donatore sui tessuti del ricevente, lasciando però elevate quantità linfociti capaci di proteggere il bambino da infezioni severe soprattutto nei primi 4 mesi dopo il trapianto. Sperimentata con successo a partire dal 2014 su 23 pazienti pediatrici affetti da patologie rare e fatali la tecnica è ora stata migliorata con l’aggiunta di un “gene suicida” capace di azzerare il rischio di attacco. Ciò è possibile inserendo nelle cellule del genitore il gene iC9, una porzione di Dna che può indurre le cellule ad inattivarsi qualora si verificasse un attacco di queste cellule immunitarie contro il ricevente.
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LA TECNICA FUNZIONA
La sperimentazione ha già arruolato più di 100 pazienti nel primo trial in Europa sull’infusione di queste cellule geneticamente modificate.
Di questi bambini, 20 erano affetti da gravissime forme d’immunodeficienza, incompatibili con la vita in assenza di un trapianto. «I bambini trapiantati avevano già un rischio di mortalità molto bassa - spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica e medicina trasfusionale del Bambino Gesù -. Adesso questo rischio si è ridotto ulteriormente e quindi ci sentiamo confidenti a offrire questa importante alternativa di cura, il trapianto di midollo da genitore, anche a bambini a cui, pur non rappresentando una terapia salvavita, la procedura trapiantologica può migliorare di molto la qualità della vita. È il caso per esempio dei talassemici che prima di questa soluzione venivano trapiantati solo in caso di donatore compatibile al 100%».
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.