Alcol e prevenzione: garantire scelte informate
Molti mi scrivono, non esagero, quotidianamente in merito a trasmissioni televisive, articoli, segnalazioni sul web inerenti l’alcol e la possibile azione di prevenzione su patologie tumorali e cardiovascolari
Molti mi scrivono, non esagero, quotidianamente in merito a trasmissioni televisive, articoli, segnalazioni sul web inerenti l’alcol e la possibile azione di prevenzione su patologie tumorali e cardiovascolari.
Molte leggende sono da sfatare.
Il consumo di alcol è causa di oltre 60 tipi diversi di principali condizioni patologiche (oramai se ne contano circa 200) e di danni alla salute, tra cui lesioni personali, incidenti, disordini psichici e comportamentali, patologie gastrointestinali, malattie cardiovascolari, immunologiche, dell’apparato scheletrico, infertilità, problemi prenatali e tumori. Dalla fine degli anni ’80, la letteratura internazionale è concorde nel sostenere le potenzialità cancerogene del consumo di alcol o etanolo. Questa evidenza è stata rafforzata recentemente dalle più importanti organizzazioni internazionali sulla salute tra cui l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (International Agency for Research on Cancer - Iarc) e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Già nel 1988, nella Monografia n. 44 “Alcohol drinking” (International Agency for Research on Cancer, 1988) (poi aggiornata nel 1998) la Iarc riportava una serie di valutazioni sul rischio cancerogenico delle bevande alcoliche nel modello animale e nell’uomo. La revisione sistematica della letteratura scientifica che ha esaminato tutti gli studi epidemiologici disponibili ha dimostrato, anno dopo anno, che il consumo di alcolici può aumentare significativamente il rischio di sviluppare il cancro, in particolare a livello della cavità orale, faringe, laringe, esofago e fegato. Il consumo di alcol e si badi bene non solo il consumo rischioso, aumenta il rischio di incorrere in questi problemi in misura proporzionale alla dose ingerita, senza alcun “effetto soglia” apparente. Un consumo di modeste quantità di alcol (10 grammi/die, in pratica meno di un bicchiere in Italia di qualunque bevanda alcolica) riduce il rischio di malattie cardiache, del diabete di tipo 2 e di poche altre condizioni ma, contemporaneamente, le stesse modeste quantità incrementano il rischio di numerose malattie e di tumori benigni e maligni.
Nell’analisi dei rischi associati al consumo di bevande alcoliche, è necessario considerare, alcuni fattori rilevanti quali la dieta abituale, consumi associati, fattori culturali e socioeconomici. E’ dimostrato che la persona che consuma moderatamente ha sempre un livello culturale medio più elevato, classe socio-economica alta, stato di salute migliore e una cura della salute maggiore rispetto al bevitore di superalcolici e a chi non beve. La dieta non è ininfluente rispetto al consumo e alla scelta della bevanda ed è noto, ad esempio, che chi beve vino ha abitudini alimentari più sane dei bevitori di altre bevande alcoliche così come un migliore livello di attività fisica e assume alimenti ricchi in antiossidanti il cui effetto è difficile disaggregare rispetto a quello dell’alcol.
In estrema sintesi si può ragionevolmente ritenere che chi beva con moderazione presenta un rischio minore in funzione di tutta una serie di fattori connessi a uno stile di vita più sano rispetto a chi consuma più alcol. Un maggiore grado d’istruzione/consapevolezza, una maggiore disponibilità economica accompagnata da una maggiore cura di se stessi, il consumo ai pasti caratterizzati da una dieta mediterranea ricca di olio di oliva, frutta e verdura, che il consumatore di vino consuma maggiormente sia rispetto ai non bevitori, sia ai bevitori di altre bevande alcoliche, svolge quel ruolo protettivo nei consumatori di vino che spesso viene, erroneamente attribuito ai polifenoli presenti nel vino in bassissima concentrazione, 1,5 mg/lt, lì dove ce ne vorrebbero 150 , cioè circa 100 bicchieri al giorno, per ottenere un effetto antiossidante. Discutibile, pertanto, la presunta vantaggiosità d’uso di una bevanda rispetto a un'altra non essendo mai stato dimostrato in vivo, ma solo su cellule o animali da laboratorio, l’effetto del resveratrol; mai dimostrata o identificata la quantità di resveratrol capace di determinare l’effetto di riduzione del rischio; implausibili biologicamente gran parte delle supposte evidenze la cui scientificità è risultata, peraltro, minata dalla denuncia di falsificazione provata di decine di articoli scientifici di Dipak Das, “padre” (licenziato dall’Università del Connecticut) della tesi del resveratrol come molecola top della prevenzione, molecola la cui biodisponibilità è stata dimostrata essere irrilevante se veicolata attraverso l’alcol e di cui comunque non neutralizza l’effetto cancerogeno.
Nel 2012 la Iarc ha riesaminato tutti gli agenti già classificati come cancerogeni accertati per l’uomo riconfermando tra questi l’alcol (monografia Iarc 100-E, 2012). È stata confermata l’associazione tra il consumo di bevande alcoliche e tumori di cavità orale, faringe, laringe, esofago, colon retto, pancreas, fegato (carcinoma epatocellulare) e soprattutto del seno. È stata rilevata l’assenza di cancerogenicità per il tumore del rene e per il linfoma non-Hodgkin. La monografia Iarc 100-E ha ribadito l’alcol presente nelle bevande alcoliche come cancerogeno accertato per l’uomo in base alla sufficiente evidenza di cancerogenicità negli animali di laboratorio. Anche l’acetaldeide, prodotto dalla degradazione fisiologica dell’alcol assunto tramite il consumo di bevande alcoliche, è stata riconfermata come cancerogeno accertato in base alla sufficiente evidenza di cancerogenicità sia nell’uomo che negli animali di laboratorio.
Si può, dunque affermare che in considerazione del metabolismo dell’alcol ingerito e della sua conversione ad acetaldeide, sia l’alcol, sia l’acetaldeide sono entrambi cancerogeni per l’essere umano e responsabili di un rischio sostanzialmente aumentato di sviluppare tumori in particolare a carico dell’esofago e delle vie aero-digestive superiori.
La sensibilità e vulnerabilità all’alcol come cancerogeno è maggiore nel sesso femminile. Le caratteristiche fisiologiche femminili (ad esempio la diversa costituzione fisica, diverso patrimonio e assetto enzimatico, diversa capacità di diluizione e metabolizzazione) aumentano la suscettibilità della donna agli effetti negativi dell’alcol a tutte le età. Nella donna il danno organico è più grave e consegue a meno anni di esposizione al bere a rischio. Questa variabilità potrebbe essere anche alla base di alcune evidenze discordanti riguardanti gli effetti di moderate quantità di alcol sulla mortalità generale e per causa, oggi oggetto di discussione.
È sempre da puntualizzare che, da un punto di vista metodologico, non vi potrà mai essere una modalità di studio adeguata a dare una risposta definitiva sugli effetti protettivi o nocivi di quantità moderate di alcol poiché sarebbe necessario ricorrere a uno studio caso-controllo e alla misurazione diretta dei consumi alcolici (in tutti gli studi sempre auto-dichiarati), alla registrazione puntuale nel corso degli anni degli stessi e alla valutazione, nel lungo periodo, delle variabili di esito. Ciò equivale a dire che, per tutte le condizioni per le quali siano rigorosamente riportate le evidenze del rischio connesso al consumo di alcol, ma non sia stato raggiunto un consenso suffragato dalla conferma della comunità scientifica, è opportuno, in una prospettiva di salute pubblica, applicare il principio di cautela o di precauzione e segnalare il possibile rischio incrementato di insorgenza di tumore.
In tutte le più recenti indicazioni per la prevenzione, prevalentemente di valenza governativa oltre che scientifica, si rileva che l’obiettivo della prevenzione a livello di popolazione, in linea con le Raccomandazioni dell’Oms, si consegue attraverso la riduzione dei consumi medi pro capite sostenuta dalla riduzione dei consumi individuali, tale da riportare e contenere sempre nei limiti giornalieri massimi consentiti di 10-12 grammi (1 bicchiere) per le donne e 20-24 (2 bicchieri) per gli uomini adulti, evidenziando che il consumo di qualunque bevanda alcolica è sempre un comportamento a rischio per la salute, in quanto l’alcol è una sostanza tossica e cancerogena i cui effetti non riguardano solo chi eccede o gli alcolisti, ma anche i cosiddetti bevitori sociali. Un’estrema cautela, concludono le indicazioni complessive, è pertanto da adottare nella comunicazione del rischio alla popolazione avendo cura di non generalizzare messaggi non idonei alla popolazione giovanile, per la quale non si registrano mai vantaggi di salute derivanti dal consumo di alcol e di sottolineare le importanti differenze di rischio attribuibile alle quantità di alcol consumate in funzione delle differenze di genere e di età che non consentono di poter proporre il bere moderato come un vantaggio per la salute e la sicurezza della persona.
Anche la Corte di Giustizia Europea, in risposta ad una causa intentata da una cantina cooperativa vitivinicola tedesca, ha sancito che non è plausibile far riferimento a proprietà salutistiche per i prodotti alcolici. La legge ha sanzionato nello specifico una frase in etichetta che menzionava di un vino “Edizione leggera, acidità lieve, facilmente digeribile” che secondo i giudici “lascia intendere che il vino sia assorbito e digerito bene e sottintende che il sistema digerente non ne soffra o ne soffra poco, anche in seguito a più consumi”. Naturalmente birra, aperitivi, amari e superalcolici non fanno la differenza anzi, lascio a chi legge le considerazioni sulla liceità dei tanti messaggi che in autoregolamentazione ogni giorno passano incontrastati direttamente o indirettamente sui media.
È da segnalare che, in Italia, la Società Italiana di Alcologia (Sia) ha acquisito nel 2012 le evidenze scientifiche correnti supportando nelle sedi competenti la necessità di adeguamento delle linee guida per una sana alimentazione anche alla luce delle attività della Commissione Etanolo che ha completato e prodotto la revisione da integrare a quella dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di energia e Nutrienti per la popolazione italiana) specificatamente dedicati all’alcol non come nutriente ma come molecola di interesse nutrizionale. Le raccomandazioni nutrizionali nazionali, parzialmente anticipate nel 2013, vedranno la formalizzazione nel corso del 2014 sottolineando che non esiste un “livello di sicurezza” e che le quantità giornaliere a basso rischio devono allinearsi alle evidenze di un livello massimo da non superare (e quindi neppure raccomandabile) di 20 g/die per il maschio e 10 g/die per la femmina adulti. Questa posizione è oggi ampiamente condivisa negli ambiti di salute pubblica e viene espressa anche attraverso numerosi contributi della ricerca e delle organizzazioni internazionali che sottolineano che l’atteggiamento più adeguato, dalle strategie nazionali ai singoli professionisti della salute, dovrebbe essere quello di non indicare dosaggi di consumo alcolico privi di rischio sulla base dell’evidenza di una relazione dose-risposta tra alcol e cancro in cui è impossibile definire un livello soglia di sicurezza.
È stato anche osservato, e oggi anche maggiormente considerato da numerosi rilievi di carattere governativo europei e internazionali, che non garantire la disseminazione delle evidenze scientifiche sinora citate esporrebbe al rischio di conseguenze anche legali alla luce dell’esigenza di garantire sempre al consumatore “informed choices”, scelte informate che, in Italia, anche alla luce dell’attuale Codice del consumo, non sarebbero ininfluenti rispetto all’esigenza di garantire sempre e comunque un’informazione non ingannevole o pregiudiziale per lo stato di salute.
Volendo sintetizzare quanto sinora esposto in una valutazione che miri a considerare le implicazioni sociali e di salute pubblica relative all’impatto alcol correlato nella popolazione si può riassumere che sulla base dell’evidenza scientifica è ampiamente documentata una relazione certa di tipo dose/risposta tra alcol e numerosi tipi di cancro, verificabile a partire da quantità minime e per la quale non è possibile stabilire o definire con certezza un livello soglia di sicurezza.
Il messaggio finale è pertanto quello ispirato al buon senso e sostenuto dalle evidenze scientifiche: non è possibile indicare livelli di consumo alcolico privi di rischio o da raccomandare a livello di popolazione e appare opportuno avviare iniziative di comunicazione, informazione e sensibilizzazione volte a garantire scelte informate da parte di chi consuma bevande alcoliche integrando tali attività con iniziative d’identificazione precoce e intervento breve volto a incrementare i livelli di consapevolezza individuali e a supportare le persone in un cambiamento auspicabilmente rivolto all’adozione di stili e modelli di consumo non rischiosi o dannosi per l’individuo e per la collettività che non dovrebbe mai essere chiamata a pagare costi evitabili e che oggi, per l’alcol, l’OMS stima in circa 22 miliardi l’anno. Questo è motivo di riflessione in merito alle opportunità di diffusione di una corretta comunicazione sui rischi che comporta anche la moderazione e sull’impatto individuale delle scelte personali. È inoltre motivo di riflessione sulla necessità, da parte dei media, di garantire un’informazione completa e oggettiva adeguatamente equilibrata nel salvaguardare da un lato gli interessi commerciali non dimenticando che la tutela della salute è un diritto costituzionale inalienabile e prevalente.
Emanuele Scafato