Nel 2019 è tornata a crescere la quota dei giovani donatori di sangue (18-25 anni). Il sistema trasfusionale ha tenuto anche durante la pandemia
Per anni, l'invito è rimasto disatteso. Il 2019, invece, ha fatto segnare una svolta. I ragazzi italiani hanno capito di poter fare la differenza per quel che riguarda le donazioni di sangue. I numeri diffusi in occasione della giornata mondiale dedicata ai donatori (14 giugno) sono rincuoranti. E, assieme alla tenuta del sistema trasfusionale nel periodo di lockdown, rappresentano la nota più lieta sul fronte sanitario per il Paese, dopo diversi mesi. «La generosità dei donatori ci ha permesso di far fronte anche a un'emergenza straordinaria come quella determinata dal Covid-19», afferma Giancarlo Liumbruno, presidente del Centro Nazionale Sangue. Parole da tenere adesso che incombe l'estate, uno dei periodi (con i mesi di gennaio e febbraio) caratterizzati dal calo delle donazioni.
L'importanza di donare sangue anche in estate
GIOVANI DONATORI IN CRESCITA DOPO SEI ANNI
Aggregando le statistiche fornite dalle Regioni e dalle Province Autonome, il Centro Nazionale Sangue ha portato alla luce la lieta notizia. Dopo sei anni, è tornato a crescere numero dei donatori tra i 18 e i 25 anni. I ragazzi che hanno deciso di compiere il nobile gesto sono stati oltre 213mila, su un totale di quasi 1.7 milioni di donatori. Un dato anche questo in aumento rispetto ai due precedenti: nonostante la flessione registrata nel gruppo più robusto di donatori (36-45 anni, -3.6 per cento) e dei nuovi donatori (362mila). A dare man forte ai giovani, sono stati gli uomini e le donne più «esperti» (56-65 anni). Un risultato importante, che denota da un lato il buono stato di salute di queste persone e dall'altro la volontà di rendersi ancora più utili a ridosso del termine ultimo per donare il sangue, fissato a 65 anni (o a 70, se in buono stato di salute certificato da medico).
DIECI COSE DA SAPERE
SULLA DONAZIONE DI SANGUE
GLI ALTRI NUMERI DEL 2019
Al di là dei segni «più» e «meno», i numeri descrivono una situazione di sostanziale equilibrio. In questo campo, l'Italia, ormai da anni, è autosufficiente. Ciò vuol dire che, indipendentemente dagli sbalzi stagionali, il meccanismo delle compensazioni tra le Regioni assicura a tutti i cittadini la possibilità di trovare sempre una sacca di sangue compatibile, in caso di necessità. A confortare è anche l'incremento riguardante i pazienti trasfusi (638mila, ottomila in più rispetto al 2018), per un totale di circa tre milioni di trasfusioni (una ogni dieci secondi). Stabile anche il numero dei donatori sottopostisi all'aferesi (202mila), la procedura che permette di donare alcune parti del sangue intero, come il plasma e le piastrine. Un gesto, quello della donazione della componente liquida del sangue, che ha permesso di far lievitare pure la quota di farmaci derivati dal plasma prodotti per far fronte alle esigenze dei pazienti emofilici, di coloro che sono affetti da altre malattie emorragiche, respiratorie o da alcune immunodeficienze primitive. Quanto ai dati locali, il Friuli Venezia Giulia si è confermato la Regione con il maggior numero di donatori (40 ogni 1.000 abitanti), seguito dal Molise (35.86) e dalla Sardegna (33.87). In coda alla speciale graduatoria, la Calabria (24.26), la Campania (23.53) e il Lazio (23.30).
Donare il sangue regolarmente salva la vita nelle emergenze
DONAZIONI OK ANCHE DURANTE IL LOCKDOWN
Oltre ai dati del 2019, a far crescere la fiducia è la prima fotografia relativa alle donazioni di sangue durante il periodo di lockdown. A fine febbraio, complice anche la coda della stagione influenzale, le scorte di alcuni gruppi sanguigni (partire dallo 0 negativo) iniziavano a sarseggiare. Poi si è aggiunto il coronavirus che, complice le poche informazioni relative alla modalità di trasmissione e il timore crescente di recarsi negli ospedali, ha rischiato di trasformare la penuria di sangue in emergenza. Scenario che però, grazie anche ai numerosi appelli partiti dalle associazioni e dai centri trasfusionali, non ha preso forma. «A un iniziale calo delle donazioni, ha fatto seguito la risposta straordinaria degli italiani - conferma Liumbruno -. Oltre 411mila connazionali, durante la fase 1, hanno deciso di donare il sangue». La loro generosità, unita al rinvio di tutti gli interventi chirurgici non urgenti, ha garantito la tenuta del sistema. Grazie alla sensibilità dimostrata dai donatori, chi ne ha avuto bisogno ha potuto ricevere una sacca di sangue anche nei giorni più duri della pandemia.
INDICAZIONI UTILI PER CHI INTENDE DONARE
Per incentivare la donazione di sangue, occorre ribadire quelli che sono i requisiti minimi richiesti. Oltre a essere in buona salute (ogni persona viene sottoposta a controlli periodici prima della donazione) e a non essere in trattamento farmacologico (salvo rari casi, non è possibile donare il sangue dopo aver avuto un tumore), occorre avere più di 18 e non oltre 60 anni se si intende donare per la prima volta. Peso corporeo: uguale o superiore a 50 chili. Il giorno della donazione la pressione arteriosa massima deve essere compresa tra 110 e 160 (mmHg), mentre quella minima tra 60 e 100. Frequenza cardiaca: tra 50 e 100 battiti al minuto. Mentre l’emoglobina non può essere inferiore a 12,5 (nelle donne) e a 13,5 (uomini). Sottoporsi a una donazione di sangue non comporta rischi per la salute. La quantità prelevata nel corso di una donazione (quella completa dura dieci minuti, ci vuole invece un'ora per una procedura di aferesi) non è mai superiore a 500 millilitri (ogni adulto ha nel suo corpo un volume di sangue di 4-6 litri). La riduzione del volume di sangue circolante e del numero di globuli rossi (deputati al trasporto di ossigeno) sono ben tollerati da una persona in salute. Quanto alla dieta, i donatori sono chiamati a presentarsi in un centro trasfusionale dopo aver consumato una colazione leggera. Al termine della donazione, è sufficiente assumere abbondanti quantità di acqua (non di altre bevande) e seguire una dieta ricca in ferro e in sali minerali per accelare il completo recupero nell'arco di poche ore.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).