Un diabete in rapida progressione potrebbe essere una «spia» precoce della comparsa del tumore del pancreas. Ecco in quali casi occorre approfondire le indagini
L’incidenza non è altissima, sebbene in crescita: 13.500 le nuove diagnosi effettuate nel 2016. La mortalità ancora troppo alta. Il tumore del pancreas non è troppo diffuso, ma ha una prognosi quasi sempre infausta. L’alta aggressività viaggia a braccetto con l’impossibilità di compiere una diagnosi precoce, poiché non esistono marcatori per la malattia. Dal momento che diverse stime lasciano intendere che a partire dal 2030 possa diventare il tumore con la seconda più alta mortalità (dopo quello al polmone) e che l’unica forma di prevenzione (aspecifica) riguarda la dieta e l’adesione a corretti stili di vita, la comunità scientifica è al lavoro con un duplice scopo: identificare risposte terapeutiche adeguate e trovare il modo per anticipare la diagnosi.
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DAL DIABETE UN SEGNALE DA NON TRASCURARE
Un’opportunità potrebbe giungere dalla stretta osservazione dei pazienti affetti da diabete di tipo 2, di cui soltanto in Italia soffrono più di tre milioni di persone. Nel corso dell’ultimo congresso europeo contro il cancro, tenutosi ad Amsterdam, è stato presentato uno studio che ha lanciato un’ipotesi da approfondire, ma ritenuta di grande interesse. Una rapida e imprevista progressione del diabete potrebbe essere la «spia» di un tumore del pancreas asintomatico. Sia chiaro: la condizione metabolica è da tempo considerata un fattore di rischio per il tumore del pancreas. Ma questa volta gli scienziati dell’istituto di Ricerca sulla Prevenzione di Lione sono arrivati a richiedere un’accelerazione nello sviluppo di test diagnostici non invasivi in grado di scovare in tempo utile la malattia. «L’obiettivo deve essere quello di andare a fondo nelle indagini già nel momento in cui si scopre il diabete», ha affermato l’epidemiologa Alice Koechlin, a capo del gruppo di ricerca.
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ASSOLTE LE INCRETINE
Punto di partenza della sua osservazione sono state le conclusioni di una ricerca epidemiologica condotta su oltre 550mila pazienti diabetici, intrapresa al fine di valutare l’interazione tra il diabete di tipo 2 e il tumore del pancreas e il profilo di sicurezza delle incretine. Si tratta di ormoni prodotti da cellule intestinali - i più importanti sono la GLP-1 e la GIP - che promuovono il rilascio dell’insulina e migliorano il controllo della glicemia. Esistono anche dei farmaci a base di incretine che vengono prescritti ai diabetici nella seconda linea di trattamento, quando la metformina risulta insufficiente. Negli ultimi anni alcune ricerche avevano lasciato intendere che la loro somministrazione potesse favorire l’insorgenza di cancro al pancreas. L’ipotesi è stata in realtà rivista da quest’ultimo studio. La necessità di ricorrere alle incretine per curare dei pazienti che faticano a tenere sotto controllo la glicemia pur rispettando la terapia e sono interessati da un’evidente perdita di peso dovrebbe allertare lo specialista.
UN MONITO PER I DIABETOLOGI
Lo studio dimostra infatti che la malattia oncologica causa un peggioramento del diabete, da cui la prescrizione di incretine. E l’osservazione che i pazienti che facevano la prima cura a base di incretine avevano un rischio maggiore di diagnosi di cancro nel breve periodo (tre mesi) rispetto ai pazienti che proseguivano la cura con gli anti-diabetici orali, non va interpretata come la causa della malattia, piuttosto come una sua conseguenza. Prova ne è il fatto che, a lungo termine, la terapia risulta correlata a una riduzione del rischio di malattia oncologica. Un trend opposto rispetto a quello che interessa fattori di rischio certi per il cancro: come il fumo e l’alcol, che all’aumentare della dose di esposizione determinano una maggiore probabilità di ammalarsi. In sintesi: non è il farmaco ad accrescere il rischio di malattia, piuttosto se il ricorso diventa inevitabile occorre affinare la valutazione. «Lo studio in questione chiarisce il profilo di sicurezza delle incretine e suona come un monito per i diabetologi - afferma Gabriele Capurso, responsabile del centro pancreas dell’ospedale Sant’Andrea di Roma -. Se la malattia peggiora senza apparenti spiegazioni è necessario approfondire le analisi. In prima battuta con una tac o con una risonanza magnetica nucleare e, se l’immagine derivante fosse sospetta, con una ecoendoscopia che permette di effettuare anche una biopsia dell’organo, passando attraverso la parete dello stomaco». D’altronde all’interno della comunità scientifica è noto da tempo che il tumore del pancreas «produce sostanze di natura proteica che definiamo diabetogene, che rendono più difficile il controllo della glicemia».
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NESSUN LEGAME CON IL DIABETE DI TIPO 1
Detto che di tumore del pancreas non si ammalano soltanto i diabetici di tipo 2, «quest’ultima ricerca ci dice che con loro c’è però la possibilità di fare diagnosi precoce - prosegue lo specialista -. Serve buon senso clinico. Non si può ipotizzare uno screening per tutti i diabetici, ma talvolta occorre andare oltre il semplice cambio della terapia per il controllo glicemico. Un paziente scrupoloso che non risponde più alla metformina e richiede le incretine, se non proprio le iniezioni di insulina, potrebbe in realtà essersi già ammalato di tumore del pancreas». La correlazione non interessa invece i pazienti affetti da diabete di tipo 1, «che hanno un rischio moderatamente più alto rispetto alla popolazione sana, ma in ragione dello stato di infiammazione cronica determinato dalla malattia, che ha un’origine autoimmune».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).