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Oncologia
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 16-10-2024

Tumore ovarico: cosa fare in caso di familiarità?



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I test genetici per le mutazioni dei geni BRCA aiutano a ridurre il rischio di tumori ovarici (e mammari), consentendo di adottare strategie preventive e intervenire tempestivamente

Tumore ovarico: cosa fare in caso di familiarità?

I casi di cronaca non sono semplice gossip, ma possono e dovrebbero diventare spunti di riflessione. Bianca Balti è una modella di quarant’anni, nota appunto per la sua bellezza e la sua professione. La sua è la storia di una giovane donna che si è sottoposta volontariamente a una mastectomia bilaterale preventiva, a seguito del risultato positivo a un test genetico. Purtroppo ora alla modella è stato diagnosticato un tumore ovarico al terzo stadio. 

 

I PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO

La mutazione in questione riguarda il gene BRCA1 che, insieme al BRCA2, costituisce il più frequente fattore di rischio oggi conosciuto per la predisposizione ad alcuni tumori, in primis quello delle ovaie e delle mammelle. 

«Il carcinoma ovarico è un tumore relativamente raro» spiega la professoressa Nicoletta Colombo, direttrice del Programma di Oncologia Ginecologica presso l'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e docente di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università Milano Bicocca. «Però è un tumore ad elevata mortalità e che colpisce, in prevalenza, le donne intorno ai 65 anni. La sua incidenza sta aumentando lievemente nei paesi occidentali, soprattutto per l’aumento dell’aspettativa di vita. In Italia le donne con una diagnosi di cancro alle ovaie sono quasi 6.000. Nel 2022 (dati più recenti disponibili) sono state stimate circa 6.000 nuove diagnosi e 3.600 decessi. In pratica, una donna su 82 rischia, nel corso della propria esistenza, di ammalarsi di tumore ovarico»

Oltre all’età avanzata esiste però un fattore di rischio ancora più determinante, ossia la presenza di una familiarità che si esprime attraverso mutazioni genetiche.  «Il cancro alle ovaie - prosegue Colombo - è ereditario nel 15-20% delle pazienti e le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 sono quelle più frequenti (70-90% dei casi). In particolare, la mutazione BRCA1 determina una predisposizione che può arrivare intorno al 50% e la mutazione BRCA2 aumenta il rischio del 20-25%, rispetto a quello delle donne prive di mutazione. Per quanto riguarda invece il tumore alla mammella, il rischio è simile per entrambe le mutazioni». 

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A CHI SERVE UN TEST GENETICO?

È  importante dunque conoscere la propria predisposizione personale perché ciò costituisce una grande opportunità per limitare i rischi e intervenire per tempo. Ma, ricorda Nicoletta Colombo: «Questo non significa affatto che tutte le donne debbano indiscriminatamente sottoporsi a un test genetico. Prima di tutto, bisogna sottolineare che si tratta di una decisione che va discussa e analizzata con il genetista e lo specialista ginecologo-oncologo per:

  • donne sane che abbiano almeno due (o più) casi di parenti di primo grado (mamma o sorella) a cui è stato riscontrato un tumore all’ovaio o alla mammella, soprattutto se in giovane età, cioè sotto i quarant’anni. 
  • donne con diagnosi di tumore dell’ovaio: da anni in Italia è stato stabilito che il test venga effettuato a tutte le donne malate di carcinoma ovarico e quindi, in caso di presenza di mutazione, proposto a tutta la famiglia di appartenenza».
 

A CHE COSA SERVE UN TEST BRCA?

Lo scopo è duplice: «Per la paziente conoscere la mutazione genetica aiuta a finalizzare meglio le terapie più efficaci e per le figlie è di aiuto alla prevenzione. Per una ragazza essere a conoscenza della positività a un test genetico può salvare la vita perché si tratta di un tumore praticamente asintomatico e che, per questo motivo, viene spesso scoperto per caso e in fase avanzata. Inoltre, permette alle giovani donne di fare scelte di vita, anche attraverso la pianificazione del desiderio di diventare mamme o la possibilità della crioconservazione degli ovociti». 

 

COME FARE PREVENZIONE? 

Le figlie di una donna malata, previa consulenza con genetista e ginecologo-oncologo, possono eseguire un test (analisi del sangue per la ricerca delle mutazioni BRCA) a partire dai vent’anni, spiega la professoressa Colombo. E se l’esito è positivo? «Di fronte alla positività si eseguono regolari controlli che sono in genere: ogni sei mesi ecografia transvaginale, esame del sangue per cercare il marcatore CA125, ecografia bilaterale al seno ed eventuale risonanza magnetica. Sarà poi ovviamente lo specialista a indicare il percorso che può prevedere anche l’assunzione della pillola contraccettiva, utile a diminuire il rischio di tumore alle ovaie». 

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IL RUOLO DELLA CHIRURGIA PROFILATTICA

«La prevenzione sostanziale - prosegue Nicoletta Colombo - passa poi di fatto attraverso l’intervento di asportazione delle ovaie e anche delle tube perché spesso il cancro ovarico origina proprio dalle tube. L’operazione è in sé piuttosto semplice, mini invasiva e viene eseguita in laparoscopia. La parte più delicata è però ciò che comporta, ossia una menopausa anticipata. Esiste comunque la possibilità di prescrivere la terapia ormonale sostitutiva, utile per tenere a bada i sintomi della menopausa in generale e, soprattutto, se indotta precocemente. Ovviamente,  anche in questo caso, bisogna valutare in maniera attenta tutti i pro e contro, anche se la terapia ormonale sostitutiva è stata forse troppo a lungo stigmatizzata, sia nell’opinione pubblica che dalla comunità scientifica». 

 

QUANDO ASPORTARE LE OVAIE?

L’opportunità e le tempistiche per la rimozione profilattica delle ovaie è ovviamente discussa caso per caso insieme ai medici curanti. In generale, ricorda Nicoletta Colombo «l’intervento viene proposto per la positività al BRCA1 a partire dai 35-40 anni e per il BRCA2 intorno ai 45 anni perché, generalmente, il BRCA1 è responsabile di tumori più giovanili rispetto a quanto accada per la mutazione dell’altro gene. Durante l’esecuzione dell’intervento capita, seppur raramente (2-4% dei casi), di incappare in minuscoli tumori ovarici non ancora visibili a livello ecografico e pensando a quanto questo tumore possa essere aggressivo, ci dà l’idea di quanto insidioso possa essere. Detto ciò è importante sottolineare che la conoscenza del rischio costituisce  un’opportunità e un test positivo non significa assolutamente la certezza della malattia. Una donna con una mutazione BRCA non è malata, ma consapevole di una predisposizione che può essere gestita».

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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