La crioconservazione degli ovociti è una valida opportunità per preservare la fertilità per ragioni mediche o sociali. Chi può accedere a questa pratica? Funziona ed è sicura per mamma e feto?
In caso di malattie, trattamenti medici che potrebbero compromettere la fertilità o naturale impoverimento della riserva ovarica, crioconservare gli ovociti, ovvero congelarli per preservare la propria fertilità rappresenta un’opzione concreta e percorribile per le donne. Per capire come funziona la crioconservazione degli ovociti, chi può accedere a questa pratica, vantaggi ed eventuali rischi, abbiamo parlato con la professoressa Eleonora Porcu, specialista in ostetricia e ginecologia, professore all’Alma Mater Università di Bologna.
QUANTI FIGLI DI OVOCITI CONGELATI?
Solo in Italia sono milioni le coppie che non riescono a diventare genitori a causa di patologie, dell’esaurimento della riserva ovarica per l’avanzare dell’età o per trattamenti medici come chemioterapie o radioterapie. In queste situazioni, la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), regolamentata dalla legge 40 del 2004, può dare una grossa mano. Nel mondo si stima che esistano già oltre dieci milioni di bambini e bambine nati grazie alla medicina riproduttiva e per quanto riguarda l’Italia, nel 2018, i bambini figli della PMA sono stati 14.000 ovvero il 3,2% di tutti i nati quell’anno nel nostro Paese. L’impatto della pandemia si è fatto sentire anche in questo campo: le nascite con PMA nel 2020, anno per cui sono disponibili i dati più aggiornati, sono state 11.305, di cui 3.624 nati da ovociti scongelati a partire dal 2005.
PERCHÉ CRIOCONSERVARE GLI OVOCITI?
In che modo crioconservare gli ovociti più aiutare la donna a preservare ed estendere la propria fertilità?
«Gli ovociti possono essere congelati a seguito di un percorso di fecondazione assistita – spiega la professoressa Porcu –, nel caso in cui ve ne siano alcuni sovrannumerari». Ovvero quando con la stimolazione ormonale si sono ottenuti più ovociti di quelli utili per la procedura di fecondazione assistita che la coppia sta affrontando: gli ovociti così ottenuti potranno essere poi utilizzati per eventuali tentativi successivi. «Dopodiché – prosegue Eleonora Porcu - ci sono situazioni medico-sanitarie che possono compromettere la fertilità come familiarità per menopausa precoce, endometriosi o trattamenti chemioterapici o radioterapici adottati per sconfiggere un tumore che possono indebolire la riserva ovarica. In questo caso è consigliata la crioconservazione di ovociti, anche in età molto giovane, in modo tale che la donna, se e quando ne avrà il desiderio, potrà ricorrere alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita con la certezza di avere a disposizione ovuli, e soprattutto che siano ovuli giovani».
PERCHÈ È IMPORTANTE L'ETÀ DEGLI OVOCITI
Con i gameti di una giovane donna, spiega la professoressa Porcu «Le possibilità di successo della gravidanza saranno maggiori, e minore sarà il rischio di malformazioni fetali che, purtroppo, aumentano all’aumentare dell’età della donna, e di conseguenza degli ovuli. Non dimentichiamo che la fertilità femminile raggiunge il suo massimo tra i 20 e i 30 anni, per poi declinare in modo rapido dopo i 32, e ancora dopo i 37 anni, arrivando a essere quasi vicina allo zero negli anni che precedono la menopausa».
IL SOCIAL FREEZING
Le donne, anche per motivi non strettamente sanitari possono ricorrere all' autoconservazione degli ovociti, pratica comunemente conosciuta come social freezing. In questo caso le donne possono vivere una nuova libertà: crioconservando i propri gameti possono preservare in modo programmato la propria capacità riproduttiva, ampliando la finestra temporale in cui è possibile avere una gravidanza, in vista di un progetto esistenziale che, per vari motivi come carriera, assenza di un partner o scelte personali, non è ancora realizzabile. A tal proposito, il Comitato Etico di Fondazione Veronesi si è espresso in un documento che riporta alcune considerazioni etiche sulla crioconservazione degli ovociti e sulla possibilità di posticipare la maternità.
COME RACCOGLIERE E CONSERVARE GLI OVOCITI?
La nostra specie, si sa, è mono ovulatoria il che significa che le donne producono un ovulo al mese. Solo qualche volta, eccezionalmente, possono esserne prodotti due o tre che, se fecondati, portano a gravidanze bi-gemellari o tri-gemellari. Per le tecniche di procreazione medicalmente assistita, avere un solo ovulo al mese rappresentava una grande limitazione, vista l’elevata possibilità di insuccesso. Per questo motivo si è cercato di stimolare farmacologicamente la crescita di più ovuli, successivamente recuperati e usati freschi per la fecondazione in vitro, o crioconservati ed eventualmente utilizzati in futuro. Ma come si procede per la produzione, raccolta e crioconservazione degli ovociti?
«Gli ovociti vengono prelevati con una sonda transvaginale dopo il ricorso a cicli di stimolazione ovarica, con farmaci a base di ormoni, per essere poi conservati, o per meglio dire “crioconservati” a temperature molto basse – prosegue la professoressa Porcu – precisamente a -196°, in azoto liquido in apposite biobanche, mantenendoli inalterati nel tempo per anni o addirittura decenni. Successivamente, tramite la fecondazione in vitro, questi ovociti possono essere inseminati con un gamete maschile, – uno spermatozoo fresco o crioconservato, da partner o donatore – per ottenere un embrione da impiantare nell’utero materno. Una donna può così concepire un proprio figlio biologico anche dopo essere diventata infertile o ipofertile. La tecnica di inseminazione artificiale più comunemente utilizzata è la ICSI, (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo) che prevede l'inseminazione di un ovocita tramite la micro-iniezione di un singolo spermatozoo direttamente al suo interno. Questa tecnica, specialmente con ovociti crioconservati che hanno l’involucro esterno più difficilmente penetrabile, ha sostituito la classica fecondazione in vitro con trasferimento di embrioni (FIVET) con la quale gli ovuli vengono messi in contatto con gli spermatozoi in coltura, per far avvenire la fecondazione».
DA CHE COSA DIPENDE IL SUCCESSO?
I principali fattori coinvolti nel successo della crionconservazione sono legati agli ovociti, che devono essere conservati il giorno stesso del prelievo, entro le otto ore, e alla tecnica di congelamento.
«Gli ovociti della donna – spiega la professoressa Porcu –, rispetto agli spermatozoi e agli embrioni, il cui congelamento è molto più semplice, sono tra le cellule umane più grandi e ricche di acqua. Per questo motivo la probabilità di formazione di ghiaccio intracellulare che ne riduce il tasso di sopravvivenza è molto elevata. Per ridurre questo rischio è importante usare un crioprotettore che riduca il quantitativo di acqua come ad esempio propandiolo, dimetilsolfossido o saccarosio».
Anche il metodo di congelamento influenza la buona riuscita della vitalità del gamete e il successo della fecondazione.
«Grazie allo sviluppo della “vitrificazione” – prosegue Eleonora Porcu –, una tecnica ultrarapida di congelamento che limita o addirittura impedisce la formazione dei cristalli di ghiaccio all’interno della cellula, è migliorata significativamente l’efficacia e il successo delle tecniche di PMA con ovociti ed embrioni criopreservati. Perfezionata nel 2015, la vitrificazione permette di minimizzare i danni a livello cellulare del congelamento determinando l’ingresso della cellula in uno stato vetroso con contenuto viscoso senza cristalli di ghiaccio al suo interno, con maggiore probabilità di concepire e procreare dopo la devitrificazione».
LA QUALITÀ DEGLI OVOCITI
Non dimentichiamo la qualità ovocitaria, fondamentale per garantire la sopravvivenza dei gameti dopo lo scongelamento e maggior probabilità di successo di fecondazione e gravidanza. Ma quando un ovocita si può definire di buona qualità?
«La qualità dell’ovocita è valutata dall’aspetto del citoplasma, dallo strato di membrana vitellina e dal globulo polare. Il citoplasma dovrebbe essere omogeneo, senza granuli. La presenza dei vacuoli, il colore scuro, la deformazione sono considerati segni di scarsa qualità cellulare. Da non sottovalutare assolutamente l’età della donna: per non aumentare troppo il rischio di andare incontro ad anomalie malformative e genetiche del feto come trisomia la 21, responsabile per circa il 95% dei casi di sindrome di Down, gli ovociti andrebbero crioconservati non dopo i 35 anni. Ci sono casi in cui sarebbe meglio intervenire prima, ad esempio quando si dovesse riscontrare tramite la conta dei follicoli e il dosaggio degli ormoni AMH (ormone antimulleriano) e FSH (ormone follicolostimolante), una ridotta riserva ovarica, e naturalmente in caso di diagnosi tumorali in giovane età».
I POSSIBILI RISCHI
La crioconservazione degli ovociti rappresenta indubbiamente una grande opportunità per chi abbia ricevuto una diagnosi, tumorale o non, e per chi voglia semplicemente esprimere una scelta per quanto riguarda il proprio futuro riproduttivo. Quali sono i possibili rischi o controindicazioni per le donne? .
«Il rischio fondamentale è quello legato alla stimolazione ormonale effettuata farmacologicamente per far sì che gli ovociti crescano in numero superiore a uno per avere maggiore possibilità di sopravvivenza» precisa la professoressa Eleonora Porcu. «Alle volte, infatti, si può andare incontro alla sindrome da iperstimolazione ovarica, complicanza più rilevante della stimolazione ormonale; seppur poco frequente, è più facile che si verifichi nelle donne giovani e affette da ovaio policistico. Questa sindrome ha effetti collaterali lievi o moderati nel 3-6% dei casi, mentre può avere effetti collaterali più gravi nell’ 1-3% dei casi. Come si è detto, per ottenere la maturazione contemporanea di più follicoli ovarici, al fine di disporre di più ovociti utili ad essere fecondati, occorre sottoporsi a più cicli di stimolazione ovarica e le ovaie in alcuni casi rispondono esageratamente alla terapia determinando un eccessivo aumento di volume, sviluppo di cisti e formazione di liquido all’interno della cavità addominale. Le complicanze coagulative e renali, ovvero rischio di tromboembolia e rischio di blocchi renali sono casi più gravi, molto rari, ma comunque possibili».
IMPORTANTE AVERE ASPETTATIVE REALISTICHE
Un altro aspetto da non sottovalutare è il fatto che criopreservare i propri ovociti non offre la certezza di riuscire a concepire e procreare un figlio, ma solo una ragionevole probabilità che questo accada. Garanzie, purtroppo, non possono essercene. Le donne potrebbero lasciarsi cullare da un “falso senso di sicurezza” rispetto alla possibilità di concepire in ogni caso, ma il successo procreativo della Criopreservazione degli ovociti (CPO) dipende da più fattori, tra cui il momento in cui sono stati criopreservati gli ovociti, il loro numero e l’età della donna. Secondo i dati attuali con 24 ovociti si ha un “cumulative live birth rate” (o CLBR, un indice del successo totale di procreazione) di oltre il 90%, e dell’85.2% per 10-15 ovociti utilizzati – se questi sono stati prelevati e conservati prima dei 35 anni di età. La conservazione di 10 ovociti offre una probabilità di una nascita per ogni ovocita del 60.5% per le donne sotto i 35 anni, ma di solo il 29.7% per quelle oltre i 35 anni. Può dunque accadere che, nonostante la disponibilità di un certo numero di ovociti conservati, questi non siano comunque sufficienti a portare a termine una gravidanza.
L'INFORMAZIONE È FONDAMENTALE
Esiste dunque il rischio che chi sceglie la CPO non abbia compreso in modo corretto i profili di efficacia di queste tecniche e di sovrastimarne l’efficacia, come per altro confermato da alcuni studi. Per questo motivo il personale sanitario deve comunicare in modo dettagliato e preciso tutti i potenziali rischi di questa procedura per la salute della donna, i dati relativi all’efficacia e al successo rispetto alla condizione ed età della donna; i maggiori rischi per la salute della donna e dei nascituri legati a una maternità in età più avanzata; i costi complessivi della procedura se al di fuori di indicazioni mediche; le possibili alternative che esistono per la genitorialità; la mancanza di studi che riportino gli effetti di queste tecniche sul medio e lungo periodo. Tutto ciò significa favorire un’adeguata comprensione permettendo alla persona di avere il tempo di valutare le proprie scelte, la possibilità di porre domande e chiarire eventuali dubbi e, se utile, di accedere a dei percorsi di counselling.
COSA SAPPIAMO DELLA SALUTE DEI NATI DA OVOCITI CONGELATI?
Se si decide di posticipare la maternità per motivi medici o personali, crioconservando i propri ovociti quando sono ancora giovani, è possibile ridurre o eliminare il rischio aggiuntivo di anomalie cromosomiche e genetiche che deriva dal concepire in età avanzata. Secondo gli studi, infatti, l’incidenza delle anomalie cromosomiche e genetiche dipende più dall’età dell’ovocita che dall’età della donna. Secondo diversi studi, gli embrioni ottenuti da ovociti criopreservati tramite vitrificazione sono comparabili per percentuale di fertilizzazione, impianto e gravidanze portate a termine rispetto a quelli ottenuti da donatrici sane dopo superovulazione ormonale. E non solo: i bambini nati tramite CPO non presentano percentuali di anomalie congenite superiori a quelli di altri bambini nati tramite altre tecniche di PMA. Per quanto riguarda la salute dei bambini sul lungo periodo, tuttavia, sono necessari ulteriori studi. «Nonostante questi incoraggianti dati sulla salute del feto nato da ovociti crioconservati in giovane età – precisa la professoressa Porcu –, non dobbiamo sottovalutare i rischi per la donna legati a un reimpianto dell’embrione in età avanzata».
PENSARE ALLA SALUTE DELLA DONNA
In Italia, l’accesso alla PMA è regolato su base regionale, con differenze notevoli rispetto all’età massima consentita. Ad esempio, in Umbria il limite massimo è fissato a 42 anni, mentre in Veneto il limite massimo è di 50 anni. Le altre regioni si collocano tra questi due estremi, con l’eccezione della Lombardia che non stabilisce un limite massimo di età per la PMA omologa, dove i gameti appartengono alla coppia che si sottopone al trattamento.
«La gravidanza in età avanzata non è mai una passeggiata – conclude Eleonora Porcu –, soprattutto a partire dai quarant'anni. La gravidanza è una condizione fisiologica fino a un certo punto, ma può tramutarsi in patologica in ogni momento, anche nelle donne giovani, perché la gravidanza è intrinsecamente imprevedibile. Non dimentichiamo che oltre alla salute del bambino, va tutelata anche la salute della madre.
LA STORIA DELLA CRIOCONSERVAZIONE
Dopo la nascita di Louise Joy Brown, la prima persona al mondo nata con la fecondazione artificiale nel 1978, la medicina riproduttiva e le tecniche di PMA hanno compiuto progressi notevoli, anche nel campo della crioconservazione ovocitaria. Non dimentichiamo, però, che le prime sperimentazioni risalgono a ben prima degli anni ‘70: per conoscere la storia della crioconservazione degli ovociti dobbiamo tornare alla seconda metà del 1700, quando Lazzaro Spallanzani, considerato il padre scientifico della fecondazione artificiale, ha iniziato a condurre le prime sperimentazioni sul congelamento degli spermatozoi usando la neve, spianando così la strada alla preservazione ed espansione della propria autonomia riproduttiva per uomini e soprattutto donne, la cui finestra riproduttiva è ben più limitata.
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Fonti
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile