Che cos’è il vino dealcolato? Come si produce? Che gusto ha? Ecco cosa sappiamo finora sul vino a ridotto, o nullo, contenuto di alcol
Gustare del vino senza avere gli effetti negativi dell’alcol sembrerebbe possibile grazie al vino dealcolato, un prodotto a ridotto, o nullo, contenuto di etanolo. Ma di cosa si tratta esattamente? Il gusto del vino dealcolato è davvero simile a quello del vino normale? Quali sono i limiti e le possibilità legati al suo consumo? Ne abbiamo parlato con Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico per Fondazione Umberto Veronesi.
COME SI OTTIENE?
In Italia, perché un prodotto possa essere chiamato 'vino' deve presentare una gradazione alcolica di almeno il 9%, salvo alcune eccezioni legate a denominazioni particolari. Il vino dealcolato, o per meglio dire dealcolizzato, come definito secondo la Direttiva Europea 2021/2117, ha un tasso di alcol non superiore a 0,5% vol., mentre il “vino parzialmente dealcolizzato” ha un tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e 9%. È proprio la direttiva UE a stabilire regole e standard per la produzione e la commercializzazione di vini dealcolati nell'Unione Europea. Queste norme sono volte a tutelare i consumatori grazie a standard produttivi sicuri e trasparenti, e ad etichette chiare che permettano alle persone di sapere cosa stanno acquistando e consumando.
«Il vino dealcolato, che può essere totalmente o parzialmente analcolico, si ottiene a partire da un vino reale – spiega Elena Dogliotti –, ed i metodi più comuni per togliere l’alcol sono la distillazione sottovuoto e l’osmosi inversa. Da non confondere con bevande, spesso fermentate, che cercano di ricordare alcuni sapori del vino, ma sono prodotte a partire da materie prime completamente diverse. In questo caso la gradazione alcolica, seppur minima, è comunque presente per via della fermentazione degli zuccheri».
IL GUSTO SI MANTIENE?
Il gusto del vino dealcolato può essere più o meno simile a quello del vino normale, anche in base al processo produttivo e alla percezione sensoriale dei diversi soggetti che si troveranno ad assaggiarlo.
«Un aspetto positivo che riguarda la dealcolizzazione del vino è legata al fatto che la componente fenolica, ovvero i composti che sono associati a benefici per la salute, sono conservati – precisa la dottoressa Dogliotti –, mentre a perdersi è la composizione volatile, molto labile, che conferisce il tipico aroma e la palatabilità al prodotto».
La distillazione sottovuoto è un processo in due fasi che prevede il trasferimento del vino attraverso una colonna di distillazione a una temperatura di 30 °C per estrarre delicatamente i composti altamente volatili; questo processo viene ripetuto per rimuovere l'alcol. Sebbene veloce ed economica, questa tecnica non garantisce la massima qualità poiché alcuni composti attivi a livello aromatico evaporano con l'alcol. Per mitigare tale effetto, si può adottare l'impiego di una centrifuga operante sottovuoto per rimuovere i composti aromatici prima della distillazione e successivamente reintegrarli al vino una volta completata l'operazione. Un concetto simile è impiegato nell'osmosi inversa, dove, attraverso una membrana, i composti aromatici e fenolici vengono filtrati prima di rimuovere l'alcol per distillazione e successivamente reintegrati. Aggiustare il dosaggio degli zuccheri e l'acidità del prodotto permette di ottenere una sensazione avvolgente simile a quella conferita dall'alcool.
I RISCHI LEGATI AGLI ADDITIVI
L'alcol gioca un ruolo importante per fornire il gusto e creare in bocca quella piacevole sensazione, pertanto la sua rimozione può influenzare il profilo sensoriale complessivo del vino.
«Per compensare la perdita di alcol e avvicinarsi al gusto del vino normale – riflette Elena Dogliotti –, c’è il rischio che i produttori di vino dealcolato possano aggiungere zuccheri, aromi artificiali, stabilizzanti o altri additivi che potrebbero essere dannosi per la salute. Per questo è sempre bene leggere attentamente l'etichetta del prodotto e, per mantenere uno stile di vita sano, è importante non abusare di queste bevande anche se non contengono etanolo».
QUALI SONO I BENEFICI?
Ad ogni modo i vini dealcolati rappresentano una valida alternativa alle classiche bevande analcoliche occasionali come sode e cole, per andare incontro alle esigenze di chi non può o non vuole bere, per ragione fisiche, culturali o personali, come i giovani, donne incinte, guidatori o astemi.
«L’idea è quella di creare delle alternative di convivialità caratterizzate da gusti differenti che, allo stesso modo dei vini, potrebbero essere consumati durante i pasti e abbinati a piatti diversi», spiega la Dogliotti. «Il vantaggio principale per gli assidui consumatori della bevanda tradizionale è sicuramente legato all’assenza, o alla netta riduzione di alcol, sostanza tossica e cancerogena, determinando benefici in termini di salute e riduzione potenziale degli incidenti stradali. Certo, la tradizione della produzione vinicola potrebbe trovarsi ad osteggiare la produzione di queste bevande perché a livello tradizionale, almeno teoricamente, i vini di qualità dovrebbero essere fatti solamente con materie prime naturali sfruttando la semplice fermentazione alcolica senza aggiunte, cosa che per la produzione del vino dealcolato non è possibile».
NON È UN VIA LIBERA
Non bisogna dimenticare che, a meno che non si parli di vini completamente analcolici, la presenza di alcol, seppur ridotta, resta, e con essa anche i rischi correlati che sono i medesimi di altre bevande alcoliche al di sotto del 9% di gradazione alcolica, come ad esempio la birra.
«Il rischio potrebbe essere che, essendoci un quantitativo di alcol minore – riflette Elena Dogliotti – le persone siano portate ad aumentarne il consumo e di conseguenza ad essere maggiormente esposti ai rischi alcol correlati. Non dimentichiamo inoltre che tutto ciò che non è acqua andrebbe consumato con attenzione e moderazione: anche nel caso in cui l’alcol sia totalmente assente, infatti, le bevande prodotte a partire dal vino potrebbero apportare calorie, zuccheri, eventuali additivi per ricreare la sensazione della palatabilità e diminuire il rischio di contaminazione. L’assenza di alcol, infatti, espone il prodotto a maggior rischio di contaminazione microbica, aspetto che porterebbe i produttori ad aggiungere conservanti, soprattutto se l’imbottigliamento avviene in un luogo diverso rispetto alla dealcolazione. Per le donne incinte, in allattamento o in generale per persone con problemi di salute per cui ne sia sconsigliata l’assunzione, il consumo di alcol dovrebbe comunque essere pari a zero per cui anche i vini dealcolizzati, a meno che non siano totalmente privi di alcol, vanno evitatati in ogni caso».
OCCHIO AI GIOVANI
Se in altri paesi come Francia, Germania e Spagna la produzione e il consumo di vini dealcolati è più diffusa, l’Italia sta iniziando solo ora ad aumentarne la conoscenza, la produzione e l’utilizzo. Per questo solo il tempo ci dirà se e quali saranno gli effetti sulla salute e sulle abitudini legate alla diffusione dei vini dealcolati, anche per quanto riguarda i più giovani.
«È essenziale che anche i minori siano consapevoli dei rischi legati all'assunzione di prodotti che imitano le bevande alcoliche, anche se il loro contenuto di alcol è ridotto o nullo», conclude Elena Dogliotti. «Questi prodotti, infatti, potrebbero indurre i giovani ad avvicinarsi al mondo dell'alcol in età ancora più precoce di quanto già non avvenga. Lasciare ad esempio che i più piccoli pasteggino con pizza e birra analcolica non è certo raccomandato. Dall’altro lato, però, l'opportunità di informare i giovani sul consumo consapevole e responsabile del vino per promuovere una maggiore cultura alla salute non è da sottovalutare, e il dibattito a tal proposito è acceso. In ogni caso, è importante promuovere tutto ciò che contribuisce a diversificare l'alimentazione, cercando di mitigare gli aspetti negativi di alcuni prodotti senza enfatizzarne altri. Avere alternative è sempre positivo, tuttavia, anche i vini dealcolati, come tutti i prodotti alimentari, richiedono un approccio critico. È fondamentale leggere attentamente le etichette e valutare se tali prodotti possano effettivamente integrarsi in un regime alimentare sano, in base alle diverse età e necessità».
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile