Uno studio italiano ha dimostrato che la chemioterapia neoadiuvante aumenta notevolmente la sopravvivenza dei pazienti operati
Prima la chirurgia, quando possibile. Poi la chemioterapia, per ridurre le probabilità di far riformare la malattia. È questo l’approccio considerato più efficace contro il tumore del pancreas, che rimane ancora uno dei più aggressivi. Una volta scoperto, soltanto un caso su cinque risulta operabile. E comunque la sopravvivenza a cinque anni non va oltre l’otto per cento. Facile dunque capire perché, alla luce anche dell’aumento dei casi registrato negli ultimi anni, questa malattia rappresenti una delle sfide più importanti per gli oncologi e i chirurghi, chiamati a dare una speranza alle quasi quattordicimila persone che s’ammalano ogni anno. Ripresa in considerazione l'opportunità di ricorrere alla radioterapia, l’ultima ipotesi posta al vaglio dagli oncologi porta a considerare l'inversione delle opzioni terapeutiche: ovvero sottoporre i pazienti alla chemioterapia preoperatoria (neoadiuvante). Una strategia che, stando alle conclusioni di uno studio tutto italiano pubblicato sulla rivista The Lancet Gastroenterology & Hepatology, potrebbe aumentare in maniera significativa la sopravvivenza di coloro che s’ammalano di tumore del pancreas.
SOPRAVVIVENZA A CINQUE ANNI QUASI PER UN PAZIENTE SU DUE
Il pool di ricerca, coordinato dagli specialisti del San Raffaele di Milano, ha preso in esame 88 pazienti, dividendoli in tre gruppi. Le persone afferenti al primo e al secondo gruppo sono state operate subito per rimuovere il tumore e successivamente sottoposte a sei cicli di chemioterapia: il primo gruppo con un unico farmaco (l’attuale terapia standard), il secondo con un cocktail di quattro molecole. Gli individui appartenenti al terzo gruppo, invece, sono stati sottoposti prima dell’intervento a tre cicli di chemioterapia neoadiuvante, con lo stesso mix di farmaci del secondo gruppo. A seguire sono stati operati e hanno completato il trattamento con altri tre cicli di chemioterapia. In quest’ultimo gruppo la sopravvivenza a cinque anni è risultata notevolmente maggiore: il doppio rispetto al secondo e addirittura il quadruplo rispetto al primo. Risultati che hanno spinto Michele Reni, responsabile dell’unità di oncologia medica del San Raffaele e primo autore dell’articolo, ad affermare che «questo studio è l’avvio di una vera e propria rivoluzione nel trattamento del tumore del pancreas operabile».
Tumore del pancreas: attenzione se il diabete di tipo 2 peggiora
CHEMIOTERAPIA UNICA ARMA CONTRO LE METASTASI
L’elevata aggressività del tumore del pancreas - il diabete di tipo 2 rappresenta un fattore di rischio assolutamente da non trascurare - dipende dal fatto che spesso il tumore presenta metastasi già al momento della diagnosi. Nei pazienti ritenuti operabili, il trattamento standard finora era rappresentato dalla chirurgia seguita dalla chemioterapia. Ma «sebbene la chirurgia sia un’arma molto efficace», per dirla con Gianpaolo Balzano, responsabile dell’unità di chirurgia pancreatica del San Raffaele, «la guarigione può essere compromessa dalla presenza di metastasi troppo piccole per essere evidenziate». L’unico trattamento efficace per combatterle è la chemioterapia. «Ma quando si applica il trattamento standard e si opera il paziente, l’inizio delle cure viene posticipato per consentire al malato di riprendersi dall’intervento - prosegue lo specialista -. Senza trascurare che molti pazienti non possono cominciarla affatto per possibili complicanze o difficoltà nella ripresa postoperatoria».
I CORRETTI STILI DI VITA DA ADOTTARE
PER PREVENIRE I TUMORI
UN «SANDWICH» ALIMENTA LA SPERANZA
Da qui l’idea creare un «sandwich»: chemioterapia (neoadiuvante), chirurgia e chemioterapia (adiuvante). «Potremmo essere di fronte a una piccola svolta - chiosa Reni -. I dati ottenuti sono importanti. Nei pazienti trattati prima dell’intervento con il cocktail di farmaci abbiamo osservato una sopravvivenza a cinque anni del 49 per cento. Mentre nel gruppo che aveva ricevuto lo stesso cocktail chemioterapico dopo l’intervento il dato s’è fermato al 24 per cento e al 13 per cento nei pazienti che avevano ricevuto il trattamento standard».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).