Sette reparti di oncologia su dieci hanno ridotto di poco o nulla l'attività durante il lockdown per il Coronavirus. Ma il 20% dei pazienti ha rimandato un appuntamento
L’emergenza coronavirus non ha fermato i reparti di oncologia medica italiani. Sette centri su dieci hanno proseguito la loro attività, proteggendo i malati di tumore dal possibile contagio di Covid-19 e dalla possibile progressione della neoplasia se le terapie fossero state interrotte. Ma il 20 per cento dei pazienti ha preferito in questi mesi rimandare un appuntamento già fissato.
ONCOLOGIA E CORONAVIRUS: L'IMPATTO DELL'EPIDEMIA
Le sedute di chemioterapia nei day hospital, la somministrazione dei vari farmaci anticancro e tutto il consueto lavoro di reparto sono stati riorganizzati per mettere in sicurezza sia il personale sanitario che i pazienti tramite l’uso dei dispositivi di protezione, il triage delle persone prima di accedere in ospedale, il rinvio delle visite non urgenti e sfruttando il più possibile la telemedicina. E’ questa la fotografia scattata da un’indagine da un'indagine, promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) e pubblicata sull'European Journal of Cancer. «Il nostro obiettivo era valutare l’impatto dell’epidemia di SARS-COV-2 sull’attività clinica delle unità di oncologia medica nel nostro Paese – spiega Livio Blasi, presidente CIPOMO e direttore dell'Oncologia Medica all'Ospedale Civico di Palermo -. La garanzia della prosecuzione delle terapie anticancro è basilare anche in una situazione di emergenza per non compromettere l’efficacia dei trattamenti ed esporre i nostri malati al pericolo di morire per un tumore che avanza, che è molto più grande di un possibile contagio con il virus. Una garanzia che bisognava assicurare salvaguardando allo stesso tempo pazienti e medici dal rischio infettivo».
L’INDAGINE: LAVORO IN SICUREZZA E ATTIVITA’ RIDOTTE DI POCO
Nei giorni scorsi,nel corso del webinar L’oncologia medica ospedaliera in Italia e l’emergenza Covid-19, organizzato dal CIPOMO per raccontare come la situazione è stata ed è ancora gestita nei reparti di oncologia, Francesco Grossi, coordinatore dell’indagine a cui hanno aderito 122 primari oncologi ospedalieri, ne ha illustrato i risultati. «E’ stata condotta online dal 12 al 15 marzo 2020, periodo che coincide con la diffusione del virus nel Nord Italia e l’istituzione di decreti nazionali per le misure di contenimento dell’infezione – spiega Grossi, che è direttore dell'Unità di Oncologia Medica al Policlinico di Milano -. Ed emerge chiaramente che circa il 70% delle oncologie italiane non ha avuto, o ha avuto solo in minima parte, una riduzione di attività. Siamo riusciti a continuare a lavorare in sicurezza e, in gran parte, a pieno regime anche grazie al fatto che alcune procedure, come il cosiddetto “triage” dei sintomi e dei segni riconducibili a infezione da coronavirus, nonché la limitazione degli accessi agli accompagnatori e il rinvio di visite non urgenti o modalità di visita alternative (ad esempio telefonica) per i follow-up, sono state attuate dalla maggior parte dei centri italiani ancor prima di ricevere indicazioni precise dal Ministero della Salute o dalle Regioni. Questo può aver limitato la diffusione del virus nelle unità di oncologia medica già nelle prime fasi dell’epidemia preservando dall’infezione pazienti più fragili rispetto al resto della popolazione a causa della loro malattia, per le cure intraprese e perché spesso anziani».
I TIMORI DEI PAZIENTI
Alcune ricerche hanno indagato anche il vissuto dei pazienti oncologici e onco-ematologici in tempi di Covid-19 e lockdown. I risultati indicano che i malati di tumore hanno attraversato, e ancora attraversano, un periodi grande difficoltà: temono di dover rinunciare a controlli ed esami, si sentono più esposti al rischio di contagio di Covid-19, hanno paura di non ricevere adeguate protezioni all’interno delle strutture sanitarie. E, oltre alle preoccupazioni vissute da tutti in questa emergenza, provano una grande paura per i possibili ritardi nelle terapie anticancro provocati dall’emergenza sanitaria che ha investito gli ospedali.
GLI OSPEDALI NON VANNO EVITATI A SCAPITO DELLE CURE
«Gli esiti della survey CIPOMO possono, almeno in parte, tranquillizzare malati e familiari – aggiunge Grossi -. ha indubbiamente modificato il modo di lavorare di noi oncologi, creandoci non pochi problemi organizzativi per gestire in sicurezza i nostri pazienti, spesso con personale medico e infermieristico ridotto per malattia o perché entrato in turni di guardia nei reparti Covid, ma, nonostante tutto, siamo riusciti comunque a mantenere alti gli standard di assistenza oncologica in maniera omogenea in tutto il Paese». E’ quindi importante che i pazienti con tumore superino le loro remore ad andare in ospedale per visite, esami o terapie, temendo il contagio: il 20 per cento di loro negli ultimi tre mesi ha saltato, di propria volontà, trattamenti e appuntamenti già fissati. «Non bisogna avere paura – conclude Blasi -. Negli ospedali, ci sono percorsi appositi per limitare la possibile diffusione del virus. Infatti le statistiche indicano che sono pochi i pazienti con tumore che si sono infettati in ospedale e, in ogni caso, contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 non significa morire. Ritardare troppo le cure o gli esami oncologici, invece, fa salire il rischio che il tumore progredisca e il pericolo di morte è grande anche se ad avanzare è il cancro».
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Fonti
Vera Martinella
Laureata in Storia, dopo un master in comunicazione, inizia a lavorare come giornalista, online ancor prima che su carta. Dal 2003 cura Sportello Cancro, sezione dedicata all'oncologia sul sito del Corriere della Sera, nata quello stesso anno in collaborazione con Fondazione Umberto Veronesi.