Il rapporto dell'Osservatorio Nazionale Screening: oltre 1 milione gli esami in meno effettuati tra gennaio e maggio a causa della pandemia
Oltre un milione di esami di screening in meno, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo alle cinquemila unità. È questa la faccia più subdola del Covid-19, che potrebbe aprire la strada all'aumento dei pazienti oncologici. A tracciare la stima è l’Osservatorio Nazionale Screening, in un rapporto che quantifica i ritardi accumulati nella diagnosi oncologica di popolazione nei primi cinque mesi del 2020: caratterizzati dalla fase acuta della pandemia.
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SCREENING ONCOLOGICI: DI COSA SI TRATTA?
Gli esami di screening rappresentano un’opportunità per giungere precocemente alla scoperta di una malattia. Nel caso dei tumori, l’offerta prevede una serie di indagini da effettuare periodicamente in età adulta. L’obiettivo di questi - la mammografia per il tumore al seno, la ricerca del sangue occulto nelle feci per il tumore del colon-retto e l’Hpv-test per il tumore della cervice uterina - è rilevare quanto prima (in modo da vedere aumentare le chance di guarigione) il sospetto della presenza di un tumore al seno, al collo dell’utero o al colon-retto. Ovvero: quasi il 30 per cento delle nuove diagnosi annue di cancro in Italia (371mila nel 2019). Nello specifico, lo screening mammografico e quello per la diagnosi del tumore del colon riguardano donne e uomini di età compresa tra 50 e 69 anni (ma alcune Regioni hanno già ampliato il range di età). Mentre l’Hpv-Dna test è garantito alle donne da 25 a 64 anni.
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Pur rientrando tra le prestazioni inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), con l’arrivo del Covid-19 gli screening oncologici non sono stati considerati procedure d’urgenza. A partire dall’8 marzo, gli appuntamenti sono saltati: prima nelle Regioni del Nord e poi nel resto d’Italia. Oggi si scopre che questo «black-out» ha determinato conseguenze preoccupanti. Confrontando il numero di esami effettuati tra gennaio e maggio del 2019 con gli stessi condotti nel 2020, gli esperti dell’Osservatorio Nazionale Screening hanno quantificato un saldo negativo di oltre 1.4 milioni di esami, senza i quali potrebbero essere «sfuggite» oltre 2.000 diagnosi di tumore al seno, quasi 1.700 alla cervice uterina e poco più di 600 cancri del colon-retto. «Un ritardo di tre mesi può risultare ininfluente per l’esito delle terapie», tranquillizza Saverio Cinieri, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom). Detto ciò, è necessario che il recupero delle prestazioni avvenga in tempi brevi. «Altrimenti vi è il rischio di determinare importanti conseguenze per la salute collettiva», aggiunge lo specialista, che dirige l’unità di oncologia medica e la breast unit dell’ospedale Perrino di Brindisi.
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I NUMERI SOTTO LA LENTE DI INGRANDIMENTO
La riduzione degli esami è stata in ogni caso superiore al 50 per cento. Come si può evincere dai dati diffusi dall’Osservatorio, lo screening più «penalizzato» è stato quello cervicale (-55.8 per cento): per un ritardo medio accumulato di quasi tre mesi. A seguire, il calo più significativo ha riguardo lo screening per il cancro del colon-retto (-54.9 per cento). In questo caso, la maglia nera è finita sulle spalle dell’Abruzzo, del Friuli Venezia Giulia e dell’Umbria: dove sono stati accumulati ritardi inferiori al 40 per cento (per un ritardo medio di quasi tre mesi). Quanto allo screening mammografico, la riduzione complessiva è stata del 53.8 per cento (con ritardi oscillanti tra 2 e 3.6 mesi), con la sola Toscana prossima al 40 per cento.
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COME RIPARTIRE?
I dubbi maggiori riguardano proprio le modalità di ripartenza. Complessivamente, gli esami di screening sono ripartiti a maggio in 13 Regioni per lo screening mammografico e cervicale e in 11 per lo screening colorettale. Oggi l’offerta è stata ripristinata in quasi in tutte le Regioni, con notevoli differenze però nell’intensità dei servizi. Ecco perché vi è la necessità di concertarne lo sviluppo: ponendo in sicurezza gli operatori sanitari, garantendo l’adozione di misure di prevenzione per gli utenti e il rispetto delle priorità in base ai livelli di rischio individuale. Il Ministero della Salute ha ribadito di voler impegnarsi per agevolare il «piano di rientro», che difficilmente però si completerà prima di 18 mesi. Secondo l’Osservatorio Nazionale Screening, per migliorare l’esito servono risorse (umane ed economiche) e un piano di sensibilizzazione rivolto alla cittadinanza. «Monitoreremo le attività», è la promessa gli epidemiologi. Il prossimo report è atteso per la metà di ottobre.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).